Alla ricerca della natura incontaminata

Pubblicato in italiano da Iperborea “L’arte della fuga”, il terzo volume della trilogia di Fredrik Sjoberg, entomologo e giornalista svedese divenuto noto ai lettori italiani con il suo primo volume “L’arte di collezionare mosche”

L’arte della fuga (edito da Iperborea) è un libro insolito, dedicato alla ricerca svolta da Sjoberg seguendo, dalla Svezia agli Stati Uniti, le tracce di Gunnar Mauritz Wildforss, acquerellista nato a Stoccolma nel 1879 e morto nel Grand Canyon in Arizona nel 1934.

Non lo conoscete? Non preoccupatevi… siete in ottima compagnia, perché Wildforss è sconosciuto ai suoi stessi connazionali ed è noto quasi esclusivamente negli Stati Uniti, dove è estremamente conosciuto e apprezzato. Gli americani sono disposti a pagare cifre esorbitanti per i suoi quadri, tanto che, come riportato da Sjoberg, “un buon acquerello può costare centinaia di migliaia di corone. Il record supera il milione, una somma cui non si è mai avvicinato nessun altro acquerellista svedese”.

Il libro però non è solamente la biografia di Wildforss, perché “ogni vita umana è un labirinto. Se si trova l’ingresso ci si può aggirare dentro all’infinito” e in questo labirinto Sjoberg trova spazio per raccontare dei cammelli di cui l’esercito americano si dotò alla fine dell’ottocento e che poi vennero abbattuti come animali nocivi o richiusi in giardini zoologici. In questo labirinto incontrerete William Wringley, il magnate americano della gomma da masticare, e toccherete con mano come è nato il successo dei puzzle industriali tagliati a macchina. Un viaggio tra tanti personaggi diversi che hanno in comune il fatto di aver fatto scattare la curiosità di Sjoberg e che talvolta vi spiazzeranno, tanto che solamente un abile scrittore come Sjoberg poteva riunire in un unico libro.

Il tema che però più volte ricorre nel libro riguarda i parchi naturali e non solo perché Gunnar Wildforss li dipingeva. “Quando negli USA scrittori, artisti, fotografi e scienziati <scrive Sjoberg> crearono la wilderness, la natura selvaggia, schiudendole un posto nel cuore degli americani, Wildforss era in prima linea”. Questo pittore è ancora oggi considerato uno dei pittori più capaci di leggere e catturare nei propri acquerelli le sfumature della natura e di rappresentarne la grandiosità, tanto da essere chiamato il pittore dei parchi naturali.

Viaggiando però nei parchi dipinti da Wildforss, Sjoberg, in più parti del libro si chiede cosa debbano essere oggi i parchi naturali e la sua posizione mi è giunta alquanto inattesa. Da un grande amante della natura (quale Sjoberg è) e considerate le sue origini geografiche, mi sarei aspettato la ricerca della natura selvaggia e il desiderio di conservarla come tale, ma non è così. “La ricetta era l’idea <scrive Sjoberg>, a tutti gli effetti non comprovata, che si dovessero piazzare qua e là riserve di natura incontaminata come domeniche in un paesaggio feriale. (…) Deve essere per questo che, in linea di principio mi trovo male nelle riserve naturali e preferisco i parchi dei castelli e i giardini botanici con caffè, oppure la montagna coltivata, a tutti quei parchi nazionali consacrati alla natura e solo ad essa. La devozione religiosa non è mai stato il mio forte, una delle poche caratteristiche che mi uniscono a Thoreau, che non ho mai letto con eccessivo entusiasmo”.

L’idea che in più punti Sjoberg propone è che la conservazione della natura sia una violenza a quei luoghi; il fatto di mantenerli inalterati nel tempo costituisce agli occhi di Sjoberg una sorta di forzatura: “Saranno forse i mutamenti climatici a far sì che le riserve naturali alla lunga spariscano e vengano sostituite da qualcosa di meglio, di più flessibile e resistente. C’è molto più da difendere e da conservare oggi che ai tempi di Gunnar, quando la bellezza era la ragione primaria per cui si istituivano le riserve, anche in Svezia. Le imponenti vette montane riescono a sopportare quasi tutto, tempeste, caldo, ogni genere di cambiamenti improvvisi. Gli ecosistemi, invece, i boschi e le paludi, con le loro piccole e grandi forme di vita, restano semplicemente imprigionati nelle riserve naturali. Chiusi come in una trappola quando arriva il caldo o il freddo. Il cambiamento. (…) Il tempo delle riserve è finito”. E’ veramente così?

Indubbiamente in molte nazioni, sono in corso profonde variazioni nel modo in cui i parchi sono percepiti. In un articolo dal titolo “Keep America wild” pubblicato sul The New York Times, Richard Powers elenca le diverse aree naturali di cui il governo americano (per volere del Presidente Trump) potrebbe rivedere il livello di tutela. Come riportato in una intervista a  Rhea Suh, Presidente del Natural Resources Defense Council, “la frenesia del Presidente Trump per gli ordini esecutivi continua. Questa volta, sta cercando di consegnare le chiavi di alcuni dei monumenti nazionali più preziosi dell’America agli interessi industriali, inclusi i suoi alleati dei combustibili fossili e minerari”. Come sottolineato anche da Power sul The New York Times, il Presidente Trump ha incaricato il segretario agli interni Ryan Zinke di avviare un processo di revisione mirato a ridurre – o addirittura eliminare – molti monumenti nazionali istituiti  negli ultimi due decenni dai presidenti Barack Obama, George W. Bush e Bill Clinton, definendoli “abusi”.

Il tema parchi naturali è di grande attualità anche in Italia, tanto che nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha approvato il testo di modifica alla legge quadro sui Parchi, generando molte proteste da parte di tante associazioni impegnate nella tutela del territorio e della biodiversità. A fronte infatti delle dichiarazioni di soddisfazione di Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente alla Camera, secondo cui questa riforma rinforza il sistema dei parchi, sia nella trasparenza della governance che nel rapporto con il territorio, da WWF e LIPU arrivano reazioni ben diverse. Come pubblicato sul sito WWF: “la Camera, non solo ha scelto di snaturare i Parchi Nazionali, ma ha portato indietro di quarant’anni la legislazione di salvaguardia della Natura: le nomine di presidenti e direttori saranno condizionate logiche politiche e interessi locali sarà più facile l’ingresso di cacciatori nei parchi; si introduce un sistema di royalties una tantum per cui non solo «se paghi, puoi inquinare», ma se inquini lo fai a prezzo di saldo. Esiste, infine il rischio che questo testo apra un varco alle  trivellazioni anche in aree protette. Questa legge è riuscita, in un periodo di grande instabilità politica nell’impossibile compito di mettere d’accordo gran parte delle forze politiche; quelle stesse forze politiche che hanno fatto abortire la legge elettorale ai primissimi emendamenti: evidentemente le considerano così irrilevanti da non meritare i necessari approfondimenti e l’attenzione che si dovrebbe ai tesori di natura italiani”.

Ha quindi ragione Sjoberg e il tempo delle riserve è realmente finito? Dobbiamo pensare di convertire a giardini con caffè i parchi naturali? A mio avviso sarebbe una follia e non posso che ripensare a un altro libro letto nei mesi scorsi dal titolo “Salvare metà della Terra. Il Futuro della vita”, in cui Edward O. Wilson suggerisce di destinare metà della superficie della Terra a tutte le specie fuorché la nostra. Metà della terra dovrebbe quindi divenire una area riservata alla conservazione della biodiversità perché, come Wilson sottolinea più volte, oggi i tassi di estinzione delle specie sono quasi 1000 volte superiori a quelli che hanno preceduto la diffusione della nostra.

Forse mi sbaglio e ha ragione Sjoberg, ma non penso di essere in errore e anzi, dando seguito all’idea di ridurre lo stato di conservazione dei parchi naturali, il quarto volume di Sjoberg (se mai ci sarà) potrebbe sempre parlare di pittori che dipingono la natura, ma sarebbero pittori di nature morte.