“Chi sono io?” disse l’umanzé

Il sito Edge pone il suo quesito annuale, What will change everything?, chiedendo a diversi scienziati, filosofi ed intellettuali, quale fatto, in un futuro prossimo, cambierà completamente la nostra visione del mondo. Richard Dawkins propone il suo fatto epocale: un ibrido tra uomo e scimpanzé, che potremmo chiamare “umanzé” (qui citato sul The Guardian). Tra i limiti assoluti posti dal

Il sito Edge pone il suo quesito annuale, What will change everything?, chiedendo a diversi scienziati, filosofi ed intellettuali, quale fatto, in un futuro prossimo, cambierà completamente la nostra visione del mondo. Richard Dawkins propone il suo fatto epocale: un ibrido tra uomo e scimpanzé, che potremmo chiamare “umanzé” (qui citato sul The Guardian).

Tra i limiti assoluti posti dal pensiero idealistico quello tra “uomo e animale” è certamente uno dei più duri a morire. Ma il pensiero scientifico, nel corso del tempo, ha eroso le convinzioni-convenzioni assunte come verità di fatto nel corso della storia. Una di queste idee rivoluzionarie ed erosive è quella dell’evoluzione, o meglio la discendenza comune di tutti i viventi. È una manciata di codice genetico che rende giustificata una distinzione assoluta tra Homo sapiens e Pan troglodytes? Proprio no.

Dawkins ci pone quindi una questione che romperebbe definitivamente il limite idealistico “uomo/animale”: 1) la scoperta di una popolazione relitta di ominidi come Homo erectus, H. floresiensis o Australopithecus afarensis ma, sfortunatamente, questa possibilità è molto improbabile data l’esplorazione di pressoché tutti gli ambienti di terraferma; 2) un ibrido tra uomo e scimpanzé (in riferimento agli esperimenti di Ivanov degli anni ‘20); 3) la produzione di una chimera con metà cellule umane e metà scimpanzé; 4) la produzione dell’antenato comune di uomo e scimpanzé per interpolazione dei genomi degli stessi. L’ultima ipotesi è quella più affascinante e che potrebbe essere alla portata dei laboratori di ingegneria genetica in un prossimo futuro – nonché sarebbe un nuovo esperimento di “evoluzione applicata”.

Dawkins, già sostenitore del GAP (Great Ape Project) per l’estensione dei diritti umani alle scimmie antropomorfe, insieme all’autore di Liberazione animale, il filosofo Peter Singer, evidenzia con questa previsione come i convenzionali limiti che per semplicità e pigrizia vengono usati normalmente, siano in realtà labili.

Il riconoscimento di uno status intermedio tra uomo e scimpanzé come realtà tangibile sarebbe uno tsunami nei dibattiti sulla bioetica, come i “diritti degli animali” (non-umani ovviamente), l’uso di cellule staminali embrionali, l’aborto etc. anche se potrebbe rendere la vita del nostro “redivivo antenato” un incubo.

Dawkins non auspica necessariamente che queste sue congetture si avverino, ma nonostante ciò non possiamo che unirci a lui nell’emozione che un tale fatto susciterebbe.

Giorgio Tarditi Spagnoli