Attento chi legge!

Ma andiamo con ordine. La prima lettera di risposta proviene dalla Rete Nazionale Ricercatori Precari. La realtà descritta nell’articolo di Nature non sembra così cupa se confrontata al dato fornito nella lettera: infatti i 4000 ricercatori citati nell’articolo di Nature appartengono ad una “categoria protetta”, cioè ai soli centri di ricerca, e per di più, ai ricercatori abilitati a posizioni

Ma andiamo con ordine. La prima lettera di risposta proviene dalla Rete Nazionale Ricercatori Precari. La realtà descritta nell’articolo di Nature non sembra così cupa se confrontata al dato fornito nella lettera: infatti i 4000 ricercatori citati nell’articolo di Nature appartengono ad una “categoria protetta”, cioè ai soli centri di ricerca, e per di più, ai ricercatori abilitati a posizioni permanenti – e quindi facilmente visibili ad un censo. In realtà esiste una sorta di subcultura di ricercatori dimenticati nelle pastoie della burocrazia, rendendoli praticamente invisibili alle amministrazioni universitarie e al Ministero dell’Educazione (svista o vista sgradita?), grazie alla proliferazione di non meno di 20 diversi tipi di contratti applicabili a dottorati e postdoc. Di questa elusiva specie di ricercatori si stima una popolazione di circa 60.000 individui. Non male come margine di errore delle stime!

I tagli ai fondi per la ricerca, continua la risposta, faranno in modo che l’Italia conquisti un nuovo ambitissimo primato: essere al di fuori dal Trattato di Lisbona del 2000 per la regolamentazione dei finanziamenti della ricerca da parte delle nazioni dell’Unione Europea – che, in teoria, mirava a fare dell’Unione Europea “l’economia guidata dalla conoscenza più competitiva e dinamica per il 2010” (beh, non lamentatevi, nessuno aveva specificato l’Italia).
 
La seconda lettera è firmata da Ferdinando Boero,  del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali dell’università del Salento. Boero ci racconta come in Italia l’eccellenza nella ricerca sia l’eccezione e non la regola (l’eccezione diventa regola quando si esamina la situazione dei ricercatori italiani all’estero – ma al governo, assicurano, ci sarà un “effetto boomerang”…).

L’università, dunque, abbisogna non solo di maggiori fondi (sì, maggiori di quelli che verranno tagliati), ma anche di una profonda ristrutturazione che serva ad allevare talenti e non a farli rifugiare in favore del mantenimento dello status quo (che il governo giura di scongiurare).

Secondo Boero, uno dei problemi della nostra università è la “stagnazione” ovvero l’assenza totale della valutazione del merito dei docenti o dei ricercatori che sono tutti trattati allo stesso modo senza alcuno sprone al miglioramento competitivo. Inoltre i pochi fondi che circolano nelle università sono assorbiti dall’insegnamento, all’occasione disaccoppiato dalla ricerca. La poca ricerca che viene prodotta, viene poi valutata e macinata in base solo ai temuti e rispettati impact factors, così che aree quali la tassonomia (che suscita a malapena la simpatia di molti professori) sono destinate all’estinzione
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Evidentemente, meglio regnare all’inferno che servire in paradiso (anche se avrei giurato il contrario da altri segnali).

Giorgio Tarditi Spagnoli