Uomo e cane: alle radici di un processo coevolutivo

La collaborazione tra uomo e cane ha origini antichissime, ma come è avvenuto il primo incontro? E come questo ha influito sulle strade evolutive delle due specie coinvolte? E’ lecito comparare i processi di domesticazione umana e canina? Studi recenti sembrano mettere in luce percorsi evolutivi che non solo non sarebbero poi tanto differenti tra loro, ma che anzi sembrerebbero strettamente connessi e interdipendenti, tanto da far pensare a uomo e cane come prodotti, più che partner iniziali, di questo incontro

La convivenza tra uomo e lupo risale alla notte dei tempi. Possiamo supporre che prima dell’incontro, simbolico, che diede il via al processo di domesticazione, trascorsero millenni di evitamento reciproco, di competizione per le risorse e di paura dell’uomo-preda che guardava al lupo come predatore feroce e inafferrabile, animale totemico che sfuggiva a qualsiasi forma di controllo.

La teoria più diffusa pone l’accento sul carattere di utilità come motore che spinse il lupo, un giorno, ad avvicinarsi agli accampamenti, per nutrirsi degli scarti che l’uomo produceva, e che dall’altro lato portò l’uomo a tollerare questa presenza che assicurava protezione, allontanando altri predatori.

Anche se la presenza di cani anatomicamente moderni (Canis familiaris) è dimostrata a partire da 14.000 anni fa, studi più recenti hanno fatto retrocedere di millenni la data di inizio del processo affiliativo tra uomo e lupo: nel 1870 venne rinvenuto nella grotta di Goyet, in Belgio, un cranio di cane databile intorno a 36.000 anni fa; mandibola, denti e cranio ben preservati di un altro esemplare canino, ritrovati negli anni ’70 del secolo scorso nella grotta Razboinichy, presso i monti Altai della Siberia meridionale, sono stati attribuiti, attraverso il metodo del carbonio-14, a 33.000 anni fa; mentre le ricerche, condotte da Carles Vilà nel 1999, sul DNA mitocondriale hanno collocato l’inizio del processo di domesticazione addirittura 135.000 anni fa.

Stando a queste ricerche possiamo dunque sicuramente affermare che l’incontro con esemplari di lupo particolarmente docili e l’inizio del processo di domesticazione siano avvenuti almeno 20.000 anni prima della Rivoluzione Neolitica, che cambiò radicalmente il modo dell’uomo di interfacciarsi con la natura.

L’uomo di 30.000 anni fa era raccoglitore e cacciatore seminomade, estremamente sensibile alle variazioni ambientali, tuttavia l’uso del fuoco, sistematico e abituale da circa 350.000 anni, aveva già portato innovazioni comportamentali e culturali dagli effetti dirompenti per quanto riguarda la difesa, la possibilità di cottura del cibo e l’allargamento del gruppo sociale umano innescando una serie di effetti a cascata sull’ambiente, sull’organizzazione sociale e sui singoli individui, secondo la teoria della costruzione di nicchia [1].

Elemento chiave per comprendere queste modificazioni comportamentali è il cambiamento delle pressioni di tipo sociale: a favore di una maggiore coesione interna e per la sopravvivenza del gruppo sociale si instaurarono dinamiche di premiazione degli individui più tolleranti e cooperativi a discapito dei soggetti più aggressivi e intolleranti. Tale selezione comportamentale determinò una cernita anche a livello fisiologico e morfologico: la maggiore sicurezza che il gruppo dava, consentendo un maggiore e più profondo riposo e permettendo tempo libero per attività ludiche e di artigianato, contribuì ad un abbassamento dei livelli di testosterone e cortisolo comportando un addolcimento dei tratti somatici, elemento costitutivo di quella che viene definita “sindrome di domesticazione” umana.

Nell’agosto del 2014 un team di studiosi, tra cui il paleoantropologo Robert Franciscus dell’Università dell’Iowa, ha analizzato la sporgenza dell’arcata sopraccigliare, la forma del viso e il volume del cranio di 13 Homo sapiens vissuti 80.000 anni fa e di 41 uomini collocabili tra i 38.000 e i 10.000 anni fa e li ha paragonati a un campione di 1367 teschi di uomini contemporanei. I risultati di questo studio hanno messo in luce come negli ultimi 80.000 anni i volti si siano arrotondati, l’arcata sopraccigliare ridotta e il volume del cranio sia diminuito, cambiamenti strettamente legati ad un abbassamento dei livelli di testosterone e ad un aumento di serotonina e ossitocina.

Con la preferenza di individui più tolleranti e meno antagonistici, la selezione naturale avrebbe quindi ri-plasmato tanto il nostro comportamento quanto il nostro aspetto esteriore, favorendo una morfologia neotenica e rassicurante, un minor livello di reattività emotiva e una maggiore prosocialità [2] e tendenza alla collaborazione.

Non sappiamo a che stadio dell’evoluzione umana l’uomo abbia incontrato il lupo. Tuttavia possiamo ipotizzare che da una prima convivenza a distanza, con i lupi che orbitavano intorno agli accampamenti, si passò ad una convivenza ravvicinata con l’adozione di un cucciolo di lupo.

In questo modo si sarebbero gettate le basi per il perfezionamento affiliativo, che a sua volta avrebbe aperto la strada al processo di domesticazione. Così può essere cominciata la più vantaggiosa interazione interspecifica nella storia evolutiva dei mammiferi.

Studi recenti [3] hanno analizzato le tracce della sindrome di domesticazione nell’uomo dell’Olocene e nel cane, paragonandole rispettivamente alle caratteristiche di umani del basso Paleolitico e del lupo. I risultati hanno portato alla luce percorsi evolutivi straordinariamente simili.

Come per l’uomo dell’Olocene infatti, anche nel Canis familiaris la sindrome di domesticazione ha portato ad una maggiore tolleranza e ad una minore aggressività nei confronti degli individui dello stesso gruppo; dal punto di vista fisiologico si abbassò il livello di cortisolo, e quindi di stress, provato nell’interazione con l’uomo e morfologicamente si assistette ad una depigmentazione del mantello e ad una riduzione della capacità della scatola cranica; per quanto riguarda le competenze sociali, nei primi lupi vennero premiate la docilità, l’equilibrio, la capacità di integrazione, i caratteri e comportamenti neotenici e le virtù collaborative, predisponendo il cane ad una maggiore sensibilità agli indizi comunicativi umani, ad una maggiore socievolezza e ad un più ampio bagaglio di competenze socio-relazionali, maturate attraverso un ben nutrito processo di socializzazione. Elementi alla base del comportamento prosociale del cane, che prevede capacità di inserimento positivo nel gruppo sociale umano e piacevolezza nell’interazione interspecifica.

Un altro studio, condotto dal biologo giapponese Miho Nagasawa nel 2015 [4], ha dimostrato come modalità comunicative simili a quelle umane, come per esempio lo sguardo prolungato, che invece non è utilizzato dal lupo, possano essere state acquisite dal cane durante il processo di domesticazione. Il biologo ha indagato come tale comportamento osservativo del cane stimoli un aumento dei  livelli di ossitocina nei proprietari facilitando il processo affiliativo e determinando, conseguentemente, anche un aumento della concentrazione di ossitocina nei cani. Inoltre, è stato dimostrato che la somministrazione esogena di ossitocina nei cani regola un maggior uso e richiesta di sguardi e di contatto fisico e una maggiore espressione endogena di ossitocina negli umani interagenti, determinando un loop positivo interspecifico mediato da questo ormone. Non solo dunque i sistemi emotivi dei cani si sarebbero evoluti ma avrebbero anche influenzato i nostri per almeno 15.000 anni, legittimandoci a prendere in considerazione l’ipotesi di una coevoluzione tra uomo e cane.

Oltre che dal punto di vista fisiologico, l’adozione di cuccioli di lupo, secondo l’etologo Roberto Marchesini, avrebbe portato effetti a largo raggio anche, e soprattutto, sullo stile di vita della comunità umana per quanto riguarda le strategie di caccia,  la difesa del territorio, il modo di seguire una pista, attività che vedono il cane non come semplice strumento ma piuttosto come partner performativo, pienamente attivo e partecipe di attività cooperative.

L’allargamento del gruppo sociale umano a membri eterospecifici ha dunque comportato uno slittamento nella vita quotidiana umana, inaugurando nuove pratiche e nuovi stili di vita, ed ha  profondamente modificato l’ambiente di crescita, la nicchia evolutiva, dei successivi “cuccioli di uomo” riconfigurando la crescita e lo sviluppo delle nuove generazioni. Così si è aperta la strada a quel processo di ibridazione culturale che, come  abbiamo visto, ha plasmato entrambi i partner di  questo incontro, che si sarebbero quindi coevoluti arricchendosi di tecniche e comportamenti eterospecifici. Un percorso irreversibile capace di allargare l’orizzonte espressivo e modificare lo sviluppo di entrambe le specie coinvolte, facce della stessa medaglia evolutiva.

Chiara Lantignotti, da La Mela di Netwon

Note

[1] La teoria della costruzione di nicchia (Niche Construction Theory, NCT), proposta nel 2003 da F. J. Odling-Smee, K. N. Laland e M. W. Feldman in Niche Construction – The neglected process in evolution, prevede una coevoluzione tra organismo e nicchia ecologica attraverso un sistema di vicendevoli influenze e ristrutturazioni.

[2] La prosocialità umana è da intendere come la tendenza dell’uomo all’attuazione di comportamenti a favore di un individuo o di un gruppo sociale, mentre per morfologia neotenica si intende la permanenza negli adulti di caratteristiche tipiche delle forme giovanili.

[3] Si veda: B. Hare, Survival of the friendliest: Homo sapiens evolved via selection for prosociality, Annual Review of Psychology, 2017. 68: 155-186.

[4] Si veda: M. Nagasawa, Oxytocin-gaze positive loop and the coevolution of human-dog bonds, in Science 17 Apr 2015, Vol. 348, Issue 6232, pp. 333-336

Bibliografia

C. Di Martino, Viventi umani e non umani. Tecnica, linguaggio, memoria, Cortina, Milano 2017;

R. Marchesini, L’identità del cane. Storia di un dialogo tra specie, Apeiron Editoria, Bologna 2017;

A. Gibbons, How we tamed ourselves and became modern, in Science, 24 october 2014, vol. 346;

B. Hare, Survival of the friendliest: Homo sapiens evolved via selection for prosociality, Annual Review of Psychology, 2017. 68: 155-186.