C’era una volta la filaria, un parassita del cane. Oggi c’è il suo simbionte

Da uno studio sulla simbiosi in un nematode parassita uno strumento potenzialmente utilizzabile per combattere la leishmaniosi, e forse altre malattie

A volte dimentichiamo che gli individui di una specie rappresentano l’ambiente di vita di altre specie, dai microorganismi benefici e commensali che costituiscono il microbiota, sino ai diversi tipi di patogeni e parassiti. Una moltitudine di “passeggeri” che accompagnano gli animali e le piante nei loro cicli biologici, e che interagiscono tra di loro, sia in modo diretto, sia in modo indiretto, mediato dalla risposta immunitaria dell’animale o della pianta ospite.

Traendo spunto da queste considerazioni, un gruppo di ricerca coordinato da Claudio Bandi e Sara Epis dell’Università di Milano ha sviluppato un nuovo veicolo vaccinale, in grado di modulare la risposta immunitaria in senso protettivo nei confronti della Leishmania, un protista parassita molto diffuso fra i cani nei paesi dell’area mediterranea, ma anche nell’uomo nel Medio Oriente e nelle regioni tropicali. L’articolo è stato pubblicato sul numero di novembre di Pharmacological Research [1].

Lo studio è stato sviluppato sulla base di un’osservazione: la filaria Dirofilaria immitis, un nematode parassita una volta molto diffuso nel cane in Pianura Padana, è ormai virtualmente scomparsa in quest’area geografica, almeno per quanto riguarda i cani trattati con i farmaci antifilarici. In parallelo, Leishmania, una volta sconosciuta a nord dell’Appennino, ha iniziato a fare la sua comparsa, con focolai sempre più estesi. Naturalmente è possibile che Leishmania stia ampliando il suo areale geografico per altre ragioni, ad esempio inverni ed inizi di primavera con clima sempre meno rigido negli ultimi venti anni. D’altra parte, come sottolineato dagli autori, i risultati di due studi sperimentali pubblicati da altri gruppi suggeriscono che le filarie potrebbe effettivamente interferire con la leishmaniosi, proteggendolo il cane da questa malattia [2,3].

Queste osservazioni hanno stimolato Claudio Bandi e il suo gruppo ad avviare un progetto di ricerca piuttosto fantasioso: identificare una molecola nella filaria che potesse stimolare la risposta immunitaria del cane, proteggendolo da Leishmania. Ma la storia diventa ancora più curiosa se si pensa che il gruppo di ricerca dell’Università di Milano ha effettivamente identificato una molecola con effetti anti-Leishmania, ma non direttamente nella filaria, bensì nel suo batterio simbionte, la Wolbachia (Pikaia ne ha parlato qui).

Insomma, un sistema fatto da quattro organismi, il cane, la filaria, la Wolbachia e la Leishmania. Che tra loro interagiscono, come era ovvio aspettarsi. Quali sinergie possiamo scorgere in un sistema di questo tipo? L’utilità per la filaria è evidente: una cane con filaria può vivere anni, e la filaria con lui. Proteggendo il cane dalla Leishmania, la filaria protegge sé stessa e allunga la sua vita, aumentando la sua fitness. Da qui, forse, una delle molte spinte selettive che potrebbero avere stabilizzato la simbiosi filaria-Wolbachia. E, d’altra parte, alcune evidenze da studi su filarie di roditori suggeriscono che questi vermi potrebbero proteggere l’ospite anche nelle sepsi batteriche [4]. Dunque, pare che la filaria, e i suoi simbionti Wolbachia, potrebbero effettivamente rappresentare delle fonti di molecole utili per modulare la risposta immunitaria. Quindi come punto di partenza per sviluppo di farmaci e vaccini.

I ricercatori dell’Università di Milano, in collaborazione con l’Università di Pavia, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Istituto Zooprofilattico di Bergamo, una volta identificata la proteina di Wolbachia potenzialmente in grado di attivare una risposta immunitaria protettiva verso la Leishmania (la proteina WSP), hanno ingegnerizzato Asaia, un batterio ambientale innocuo e facilmente coltivabile, perché esprimesse questa proteina. AsaiaWSP è stata quindi utilizzata per stimolare in vitro i macrofagi provenienti da un ospite altamente suscettibile alla Leishmania. All’interno di questi macrofagi, la Leishmania normalmente si riproduce con efficacia, portando alla loro distruzione. Ebbene: i macrofagi pre-stimolati con AsaiaWSP si attivavano, distruggendo la Leishmania, anziché esserne distrutti. Un effetto paragonabile a quello ottenuto con l’Amfotericina B, un farmaco di scelta per la cura della leishmaniosi, ma non sempre risolutivo e non privo di effetti collaterali. In sintesi, il batterio AsaiaWSP sarebbe in grado di attivare i macrofagi nei confronti di Leishmania, con un effetto di killing sul parassita paragonabile a quello determinato da un farmaco (per ulteriori informazioni si può consultare la notizia postata dall’Università di Milano).

Naturalmente non possiamo prevedere se la ricerca condotta dal gruppo dell’Università di Milano potrà tradursi in una cura per la leishmaniosi del cane o dell’uomo, piuttosto che in un nuovo veicolo vaccinale contro Leishmania. Quello che ci fa piacere constatare è che una ricerca pubblicata su una rivista di area eminentemente medica come Pharmacological Research abbia tratto spunto da riflessioni di taglio ecologico ed evoluzionistico, sulle simbiosi e sulle diverse tipologie di pressioni selettive che possiamo attenderci in una matriosca di interazioni, dal cane, alla filaria, alla Wolbachia. C’era una volta la filaria in Pianura Padana, con la sua Wolbachia. Ora non c’è più, ma forse la conoscenza della filaria, della sua biologia e delle sue simbiosi ci insegnerà qualcosa su come curare la leishmaniosi, e magari anche qualche altra malattia, del cane, dell’uomo, o di altri animali.

PUBBLICAZIONI CITATE

  1. Varotto-Boccazzi I. and Epis S., et al. Boosting immunity to treat parasitic infections: Asaia bacteria expressing a protein from Wolbachia determine M1 macrophage activation and killing of Leishmania protozoans. Pharmacol Res. 2020;105288. doi:10.1016/j.phrs.2020.105288.

 

  1. Maia C., et al. Molecular detection of Leishmania infantum, filariae and Wolbachia spp. in dogs from southern Portugal. Parasites Vectors. 2016;9,170. doi.org/10.1186/s13071-016-1452-2.

 

  1. Murthy P.K., et al. Influence of Brugia malayi life stages and BmAFII fraction on experimental Leishmania donovani infection in hamsters. Acta Trop. 2008;106(2):81-9. doi: 10.1016/j.actatropica.2008.01.007.

 

  1. Gondorf F., et al. Chronic filarial infection provides protection against bacterial sepsis by functionally reprogramming macrophages. PLoS Pathog. 2015;11(1):e1004616. doi: 10.1371/journal.ppat.1004616.

Immagine: pete beard, CC BY 2.0, attraverso Wikimedia Commons