Anche le piante rischiano l’embolia

Per ridurre l’impatto degli emboli lo xilema delle piante si è evoluto in forme complesse sotto la pressione esercitata dalla siccità

Lo sapevate che delle piccole bolle d’aria possono avere effetti molto pericolosi? Lo sanno bene i sub che eseguono la cosiddetta tappa di decompressione alla fine di un’immersione prima di risalire in superficie. In questa maniera liberano dai polmoni delle microbolle di gas inerte, come l’azoto, che hanno accumulato durante l’immersione. Se risalissero troppo velocemente invece, a causa della diminuzione di pressione ambientale, le bolle potrebbero crescere di dimensione bloccando il flusso del sangue.
Qualcosa di simile accade anche alle piante e secondo quanto pubblicato in un recente studio su Science, la siccità le avrebbe selezionate per resistere alla formazione di bolle nei propri vasi.

L’embolia delle piante
Le piante però non fanno immersioni e tappe di decompressione come i sub ma anche nei loro tessuti si possono formare pericolose bolle d’aria che interrompono il flusso di molecole d’acqua dalle radici alle foglie.
Nelle piante vascolari, phylum Tracheophyta, l’acqua viene trasportata attraverso un tessuto chiamato xilema.
Quando le temperature sono elevate, aumenta l’evaporazione dalle foglie della pianta. Una delle conseguenze di questa condizione è che la pressione all’interno dello xilema scende e questo può portare alla formazione di bolle d’aria all’interno del tessuto vascolare. Questo fenomeno si chiama cavitazione. La bolla d’aria che si è formata blocca il passaggio di acqua e nutrienti.
Il processo è simile a quanto accade nei vasi sanguigni durante un’embolia.
Una volta che si è formato l’embolo, questo si può diffondere attraverso la rete vascolare dello xilema portando alla morte del tessuto ed eventualmente della pianta.

Un dilemma durato un secolo
Le prime piante che hanno popolato la Terra erano di dimensioni ridotte e vivevano in ambienti in cui l’acqua era immediatamente disponibile. Con il passare del tempo, hanno cominciato a ingrandirsi e a popolare altre zone del pianeta.
Nel farlo hanno modificato la forma del loro xilema.
Il tessuto inizialmente aveva una struttura cilindrica ma con il passare del tempo ha assunto forme diverse e sempre più complesse. Studiando i fossili delle piante e comparandoli alle piante moderne è evidente che a un certo punto la forma originaria è stata abbandonata in favore di forme ellittiche, a stella, ad anello e molte altre forme complesse. 
Questa evoluzione dello xilema era stata osservata già nel 1920 ma fino a oggi nessuno era riuscito a dare una spiegazione convincente di questo fenomeno. L’ipotesi più sosteneva che la struttura dei canali si fosse modificata con lo sviluppo dei rami e delle dimensioni maggiori delle piante.
Secondo quanto rilevato nello studio invece sarebbe stata la pressione selettiva esercitata dalla siccità a modificare la struttura dello xilema.

Una questione di forma
Nello studio hanno esaminato numerose piante esistenti ed estinte che coprono un arco temporale di quattrocento milioni di anni. Hanno preso in considerazione come sono strutturate le cellule in xilemi di forme diverse e la topologia delle diverse reti vascolari. A questo punto hanno simulato la diffusione di un embolo nelle diverse forme e la risposta è stata chiara. Se le cellule sono organizzate in forme sottili e complesse l’embolo deve fare più strada per espandersi. Queste piante, quindi, resistono meglio alle condizioni in cui questi emboli si formano come durante un periodo di siccità. Quando hanno cominciato a conquistare zone più secche in cui l’acqua non era immediatamente disponibile, le piante con uno xilema cilindrico avevano una maggior probabilità di morire. In questo caso infatti l’embolo riesce a espandersi facilmente tra cellule adiacenti.

Un embolo che si diffonde dal centro dello xilema a metà delle cellule adiacenti. A sinistra nella struttura a cilindro la pianta morirà; a destra la pianta risulta meno impattata. Immagine: dalla pubblicazione

La ricerca è il risultato di un lavoro collettivo guidato dall’istituto di botanica dell’accademia delle scienze della Repubblica Ceca e dall’Università di Yale. Lo studio ha avuto il merito di chiarire una discussione che andava avanti tra i botanici fin dal 1920.
La speranza è che questa scoperta possa migliorare lo sviluppo di piante resistenti alla siccità. Piante in grado di sopravvivere con poca acqua potrebbero essere fondamentali per sostenere l’agricoltura in un mondo che è sempre più caldo.

Riferimenti:
Martin Bouda, Brett A. Hugget, Kyra A. Prats, Jay W. Wason, Jonathan P. Wilson, Craig R. Brodersen. (2022). Hydraulic failure as a primary driver of xylem network evolution in early vascular plants. Science 378(6620), 642-646, DOI: 10.1126/science.add291

Immagine: di jplenio da Pixabay