Cambio al vertice fra i pesci nel Permiano

L’attuale fauna ittica è dominata da pesci con scheletro osseo, che, diversamente a quanto si riteneva, sostituirono i pesci cartilaginei non solo in seguito a un evento di estinzione di massa, ma riprendendosi meglio da una lunga serie di crisi ecologiche

I momenti di crisi creano problemi, ma anche opportunità per chi li sa sfruttare. Da un punto di vista antropocentrico l’episodio più importante nella storia della vita è stato, senza dubbio, quello che alla fine del Cretaceo ha permesso ai mammiferi di scalzare i dinosauri dal dominio degli ambienti terrestri. Ma quella cretacea non è stata l’unica rivoluzione ecologica su larga scala di cui abbiamo testimonianza grazie alla documentazione fossile: una rivoluzione di portata ben superiore, avvenuta a cavallo tra i periodi Permiano e Triassico, ha riguardato la sostituzione dei pesci cartilaginei con quelli ossei come occupanti della maggior parte delle nicchie ecologiche marine.

Un mare di squali

I mari del periodo geologico denominato Permiano erano dominati da pesci di tipo cartilagineo, alcuni dei quali già molto simili, nei tratti generali, ai moderni squali. Le testimonianze fossili fanno ritenere che questi condroitti si siano evoluti a partire da 395 milioni di anni fa, nel Devoniano, per raggiungere il completo dominio dei mari nel Carbonifero. Questo dominio si è protratto incontrastato fino alla fine del Permiano quando, nel giro di un breve periodo (geologico), furono sostituiti da pesci ossei. La presenza dei pesci cartilaginei nei mari, per quanto ridimensionata, non si è tuttavia interrotta a seguito di questo episodio: squali e razze moderne sono infatti i discendenti dei sopravvissuti fra questi antichi dominatori dei mari.

Farsi le ossa

I pesci di tipo osseo detti osteitti risultano avere un’origine più recente rispetto a quelli cartilaginei: le prime testimonianze fossili relative al gruppo risalgono infatti al Siluriano: 419 milioni di anni fa. Secondo le ipotesi emerse da alcune ricerche precedenti gli osteitti si sarebbero evoluti nelle acque dolci, per poi muoversi verso le acque salmastre e infine quelle marine, trovandole però occupate da specie cartilaginee già ben adattate alle nicchie di quell’ambiente.

Estinzione di massa? Non proprio

Il periodo che ha visto le specie ossee scalzare quelle cartilaginee dal dominio dei mari: il passaggio dal Permiano al Triassico, è noto per essere stato teatro della più grande estinzione di massa mai avvenuta sulla Terra. In seguito a questa estinzione, infatti, si ebbe la scomparsa della quasi totalità della vita marina (scomparve oltre il 95% delle specie). Era ragionevole pensare che l’avvicendamento tra condroitti e osteitti fosse una conseguenza dell’opportunità aperta a questi ultimi dalla grande estinzione di massa. Ma l’analisi delle documentazioni fossili dimostra invece che il cambio di proporzioni fra il numero di specie, nei due gruppi tassonomici, è iniziato ben prima di questo importante episodio, in pieno Permiano, per assestarsi sui valori attuali solo a metà del successivo Triassico.

Una fra tante 

Carlo Romano, paleontologo presso l’università di Zurigo, in collaborazione con ricercatori di numerose università europee, ha di recente pubblicato sulla rivista Biological Review una corposa analisi di tutta la documentazione fossile relativa ai pesci ossei databile al Permiano-Triassico. L’analisi ha preso in considerazione la ricchezza di generi in funzione del tempo per gli osteitti. I pesci ossei sono stati esaminati nella loro totalità, oltre che per alcuni particolari sottogruppi tassonomici: in particolare i sarcopterigi (pesci con pinna carnosa) e attinopterigi (con pinna a ventaglio sostenuta da stecche di collagene, ma priva di ossa e muscoli). Nell’elaborazione dei dati, gli autori hanno preso in considerazione anche le probabili fasce climatiche al momento della morte degli esemplari divenuti poi fossili (al netto della deriva dei continenti). Mentre i fossili che si trovavano all’interno di una massa continentale, al momento della formazione, sono stati considerati come appartenenti a specie d’acqua dolce. I risultati hanno mostrato che, a partire dalla metà del Permiano e fino a metà del Triassico, una serie di crisi ecologiche che hanno colpito tanto i pesci cartilaginei che quelli ossei. Tuttavia, i pesci ossei hanno dimostrato, in tutti i casi, capacità di ripresa molto più efficace di quelli cartilaginei, realizzando diverse radiazioni adattative in grado di generare rapidamente nuove specie per le nicchie ecologiche lasciate libere.

Più grossi, più cattivi

Tra le altre conclusioni ottenute dallo studio alcune sono di una certa importanza: nel corso degli eventi evolutivi che li hanno portati a occupare la maggior parte delle nicchie ecologiche marine, i pesci ossei hanno sperimentato una crescita delle dimensioni corporee medie. Negli habitat marini moderni questo è associato normalmente a una posizione più alta entro la catena alimentare (con l’eccezione dei mangiatori di plancton). Gli autori della ricerca ipotizzano che questo sia avvenuto anche per gli antichi osteitti. Gli stessi episodi di radiazione adattativa hanno infatti portato i pesci ossei anche a sviluppare una grande varietà di nuovi apparati locomotori e boccali, oltre che alla prima comparsa documentata nel gruppo di casi di viviparità. In definitiva, anche la sostituzione dei pesci cartilaginei con quelli ossei conferma quella che in natura, e non solo, si presenta come una legge quasi universale: i momenti di crisi possono essere una grande opportunità per chi sa trovare nuove soluzioni fuori dai vecchi schemi.

Daniele Paulis

Riferimenti:

Greta Carrete Vega, John J. Wiens. Why are there so few fish in the sea? Proc. R. Soc. London B DOI: 10.1098/rspb.2012.0075Published 8 February 2012

Romano C, Koot MB, Kogan I, Brayard A, Minikh AV, Brinkmann W, Bucher H,Kriwet J. Permian-Triassic Osteichthyes (bony fishes): diversity dynamics and body size evolution. Biol Rev Camb Philos Soc. 2014 Nov 27. doi: 10.1111/brv.12161