30 anni di cambiamento climatico nell’Artico

30 anni di studi di tracciamento sulla fauna artica, raccolti nel AAMA, rivelano come le varie specie stiano modificando il loro comportamento in risposta ai cambiamenti climatici

L’Artico è la regione del globo che sta maggiormente risentendo dei cambiamenti climatici, causati dal surriscaldamento globale. L’aumento delle temperature produce inverni più corti e miti ed estati più lunghe e calde, rischiando di compromettere il delicato ecosistema artico (Pikaia ne ha parlato qui). Tenere un resoconto aggiornato dei cambiamenti che si sperimentano in questa vasta area del pianeta, che comprende l’estrema porzione settentrionale di America, Europa ed Asia, è fondamentale per comprendere la portata e le conseguenze di tali cambiamenti.

L’ archivio dei movimenti degli animali artici (AAMA), nasce proprio con l’intento di monitorare l’ecosistema artico, attraverso la raccolta degli studi sugli spostamenti di diverse specie che popolano questa regione del pianeta. Dal 1991, questa crescente collezione di più di 200 studi standardizzati di tracciamento riguardanti 8000 individui di 86 differenti specie marine e terrestri, permette un accesso facile e diretto alle ricerche riguardanti l’Artico e il sub-Artico, oltre ad incrementare un rapporto efficiente e collaborativo tra gli scienziati e gli enti di ricerca.

Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Science, riporta tre casi di studio tra gli innumerevoli raccolti in questo archivio, frutto di 30 anni di ricerca e collaborazione. Il primo studio riportato, vede il tracciamento di 103 aquile reali (Aquila chrysaetos) dal 1993 al 2017, volto a studiare il momento di arrivo nelle zone estive di riproduzione. Questa specie infatti, presente in tutta la fascia artica e subartica, sverna a Sud per poi migrare verso Nord, raggiungendo così le piane ormai prive di neve dove cercare un partner. Gli scienziati hanno potuto apprezzare una lenta ma costante anticipazione nel momento di arrivo degli esemplari in queste zone. La ragione di ciò sembrano essere inverni più miti e secchi, che riducono le nevicate e che restituiscono sempre prima prati verdi liberi dalla neve, dove potersi riprodurre. In particolare sembra che i giovani e i sub-adulti arrivino prima nelle zone di riproduzione rispetto agli esemplari più adulti, meno condizionati da questi inverni “caldi”. Questo studio non solo mostra un cambiamento nel comportamento delle aquile reali ma getta luce sul fatto che in questa specie, gli esemplari reagiscono al cambiamento climatico in modo differente a seconda dell’età.

Nel secondo caso riportato, si può osservare come differenti popolazioni di renna (Rangifer tarandus) distribuite nel Nord del Canada, abbiano modificato il momento del parto in risposta al cambiamento del loro ambiente. In questo caso di studio, i ricercatori hanno tracciato 917 esemplari dal 2000 al 2017, di 5 popolazioni distinte di renna, ovvero le Nord e Sud boreali, le Nord e le Sud montane e quelle da “terreno-arido”. Gli scienziati hanno potuto notare come le diverse popolazioni stiano modificando il periodo nel quale partoriscono, adattandosi ai cambiamenti del loro habitat e facendo in modo di far coincidere le fasi finali della gravidanza con il momento di massima disponibilità ambientale di cibo. Differenti habitat cambiano in modo diverso all’aumento delle temperature, perciò, mentre le femmine di renne da “terreno-arido” e quelle delle popolazioni Nord montane e Nord boreali sembrano anticipare sempre di più i loro parti, le femmine Sud boreali rimangono stabili e addirittura, le renne Sud montane sembrano posticipare il momento in cui danno alla luce i propri cuccioli.

Nel terzo caso di studio, viene mostrata una ricerca inter-specifica svolta dal 1998 al 2019 su 1720 esemplari di 5 specie differenti: la renna (Rangifer tarandus), l’alce (Alces alces), il lupo (Canis lupus), l’orso nero (Ursus americanus) e il grizzly (Ursus arctos horribilis). In questo studio il tracciamento degli animali era volto ad ottenere dati sul tasso di spostamento di queste specie rispetto alle temperature e alle precipitazioni stagionali. Come previsto dagli scienziati, le cinque specie esaminate non sono risultate sensibili alle piogge estive mentre le nevicate invernali hanno ridotto i loro spostamenti, per il semplice fatto che muoversi nella neve risulta energeticamente più dispendioso. Estati sempre più calde però, hanno ridotto gli spostamenti di predatori come lupi e orsi neri e aumentato quelli delle alci, mentre renne e grizzly non hanno mostrato variazioni significative. È inevitabile che queste differenti risposte comportamentali ai cambiamenti climatici, avranno conseguenze su tasso di incontri intra e inter-specifici, con implicazioni demografiche per prede e predatori.

Questi tre casi dimostrano l’importanza di un archivio come L’AAMA, che raccoglie tutti gli studi focalizzati sul tracciamento delle specie marine e terrestri dell’artico. Da questa raccolta di 30 anni di studi risulta chiaro come gli animali rispondano in differenti modi ai cambiamenti climatici sia a livello inter che a livello intra-specifico. Ma il dato più evidente che trapela da queste ricerche, è come il surriscaldamento globale stia modificando il futuro dell’Artico e del suo ecosistema.

Fonti:
Davidson, S. C., Bohrer, G., Gurarie, E., LaPoint, S., Mahoney, P. J., Boelman, N. T., … & Grier, E. (2020). Ecological insights from three decades of animal movement tracking across a changing Arctic. Science370(6517), 712-715.

Immagine: Brocken Inaglory, CC BY-SA 3.0, attraverso Wikimedia Commons