Antonio Pigafetta, il vicentino che per primo descrisse le piante delle spezie…

Antonio Pigafetta

Quando Magellano circumnavigò il globo era accompagnato da un osservatore eccezionale: Antonio Pigafetta. Il suo diario di viaggio offre una delle prime descrizioni delle piante delle spezie nel loro ambiente.


E poi perdessimo la tramontana e cosí se navigò tra il mezzogiorno e il garbin…

Relazione del primo viaggio intorno al mondo / Antonio Pigafetta : a cura di Camillo Manfroni. – Milano : Istituto editoriale italiano, 1956. Via Liber Liber


Partirei con una necessaria introduzione storica …

È noto a tutti che Cristoforo Colombo, al soldo della Spagna, nel 1492 scoprì il continente americano navigando verso Ovest, mentre cercava di raggiungere le Indie (uno dei più eclatanti casi di Serendipity che ricordino!).

I Portoghesi allora cercarono altre esplorazioni; nel 1497 Vasco da Gama ebbe l’incarico di guidare una spedizione verso le Indie, le mitiche Terre delle Spezie, circumnavigando l’Africa e facendo poi rotta verso Est. Egli, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, proseguì il suo viaggio e raggiunse felicemente il porto di Calicut in India. 

A questo punto le due potenze navali stipularono nel 1494 il Trattato di Tordesillas, che stabiliva che, considerando un meridiano passante per le Isole di Capo Verde, le terre a Est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle a Ovest alla Spagna. Cioè si erano divisi il mondo!

E da allora accaddero fatti atroci: gli Spagnoli distrussero l’Impero Azteco in Messico e gli Incas in Perù, commettendo dei veri e propri genocidi. I portoghesi invece utilizzarono lo stesso trattamento per i popoli che abitavano le Molucche e l’Indonesia in generale.

Ma arriviamo al portoghese Ferdinando Magellano, finanziato dalla Corona spagnola di Carlo V, che nel 1519 partì da Siviglia, con 5 Caracche e 235 uomini per circumnavigare la Terra, parliamo quindi di una esplorazione geografica, cartografica e naturalistica, come quella di Colombo.

Le cinque navi della flotta erano la Trinidad, che era la nave capitana ed era comandata da Magellano, la San Antonio, la Concepción, la Victoria e la Santiago. Il giovane Antonio Pigafetta, nobile di origine vicentina, fu scelto dall’Ammiraglio Magellano per stendere il diario del viaggio.

Magellano non concluse l’impresa, perché venne trucidato a Mactan nelle Isole Filippine, dagli indigeni. La stessa sorte capitò ai capitani delle sue navi nella vicina isola di Cebu. Il viaggio, che fu difficilissimo a causa del clima molto freddo, di ammutinamenti, di periodi di fame molto lunghi e conseguenti malattie, decimò i marinai. Pensate che solo 18 uomini, tra cui Pigafetta, riuscirono a tornare in Spagna dopo tre anni di navigazione, nel 1522, completando la circumnavigazione.

Ben poco sarebbe rimasto di quest’epica avventura se Antonio Pigafetta non l’avesse descritta nella sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo, ricca di notizie e osservazioni sui luoghi, i popoli e la natura delle terre toccate dalle navi di Magellano, delle quali solo la Victoria riportò i superstiti in Europa.

E ora qualche notizia sul nostro Pigafetta… Come spiega il sito dell’associazione Pigafetta 500

“Antonio resta a tutt’oggi una figura misteriosa. La famiglia apparteneva all’antica nobiltà di Vicenza. Suo padre Giovanni, notaio, faceva parte del Maggior Consiglio della città e si sposò tre volte. Probabilmente Antonio nacque negli anni Novanta del Quattrocento dalla seconda moglie, Lucia Muzan.”

Leggendo il suo libro, sappiamo che lasciò Vicenza nel 1519, e giunse in Spagna al seguito di Francesco Chiericati, un illustre prelato suo concittadino, che era Nunzio Apostolico presso il Re di Spagna. Pigafetta si aggregò alla spedizione di Magellano col grado di criado, cioè uomo di fiducia del comandante.

Pigafetta dimostrò di possedere una tempra veramente eccezionale. Dal quel viaggio fecero ritorno solo 18 persone, e lui era fra loro.  Il suo più grande rincrescimento fu quello di non aver potuto salvare Magellano.

Alla fine del 1522, dopo essere stato in Portogallo, in varie città della Spagna e in Francia, tornò in patria a raccontare le sue avventure: a Mantova, dai Gonzaga, a Venezia, dal doge Andrea Gritti, a Vicenza, a scrivere la propria opera, a Monterosi (VT), dal Gran Maestro dell’ordine di Rodi, e a Roma dal pontefice Clemente VII.

Da Venezia il 5 agosto 1524 ottenne il privilegio di stampa, ma stranamente, nulla venne mai pubblicato.

Restano avvolte dal mistero le circostanze della sua scomparsa.

Passiamo alla parte naturalistica…
La Relazione è scritta in un bizzarro linguaggio misto di italiano e vernacolo veneto (del ‘500), frammisto a parole spagnole; il testo quindi è di difficilissima decriptazione, sia per quanto riguarda il nome delle specie vegetali e animali, sia per i luoghi indicati … quindi se commetterò degli errori attribuiteli a questa motivazione!

…come direbbe il Manzoni: se abbiamo errato, credetemi non lo si è fatto apposta!

Ho fatto riferimento al manoscritto, il più completo e che si ritiene più vicino alla redazione originale, sebbene non sia autografo del Pigafetta, conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. 

Bene, ecco un assaggio della prosa di Pigafetta …

“Passato che avessimo la linea equinoziale, perdessimo la tramontana (scomparve la Stella Polare), e cosí se navigò tra il mezzogiorno (sud) e il garbin (sud-ovest) fino in una terra, che si dice la Tera del Verzin.”

 

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Jani Pereira, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons


Ma che luogo è il Verzin?

Questo termine di origine araba indica piante con legno rosso, appartenenti alla specie Caesalpinia echinata, un albero che formava la Mata Atlantica, la foresta vergine che ricopriva completamente le regioni litoranee del Brasile. La resina rossa di questi alberi, di grande valore economico, veniva usata per tinture che davano un forte tono di rosso, e così questo bioma scomparve per primo!

Quindi il Verzin era il Brasile! E lì trovarono … “batate, pigne molto dolci, frutto in vero piú gentil che sia”

Le batate sono le patate dolci americane Ipomea batatas e il frutto dolcissimo è l’ananas!

Spostiamoci nelle isole Filippine…

Pigafetta di questo luogo scrive scrive:

“La gente sempre masticano uno frutto che chiamano areca; è come uno pero. Lo tagliano in quattro parti, e poi lo volveno ne le foglie del suo albero, che le nominano betre; sono come foglie del moraro, con uno poco de calcina, e, quando le hanno ben masticate, le sputano fora: fanno diventare la bocca rossissima. Tutti li popoli de questa parte del mondo le usano perchè rinfrescali molto el core.”

 


Cioè:

“Le persone masticano un frutto simile alla pera, che chiamano Areca. Lo tagliano in quattro e lo avvolgono nelle foglie di alberi che somigliano ai gelsi e che chiamano Betel, prima di masticarlo assieme a un pizzico di calcina. Poi sputano la poltiglia, rimanendo con bocca, denti e lingua colorati di rosso intenso, bizzarro a vedersi. È un frutto curativo, che aiuta a digerire bene e vivere sani.”

Una pianta commestibile con lo stesso nome è nominata anche da Emilio Salgari nel suo celebre romanzo I misteri della giungla nera:

“Tremal-Naik … trasse da una tasca una foglia somigliante a quella dell’edera, conosciuta in India sotto il nome di betel d’un sapore amarognolo e un poco pungente, vi uni un pezzetto di noce di arecche e un po’ di calce e si mise a masticar questo miscuglio che si dice conforti lo stomaco, fortifichi il cervello, preservi i denti e curi l’alito.”

Nonostante il nome, abbiamo però a che fare con due diverse specie

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Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

Una è la palma di Betel, Areca catechu è una palma originaria delle Filippine, alta fino a 30 m, ampiamente coltivata anche al di fuori del suo bacino di origine. Produce la noce di betel, che è utilizzata in diversi paesi asiatici, e contiene alcaloidi con proprietà stimolanti e digestive e un tannino dal vivace colore rosso. Questo è il frutto di cui parla il nostro Pigafetta.

L’altra pianta è il pepe di Betel, Piper betle è invece una pianta rampicante appartenente alla famiglia delle Piperacee, con foglie cuoriformi, che è coltivata in Indonesia.

Non avevo mai pensato al fatto che le spezie, che a noi giungono in piccoli frammenti, siano in realtà prodotte da alberi giganteschi, e si stupì anche il nostro Pigafetta che, ricordo, fu uno dei  primi occidentali a vedere queste bellissime specie vegetali e a descriverle!


Gli aromi del Borneo: la canfora

“In questa isola di Burne nasce la canfora, specie di balsamo, la quale nasce tra gli albori, e la scorza è minuta come le remole (crusca). Se la se tiene discoperta, a poco a poco diventa niente, e la chiamano kapor.”

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Heriyanto harepa, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

La canfora è una sostanza molto aromatica utilizzata in oriente sin da tempi antichi per molti impieghi: ad esempio come profumo e sostanza medicinale e inoltre … come aroma per cibi e bevande!

Questo impiego è veramente incredibile … credevo che la canfora al massimo potesse piacere a Eta Beta, il personaggio di Topolino ghiotto di naftalina!

La canfora di Pigafetta è prodotta dalla Dryobalanops aromatica, si tratta di un albero bellissimo alto fino a 40 m.

La sostanza odorosa viene secreta anche dalle foglie; ma per ottenerla in grandi quantità, si triturano pezzi di radici, tronco e rami, poi la massa viene distillata a vapore.

La canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica) è oggi specie a rischio di estinzione in natura, a causa della distruzione del suo habitat.


Pigafetta e i fasmidi delle Filippine

 

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Doublebears, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

A Palawan (Filippine) quando Pigafetta vede gli insetti foglia è molto stupito:

“Ancora qui se trova arbori che fanno le foglie, quando cascano sono vive e camminano. Quelle foglie sono, nè più nè meno, come quelle del moraro (gelso), ma non tanto lunghe. Appresso il pegollo (gambo), da una parte e dall’altra, hanno due piedi; non hanno sangue, e se le tocca, fuggono. Io ne tenni una nove giorni in una scatola. Quando la apriva, questa andava intorno per la scatola. Non penso viveno de altro se non de aria.”

Cioè:

“In quest’isola si trovano anche alcuni alberi, le cui foglie, quando cadono, sono animate e camminano. Sono come le foglie del gelso, ma non così lunghe; hanno il gambo corto e appuntito, e vicino al gambo le foglie hanno su ciascun lato due piedi. Se vengono toccati scappano, ma se schiacciati non danno sangue. Ne ho tenuto uno per nove giorni in una scatola. Quando l’ho aperta la foglia ha fatto il giro della scatola. Credo che vivano d’aria”.

Che specie avrà visto Pigafetta? Gli esperti che ho interpellato mi hanno suggerito Phyllium philippinicum, endemico delle Filippine

Dall’oriente alla nostra cucina: la cannella

“L’albero de questa cannella è alto tre o quattro cubiti, e grosso come li diti della mano, e non ha più di tre o quattro rametti; la sua foglia è come quella del lauro; la sua scorza è la cannella. La se coglie due volte all’anno.”

La cannella, che Pigafetta vede a Butuan, sull’isola Mindanao, si estrae da Cinnamomum verum è un albero di natura sempreverde, alto fino a 14 m, appartenente alla famiglia delle Lauraceae, è dalla desquamazione della sua corteccia che si ricava la spezia.

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Simon A. Eugster, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

 

Nelle Molucche… i preziosi chiodi di garofano
E dopo una ricerca lunghissima la spedizione raggiunge Tidore, nelle isole Molucche:

Nel medesimo giorno andai in terra per vedere come nascevano li Garofoli. Lo albero suo è alto e grosso come un uomo al traverso nè più nè meno: li suoi rami [si] spandono alquanto largo nel mezzo, ma nella fine fanno in modo de una cima. La sua foglia è come quella del lauro: la scorza è olivastra. Li garofoli vengono in cima de li rametti, dieci o venti insieme. Questi alberi fanno sempre quasi più da una banda che de l’altra, secondo li tempi. Quando nascono li garofoli sono bianchi e [quando sono] maturi rossi, e secchi negri. Se coglieno due volte l’anno, una de la natività del Nostro Redentore, l’altra in quella de Sancto Gioan Battista, perchè in questi due tempi è più temperato l’aere: ma più in quella del Nostro Redentore. Quando l’anno è più caldo e con manco piogge, se coglieno trecento e quattrocento bahar (4 quintali) in ogni una de queste isole. Nascono solamente ne li monti, e se alcuni de questi arbori sono piantati al piano, appresso li monti, non vivono. La sua foglia, la scorza e il legno verde è così forte come li garofoli. Se non si coglieno quando sono maturi, diventano grandi e tanto duri, che non è bono altro de loro, se non la sua scorza. Non nascono al mondo altri garofoli, se non in cinque monti de queste cinque isole.. Vedevamo noi quasi ogni giorno una nebula discendere e circondare l’uno o l’altro de questi monti, per il che li garofoli diventano perfetti.

Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

Il testo di Pigafetta è leggibilissimo, ma per chi avesse problemi, il testo in sintesi è questo.

“Nello stesso giorno, volli vedere dove nascesse quella meravigliosa pianta che ci stava facendo ricchi. Feci una lunga e faticosa camminata fino alle sue pendici, che erano fitte di piante rigogliose a migliaia. Eccoli! Dunque li vedevo al naturale i chiodi di garofano! Nessuno li coltivava, nascevano spontanei su grossi alberi alti meno di un uomo. I rami si spandevano dal centro del tronco, ciascuno svettando verso l’alto. Le foglie assomigliavano a quelle del lauro. I fiori spuntavano in cima a ogni ramo, a ciuffi di venti per volta. I garofani erano bianchi, come proprio quel giorno io li vedevo, e una volta maturi diventavano rossi e poi bruni se essiccati.”

La pianta dei chiodi di garofano, Syzygium aromaticum, è un albero sempreverde, appartenente alla famiglia delle Myrtaceae. Ha una chioma a forma tondeggiante e foglie ovato-lanceolate, opposte, di color rossastro da giovani che man mano diventano di una tonalità verde scuro che, se viste in trasparenza, presentano numerosi puntini traslucidi ricchi di olio essenziale. Le infiorescenze a pannocchia sono composte da numerosi fiori ciascuna di colore variabile dal cremisi al giallo.

Vengono raccolti solo i boccioli dei fiori, che essiccati costituiscono i chiodi di garofano. Il primo grosso carico di “garofoli” giunse a Siviglia proprio con la nave di Pigafetta.

In quella occasione, i funzionari stabilirono che il costo delle cinque navi per la spedizione era stato di oltre 8 milioni di maravedís, ma la Victoria, riportando a Siviglia 520 sacchi di chiodi di garofano da mezzo quintale l’uno, da sola aveva ripagato la spesa iniziale, producendo persino un guadagno di quasi 190.000 maravedís! Una buona percentuale fu data come premio ai valorosi marinai, lo stesso Antonio ricevette 40.000 maravedís.

Una noce molto aromatica

 

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Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

In queste isole se trovano alcuni alberi di noce moscata. L’albero è come le nostre noghere e con le medesime foglie; la noce quando se coglie, è grande come uno cotogno piccolo, con quel pelo e del medesimo colore. La sua prima scorza è grossa come lo verde de le nostri noci; sotto de questa è una tela sottile, sotto la quale sta la matia, rossissima, rivolta intorno la scorza della noce, e de dentro de questa è la noce moscata.

Nelle Isole Banda, Molucche, Pigafetta vide la Myristica fragrans o Albero della noce moscata. Una Miristicacea sempreverde con fusto alto fino a oltre 15 metri, originaria di questo luogo.

Il seme è la “noce” caratteristica per il forte aroma, da cui molto probabilmente deriva l’aggettivo “moscata”, da muschiato.

Oltre ai semi di questa pianta, impiegati in cucina, vengono utilizzati anche i loro involucri, cioè l’endocarpo del frutto, che ha un colore rosso intenso, che diventa poi arancione con l’essicazione, e prende il nome di macis: anch’esso è utilizzato come aroma per la preparazione di cibi, soprattutto in oriente.

 

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കാക്കര, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Gli alberi della noce moscata crescevano all’epoca solo sulle isole Banda, un micro-arcipelago delle Molucche. Immaginate che meraviglia le isole ricoperte da questi alberi, che portano piccole albicocche gialle aperte a mostrare l’interno rosso … e poi il profumo, un paradiso!

Ma ogni paradiso degno di tale nome ha un demone e in questo caso i demoni furono gli Olandesi, interessati a questa spezia, allora di enorme valore, più costosa dell’oro.

Le trattative con gli indigeni non andarono bene e allora gli Olandesi massacrarono 2.800 bandanesi e 1.700 schiavi.

Un altro caso di feroce storia di conquista e sfruttamento, dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura

Un rizoma delizioso: lo zenzero

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Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, via Wikimedia Commons

Siamo sempre nelle Molucche:

Lo gingero non è albero, ma una pianta piccola, che pullula fuori de la terra certi coresini lunghi un palmo, come quelli de le canne e con le medesime foglie, ma più strette. Questi coresini non valeno niente; ma la sua radice è il zenzero, e non è così forte verde come secca. Questi popoli lo seccano in calcina, perchè altrimenti non durerebbe.

Lo zenzero, Zingiber officinale è una pianta erbacea di origine asiatica appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae.

È dotata di rizoma ovvero, una modificazione del fusto con principale funzione di riserva, che viene utilizzata come spezia in cucina e per uso medicinale. 

Bravo il nostro Pigafetta nelle descrizioni botaniche vero? Per essere un Notabile … era un grande!

Pepe lungo e rotondo

 

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Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, via Wikimedia Commons

Chiudiamo con un’osservazione naturalistica dall’isola di Alor, Indonesia:

Il pevere longo è come quelle gattelle (amenti penduli) che fanno le nizzole (noccioli) quando è l’inverno. Il suo arbore è come l’edera e attaccasi a li arbori come quella; ma le sue foglie sono come quelle del moraro (gelso) e lo chiamano luli. Il pevere rotondo nasce come questo, ma in spighe, come lo frumentone della India, e si disgrana; e lo chiamano lada. In queste parti sono pieni li campi di questo pevere, fatti in modo de pergolati.

Le due specie descritte sono il Pepe lungo, Piper longum e il Pepe rotondo, Piper nigrum

La Spedizione di Magellano è considerata, ancora oggi, la più grande impresa navale mai realizzata ed un grande passo per l’Umanità tutta! Durante il 500esimo Anniversario l’Unione Europea rivendicò l’Impresa come propria, perché a bordo delle navi di Magellano c’erano, oltre a Spagnoli e Portoghesi, anche Italiani, Tedeschi, Francesi, Inglesi e Irlandesi, che si erano aggregati alla spedizione. L’impresa, tra le altre cose, diede al mondo una ulteriore dimostrazione pratica e concreta di quello che già era ben noto da secoli, cioè la sfericità della Terra. Come ha spiegato il professore di storia Felipe Fernández-Armesto ( nel suo libro Straits – Beyond the Myth of Magellan:

“Ci sono oggi molti più terrapiattisti nel nostro mondo di quanti ce ne fossero al tempo di Magellano”

Invito i miei lettori ad approfondire questo interessante viaggio direttamente dalle parole di Pigafetta, che era anche un ragazzo simpaticissimo! Ecco qualche consiglio.

Bibliografia:

“Relazione del primo viaggio intorno al mondo.” Liber Liber, 21 Jan. 2023, www.liberliber.it/online/autori/autori-p/antonio-pigafetta/relazione-del-primo-viaggio-intorno-al-mondo.

“500 anni fa Il primo giro del mondo nel racconto di Antonio Pigafetta.” Associazione Culturale Pigafetta 500, 22 Dec. 2022, www.antoniopigafetta500.it.

Consigli di lettura:

“Magellano” di Stefan Zweig

Magellano il primo viaggio intorno al mondodi David Salomoni

… per ragazzi:

“L’Armata delle Molucche: Antonio Pigafetta, Ferdinando Magellano e la prima circumnavigazione del globodi Martino Pedrazzini

Immagine in apertura: [elaborazione da] “Maris Pacifici” di Abraham Ortelius (1527–1598). – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ortelius_-_Maris_Pacifici_1589.jpg – Pubblico Dominio. Via Liber Liber