All’origine dei cordati: un viaggio a ritroso nel tempo grazie all’anfiosso

anfiosso

Oggi l’anfiosso è un modello di indubbio interesse il cui studio ha aperto nuove vie per comprendere l’origine e l’evoluzione dei cordati.

Il phylum dei cordati comprende urocordati (i tunicati), cefalocordati (l’anfiosso) e vertebrati. L’evoluzione dei cordati è un argomento di enorme interesse che può oggi essere affrontato avvalendosi di una enorme mole di dati derivante dai progetti genoma. Come recentemente segnalato anche su Pikaia alla lunga lista dei progetti genoma completati si è aggiunto quello dell’anfiosso Branchiostoma floridae.

Gli anfiossi, sebbene poco conosciuti, sono stati modelli sperimentali molto importanti in biologia dello sviluppo a partire dalla seconda metà del XIX secolo quando l’embriologo russo Aleksander Kowalevsky dimostrò che i primi stadi di sviluppo dell’anfiosso erano essenzialmente simili a quelli degli invertebrati (formazione di una blastula che si invagina dando origine ad una gastrula molto simile a quella del riccio di mare), mentre negli stadi più tardivi l’embrione di anfiosso acquisiva una serie di caratteristiche molto simili a quelle dei vertebrati (tubo neurale dorsale e cavo, muscoli segmentali, apparato digerente terminante con l’ano, un sistema circolatorio chiuso ed una respirazione branchiale). Uno dei maggiori appassionati di questo modello sperimentale è stato Ernst Haeckel il quale vedeva nell’anfiosso una specie importante nella sua teoria in quanto elemento di transizione tra invertebrati e vertebrati tanto che Alfred Russel Wallace nella sua recensione del libro “Evolution of Man” di Haeckel scrisse: “Egli guardò all’anfiosso con una speciale venerazione, in quanto unico animale vivente che permetteva di avere un’idea approssimativa degli ancestori dei primi vertebrati”.

A metà del XIX secolo il successo dell’anfiosso fu legato non solo alla sua posizione filogenetica, ma anche alla relativa facilità con cui si raccoglievano maschi e femmine mature in natura, reperibilità che però è andata scemando nel tempo contribuendo a fare perdere di interesse verso questo modello. Con l’avvento della genetica molecolare, l’anfiosso è stato quindi progressivamente affiancato e poi sostituito da altri modelli tra cui il moscerino Drosophila melanogaster ed il nematode Caenorhabditis elegans, anche in funzione della facilità con cui si potevano allevare e manipolare in laboratorio queste due specie.

L’anfiosso è tornato alla ribalta delle “cronache scientifiche” grazie all’individuazione di una folta popolazione nella Baia di Tampa motivo per cui a partire dagli anni ‘90 del secolo appena trascorso, numerosi gruppi di ricercatori sia statunitensi che europei (dalla Gran Bretagna, Peter W.H. Holland and Sebastian Shimeld, dalla Francia Hector Escriva, dalla Spagna Jordi Garcia Fernandez, dall’Italia Mario Pestarino e Simona Candiani) furono coinvolti in una serie di “amphioxus seasons” ed insieme si ritrovarono nella stagione estiva nella Baia di Tampa, con il supporto logistico del Department of Biology della University of South Florida di Tampa, a raccogliere anfiossi adulti ed embrioni ottenuti mediante fecondazione in vitro. L’applicazione delle più moderne tecniche di biologia molecolare ha poi completato la rivincita dell’anfiosso che si è compiuta con la costituzione di un consorzio internazionale per il sequenziamento del genoma coordinato dal Joint Genome Institut, U.S. Department of Energy.

Oggi l’anfiosso è un modello di indubbio interesse il cui studio ha aperto nuove vie per comprendere l’origine e l’evoluzione dei cordati. I cordati discendono, infatti, da un antenato comune vissuto circa 550 milioni di anni e per molti aspetti l’anfiosso sembrerebbe avere più caratteristiche comuni con questo ancestore rispetto agli altri cordati tanto che alcuni autori hanno ipotizzato che l’anfiosso sia una sorta di testimone della “prevertebrate condition”.

La storia evolutiva dei cordati è stata caratterizzata da numerosi rimodellamenti del genoma ed in particolare da due duplicazioni genomiche che hanno portato ad un significativo aumento delle dimensioni del genoma dei vertebrati. Una prova di questi eventi di duplicazione è dato dai geni Hox presenti in singolo cluster nell’anfiosso ed in quattro cluster nei vertebrati. Il progetto genoma ha inoltre mostrato che, sebbene possa essere considerato una sorta di modello base per i deuterostomi grazie al suo set tipico di 14 geni Hox, l’anfiosso ha mantenuto anche alcuni geni omeotici tipici degli organismi a simmetria bilaterale, che sono stati invece persi sia nei tunicati che nei vertebrati. L’anfiosso possiede inoltre un quindicesimo gene Hox sinora mai identificato e che non sembra paralogo di nessun altro gene Hox presente in B. floridae. Questo dato pone quindi il dubbio che il set ancestrale dei geni Hox fosse dato da 15 e non 14 geni, anche se l’ipotesi che questo gene si sia originato nell’anfiosso non può essere al momento scartata.

Un altro aspetto di interesse riguarda i geni per le opsine. Le opsine sono proteine transmembrana di grande importanza per la percezione della luce e dei colori. Sulla base dei dati disponibili in letteratura si è supposto che nei bilateri fossero originariamente presenti 4 geni codificanti per opsine: l’opsina rabdomerica (opsina r), l’opsina ciliare (opsina c), la peropsina/RGR e l’opsina Go. Sorprendentemente nell’anfiosso sono presenti oltre 20 geni per opsine, molti dei quali sicuramente espressi. Tra i 20 geni identificati non sono tuttavia presenti omologhi della rodopsina e delle opsine deputate alla visione dei colori nei vertebrati. Questo risultato confermerebbe quindi che, sebbene la maggior parte degli organismi viventi sono in grado di percepire la luce, tra i cordati solamente i vertebrati avrebbero acquisito anche la capacità di vedere i colori (capacità che in natura condividono con gli artropodi). L’evoluzione delle opsine è un capitolo interessantissimo della moderna biologia evoluzionistica e l’ultimo libro di Sean B. CarrollAl di là di ogni ragionevole dubbio” mostra come queste proteine ed i geni che le codificano siano un ottimo esempio per spiegare come agisce la selezione naturale. Un altro aspetto importante riguarda l’evoluzione dell’immunità. In particolare l’anfiosso condivide con i vertebrati non solo molte molecole (che risultano conservate sia per sequenza che per forma), ma anche numerosi geni che nei vertebrati sono coinvolti sia nei processi di immunità innata che nell’immunità acquisita. In particolare, l’anfiosso condivide con il riccio di mare (il cui genoma è stato recentemente sequenziato) una solida immunità innata basata sulla presenza di un’ampia gamma di recettori, il cui numero è superiore a quanto non sia nei vertebrati. In modo molto interessante l’anfiosso presenta già nel proprio genoma alcuni geni implicati nei vertebrati nella ricombinazione delle immunoglobuline (sebbene il genoma dell’anfiosso non contenga geni per la produzione di immunoglobuline) oltre che alcuni geni codificanti per proteine con domini simili a quelli delle immunoglobuline. Questo ci fa quindi supporre che, sebbene nell’anfiosso non sia presenta l’immunità adattativa, esistono già nel suo genoma le basi molecolari da cui questa immunità si è poi evoluta nei vertebrati gnatostomi. Questo non significa che questi geni erano presenti per futuri utilizzi dato che la selezione naturale non può conservare ciò che non viene usato e non può fare piani per il futuro, ma significa che questi geni svolgono nell’anfiosso ruoli non legati all’immunità adattativa e che sono poi stati “riciclati” nei vertebrati gnatostomi per costruire l’immunità adattativa. Questo processo, che va sotto il nome di co-optazione genica, prevede quindi che un gene venga reclutato per svolgere ruoli diversi da quello originale.

Una situazione simile è stata osservata per i geni implicati nel differenziamento delle cellule della cresta neurale perché, sebbene l’anfiosso non abbia la cresta neurale, sono già presenti molti dei geni che andranno a costituire il network genico implicato nella sua origine. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto è necessario sottolineare tuttavia che molti di questi geni sono presenti in singola copia nell’anfiosso ed in copie multiple nei vertebrati a seguito di un doppio ciclo di amplificazione del genoma avvenuto nei vertebrati. Questo ci fa quindi supporre che alcune di queste neo-copie presenti nei vertebrati siano state utilizzate per la realizzazione di “innovazioni”, tra cui la cresta neurale. Le copie duplicate (che sono generalmente considerate paraloghe dei geni originali) avrebbero quindi subito un processo definito di neofunzionalizzazione ovvero sarebbero state utilizzate per regolare un processo diverso rispetto a quello della copia originale. L’esempio del network genico per lo sviluppo della cresta neurale è quindi un ottimo (ed ulteriore!) esempio per mostrare le enormi ed imprevedibili potenzialità innovative delle duplicazioni geniche ovvero come dalla duplicazione di geni già esistenti possa derivare l’acquisizione di nuove funzioni e/o strutture.

Da un punto di vista endocrino, l’anfiosso sta permettendo di fare luce sull’evoluzione degli ormoni e dei neurotrasmettitori. Il genoma dell’anfiosso, ad esempio, presenta geni in grado di codificare per molti ormoni (tra cui la tirostimolina, la kisspeptina, gli ormoni steroidei e le catecolamine), ma manca completamente di numerosi ormoni prodotti nei vertebrati dall’ipofisi, quali l’ACTH, la prolattina e l’ormone della crescita. Poiché il genoma dell’anfiosso è privo anche dei geni codificanti per i recettori di queste molecole si può ipotizzare che questi ormoni siano innovazioni comparse nei vertebrati, essendo questi geni assenti anche nei tunicati. In modo analogo sia nei tunicati che nell’anfiosso non sono stati trovati omologhi del gene codificante per il CRH, mentre è presente un gene codificante per il suo recettore, che però potrebbe essere utilizzato per legare molecole simili tra cui l’ormone diuretico già caratterizzato in altri invertebrati. L’anfiosso è inoltre in grado di produrre ormoni simili a quelli tiroidei e può sintetizzare insulina ed altri fattori simili all’insulina oltre che disporre dei diversi recettori necessari per legare queste molecole (inclusi i recettori nucleari per estrogeni ed ormoni steroidei).

Nel complesso quindi nell’anfiosso esistono strutture che, seppure semplici, sono per alcuni versi omologhi ai principali organi endocrini dei vertebrati. L’anfiosso presenta tuttavia anche innovazioni legate alla duplicazione di alcuni geni implicati nella steroidogenesi e nei processi di detossificazione di xenobiotici, steroidi ed altre molecole. Questa amplificazione potrebbe essere il frutto di un adattamento specifico dell’anfiosso resosi necessario come protezione dagli insulti che derivavano dall’ambiente marino in cui l’anfiosso vive come filtratore. Nel complesso quindi i primi cordati dovevano essere molto simili all’anfiosso e non ad animali sessili simili ai lofoforati come sostenuto per molto tempo da alcuni autori. Al contrario, i primi cordati dovevano essere di ridotte dimensioni, con muscoli segmentali derivati dai somiti, una notocorda, una corda nervosa dorsale, una robusta immunità innata, una serie di fessure faringee ed un set base di funzioni endocrine. Da un punto di vista genomico, il genoma dell’anfiosso e quello del riccio di mare Strongylocentrotus purpuratus sembrerebbero essere più rappresentativi dal genoma ancestrale dei deuterostomi di quanto non lo sia il tunicato Ciona intestinalis il cui genoma ha subito considerevoli rimaneggiamenti tanto che è di sole 155 Mb contro le 814 e 520 Mb del riccio di mare e anfiosso rispettivamente.

Un ulteriore aspetto di interesse in questa pubblicazione è legato alla lista degli autori poiché non capita spesso di vedere gruppi di ricerca italiani coinvolti in progetti genoma. In particolare, tra i gruppi coinvolti vi è quello di Mario Pestarino e Simona Candiani del Dipartimento di Biologia dell’Università di Genova che hanno collaborato all’annotazione del genoma di B. floridae in collaborazione con il Doe Joint Genome Institute. Il gruppo di ricerca di Mario Pestarino e Simona Candiani è attivo da numerosi anni nell’ambito dell’identificazione dei meccanismi molecolari alla base dello sviluppo e della neurogenesi di organismi filogeneticamente significativi quali l’anfiosso e le ascidie (urocordati o tunicati).

Per chi pensasse che la ricerca si fa sempre e solo in laboratorio indossando lindi camici bianchi può essere interessante conoscere l’iter seguito dal gruppo di ricerca di Mario Pestarino e Simona Candiani per raccogliere il materiale necessario per svolgere i vari progetti di ricerca. Per iniziare è necessario recarsi nella Baia di Tampa, raccogliere con una pala la sabbia del fondo e setacciarla al fine di raccogliere gli anfiossi. In genere tale raccolta viene effettuata ad una profondità variabile da 0,5 a 2 m a seconda della marea, all’incirca ad una distanza di 100 m dalla Courtney Campbell Causeway nella Old Tampa Bay. Successivamente, avvalendosi di setacci, gli adulti di anfiosso vengono separati dalla sabbia e raccolti in contenitori di plastica galleggianti, proseguendo questa operazione per diverse ore, anche in considerazione del fatto che le condizioni meteorologiche sono estremamente variabili. Terminata la raccolta, gli anfiossi vengono delicatamente separati dalla restante sabbia e quindi portati rapidamente in laboratorio dove verranno lasciati sino a quando inizierà la separazione dei maschi e delle femmine che verranno riposti in coppette separate e si procederà alla stimolazione elettrica immergendo per un brevissimo tempo due elettrodi nell’acqua delle coppette. Purtroppo per motivi che non sono ancora noti, il rilascio dei gameti indotto artificialmente non sempre ha successo e quindi per molti pomeriggi si effettuano faticose ed estenuanti raccolte di adulti che non sempre hanno alcuna intenzione di collaborare con notevole sconforto dei ricercatori. In genere ogni 15-20 giorni soltanto alcune femmine ed alcuni maschi emettono uova e sperma ed è quindi possibile procedere alla fecondazione in vitro. Ciò significa rimanere in laboratorio per tutta la notte e la giornata successiva in quanto è necessario raccogliere e trattare in maniera opportuna il numero più alto possibile di embrioni ai diversi stadi… e solamente terminata questa fase di raccolta, è finalmente possibile dedicarsi al genoma di questo intrigante modello.

Per il popolo di Pikaia l’anfiosso desta un particolare interesse perché è una sorta di cugino dato che tra i viventi è il parente più prossimo di Pikaia gracilens da cui il nostro sito ha preso il nome. Lunga vita all’anfiosso!!!

 

Riferimenti:

Linda Z. Holland et al. (2008) The amphioxus genome illuminates vertebrate origins and cephalochordate biology. Genome Research 18: 1100-1111.