“Buena Vista”, ovvero: come imparammo a vedere e a riflettere meglio

L’incremento delle dimensioni degli occhi dei vertebrati acquatici potrebbe aver favorito la conquista delle terre emerse prima dell’origine delle zampe

In uno studio pubblicato pochi giorni fa, Maclver et al. (2017) propongono un interessante scenario sulla transizione che, a cavallo tra il Devoniano ed il Carbonifero (400-350 milioni di anni fa) ha portato all’origine dei tetrapodi, i vertebrati terrestri.

Il record fossile dei pesci sarcopterigi del Devoniano-Carbonifero è ormai sufficientemente ricco perché si possa analizzare l’evoluzione dei vari elementi anatomici (e dei corrispettivi ambiti eco-morfo-funzionali) lungo la linea che porta ai tetrapodi “veri e propri” (ovvero, il nodo “Amphibia + Amniota”) con metodi di indagine filogenetica che siano robusti statisticamente. Mentre, fino a qualche decennio fa, questa fase dell’evoluzione dei vertebrati era ridotta (spesso semplificata in modo estremo nei testi divulgativi) ad una manciata di “anelli di transizione” (tra i quali primeggiava la coppia “EusthenopteronIchthyostega”, quasi a rappresentare le guardie doganali ai due lati della frontiera tra “Pisces” e Tetrapoda), ora disponiamo di dozzine di taxa, che illustrano con maggiore dettaglio le varie spinte adattative (spesso divergenti) e la complessità di una radiazione filetica non più riducibile ad una semplice linea di pesci che si trascinano fuori dall’acqua, imparano a camminare, e poi piantano la bandiera sul suolo asciutto.

Nello studio, gli autori analizzano alcune modifiche nel cranio di vari sarcopterigi paleozoici, in particolare la variazione nella dimensione e posizione dell’orbita e dello spiracolo (l’apertura del cranio che nei pesci fa parte delle fessure branchiali). L’analisi di questi caratteri del cranio indica che in una linea di sarcopterigi, attorno al passaggio Devoniano Medio-Superiore, le dimensioni dell’orbita sono aumentate significativamente (con un aumento del volume dell’occhio stimato in una volta e mezzo), così come la posizione sia dell’orbita che dello spiracolo è andata a porsi dorsalmente sul cranio. I taxa nei quali queste modifiche sono avvenute sono i cosiddetti membri del “grado epistostegide”, il più famoso dei quali è Tiktaalik. Nessuno di questi sarcopterigi era in grado di spostarsi fuori dall’acqua (o, perlomeno, non aveva alcun adattamento a livello delle parti distali degli arti tali da consentire un efficiente movimento fuori dall’acqua). Quindi, quale è la ragione adattativa di queste modifiche in animali acquatici, e cosa ci possono dire delle fasi successive della transizione alla vita subaerea?

L’aumento delle dimensioni degli occhi in questi pesci è apparentemente paradossale. Sia le caratteristiche morfologiche che sedimentarie di questi sarcopterigi suggeriscono che erano abitanti di acque basse. Nei pesci, le dimensioni delle orbite aumentano nelle forme adattate ad acque molto profonde. Cosa avrebbe selezionato l’aumento delle dimensioni degli occhi in questi pesci, che vivevano nei medesimi contesti di altri sarcopterigi che non subirono analoghe trasformazioni?

Maclver et al. (2017) propongono uno scenario macroevolutivo, attraverso 4 stadi rappresentati da altrettanti gradi della linea che porta a Tetrapoda. Per comprenderli, occorre spiegare due differenze fisiche tra ambiente acquatico ed ambiente subaereo.

In acqua, la visibilità è più scarsa che in ambiente subaereo. In particolare, nelle acque basse e relativamente torbide, la visibilità non va oltre qualche metro. Questo significa che in pesci di acque basse, qualsiasi adattamento visivo è piuttosto inutile: se il mezzo acquoso assorbe e disperde la luce, non è vantaggioso perfezionare il sistema visivo, perché comunque la quantità di luce (ed il dettaglio delle immagini) resterà comunque bassa. Difatti, il principale organo sensoriale nei pesci di acque basse è la linea laterale, un sistema che percepisce le variazioni di pressione nell’acqua e che però ha pur sempre un raggio di azione limitato. Nell’aria, invece, la visibilità si misura nell’ordine dei chilometri (o oltre): è nell’ambiente subaereo che l’aumento delle dimensioni dell’occhio è un fattore adattativamente vantaggioso.

Il secondo fattore fisico da considerare è la quantità di ossigeno che può essere prelevata dai due mezzi. In acqua, la concentrazione dell’ossigeno è molto minore che nell’aria. Questo è particolarmente rilevante quando l’acqua è calda e stagnante, il cui tenore di ossigeno può persino annullarsi (eutrofizzazione e poi anossia). In termini fisiologici, reperire ossigeno dall’acqua è meno efficiente e vantaggioso che reperirlo dall’aria.

I sarcopterigi devoniani vivevano quindi in contesti ambientali caratterizzati da acque basse, torbide e relativamente poco ossigenate. Come tutti gli altri sarcopterigi (e anche altri gruppi di vertebrati acquatici paleozoici), questi pesci erano in grado di prelevare l’ossigeno dall’acqua (usando le branchie) e dall’aria (usando un diverticolo del sistema digerente: il polmone). Siccome l’ossigeno atmosferico era (ed è) più facilmente captabile e abbondante di quello in acqua, il polmone rappresentava un organo fondamentale per la respirazione, e non accessorio, importante esattamente come le branchie. L’idea classica che i pesci siano fondamentalmente animali che respirano solo con le branchie non si adatta a questi animali paleozoici. Quelli erano animali con due sistemi di approvvigionamento del comburente: uno più efficiente, tramite l’aria, ed uno più immediato, tramite l’acqua.

Per captare l’aria, questi pesci dovevano pertanto raggiungere la superficie, aprire la bocca e inghiottire aria, un comportamento che portava questi esseri acquatici brevemente a contatto con il mondo subaereo devoniano. Mondo che, sebbene il nostro punto di vista “vertebrato-centrico” tenderebbe a sottovalutare e ad immaginare sterile e deserto, era invece nel mezzo di una enorme rivoluzione biologica. Da almeno 100 milioni di anni, le piante stavano proliferando fuori dall’acqua. E da oltre 50 milioni di anni, numerosi gruppi di “invertebrati”, in particolare gli artropodi, si stavano diversificando sulle terre emerse e sulle piante terrestri. A posteriori, era un mondo vergine e dalle enormi potenzialità per i vertebrati. Ma l’evoluzione non è predittiva né teleologica. Se qualcosa modificò questi sarcopterigi acquatici, fu un fattore contingente, interno al loro stile di vita, non certo qualcosa che potrebbe, in un futuro distante milioni di anni, rilevarsi vantaggioso per i loro potenziali discendenti.

   Credit: Malcolm MacIver, Northwestern University

Nel Devoniano Medio, il nostro mondo di vertebrati subaerei era ancora molto aldilà da venire. I sarcopterigi come Tiktaalik erano animali esclusivamente acquatici, ma che avevano evoluto adattamenti per sfruttare agevolmente la luce che proveniva dalla superficie, portando le orbite in posizione più dorsale, e sviluppando un sistema per respirare più efficacemente l’aria. Tutto ciò non per “conquistare le terre” ma per vivere meglio nel loro contesto acquatico. Per farlo, questi sarcopterigi avevano evoluto una nuova posizione per lo spiracolo, collocato più dorsalmente che negli altri pesci. Lo spiracolo, collegando il tetto della testa con la regione del faringe, metteva in comunicazione il polmone con l’atmosfera senza il bisogno di aprire la bocca per inghiottire aria. Bastava far emergere la sommità della testa per respirare aria. In questi animali, le narici non erano organi respiratori, ma esclusivamente dediti all’olfatto. L’aria arrivava ai polmoni dallo spiracolo: ovvero, da quello che nei nostri corpi è il tubo di Eustachio che connette orecchio e gola.

Non è curiosa l’evoluzione? Il nostro orecchio medio è una camera con un tubo che nel Devoniano serviva a respirare, dove alloggiano ossicini ridotti (incudine e martello) che nel Devoniano (e almeno fino al Triassico) servivano per muovere le mandibole, per masticare. Dentro il nostro organo auditivo abbiamo vestigi di un sistema respiratorio e mandibolare paleozoici.

Tuttavia, avendo sviluppato orbite dorsali per meglio captare la luce che proveniva dalla superficie, questi pesci di acque basse, muniti di spiracolo dorsale, si trovarono un ottimo mix di caratteri per sviluppare un nuovo stile predatorio: l’agguato degli invertebrati che transitavano sul margine degli specchi d’acqua. Non sorprende quindi la forma vagamente coccodrilloide del cranio di alcuni di questi pesci. Con un cranio piatto, orbite poste dorsalmente e spiracoli che permettevano di respirare restando immobili sul pelo dell’acqua, questi animali potevano restare immobili a bordo piscina, in attesa del malcapitato millepiedi, aracnide o proto-insetto. Ma per localizzare una preda, spesso di dimensioni ridotte, che cammina a margine dell’acqua, occorre raffinare la vista, che deve essere più acuta e dettagliata rispetto alla torbida opacità del mondo subacqueo. Maclver et al. (2017) ritengono che la rapida espansione delle orbite proprio nei sarcopterigi di “grado epistostegide” segni la transizione da pesci predatori esclusivamente di prede acquatiche ad animali che iniziarono a sfruttare anche prede subaeree a ridosso degli specchi d’acqua. Dapprima con agguati a bordo piscina, poi perfezionando sempre più la mobilità fuori dall’acqua, fino all’evoluzione di arti veri e propri. L’intera serie di stadi evolutivi potrebbe essersi svolta in una trentina di milioni di anni. Questo modello quindi predice che l’evoluzione di un sistema visivo adatto all’ambiente subaereo precedette gli effettivi adattamenti locomotori per una vita subaerea.

Lo scenario di Maclver et al. (2017) fa una interessante considerazione finale. Nei pesci, il sistema comportamentale è vincolato alla relativa limitatezza del campo visivo subacqueo: se il tuo mondo sensoriale non va oltre pochi centimetri dal tuo corpo, per sopravvivere sei condannato a reagire in modo molto rapido ed immediato. L’intervallo di tempo tra l’avvistamento di una preda o di un predatore e il suo impatto con il tuo corpo può durare pochissimi secondi. Pertanto, il sistema nervoso è progettato per generare risposte immediate, generali e semplici: scappa, scatta, azzanna. Non c’è tempo per elaborare una interpretazione comportamentale raffinata, adattata alle diverse situazioni. Fuori dall’acqua, il contesto cambia. Con un campo visivo potenzialmente infinito (tranne nei giorni di nebbia), reso possibile da occhi ormai perfettamente adatti a discriminare immagini distinte di oggetti distanti, il cervello ha abbastanza tempo per permettersi il lusso di elaborare reazioni specializzate a seconda del contesto. Questo nuovo mondo subaereo, pertanto, fornisce le basi per un’evoluzione cerebrale e comportamentale più plastica ed elaborata rispetto all’ancestrale mondo fatto di acque basse e torbide. Sebbene non si debba assolutamente leggere questo scenario come una sequenza lineare e finalistica, né concludere che l’espansione delle orbite nei sarcopterigi sia il fattore chiave per l’evoluzione dei tetrapodi, questo studio arricchisce la ricostruzione della transizione ai tetrapodi, quasi sempre ridotta ad una storia di pesci che evolvono gambe, di una prospettiva neurologica e sensoriale.

Da Theropoda

Bibliografia:

Malcolm A. MacIver, Lars Schmitz, Ugurcan Mugan, Todd D. Murphey, and Curtis D. Mobley. 2017. Massive increase in visual range preceded the origin of terrestrial vertebrates. PNAS www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1615563114: 1-10.

Immagine: Mr. Tiktaliik, credits John Sandford