Conquistare il mondo, annusandolo: i Neanderthal erano meno sensibili di noi agli odori?

odori neanderthal

Secondo uno studio pubblicato su iScience, Homo sapiens mostrerebbe una capacità olfattiva più ampia rispetto a Homo neanderthal e all’uomo di Denisova, causa e conseguenza della sua ampia radiazione geografica.

Gli esseri umani anatomicamente moderni mostrerebbero un repertorio olfattivo più ampio dei propri parenti umani estinti più prossimi, causa e conseguenza della progressiva radiazione geografica della nostra specie. Lo suggerisce una ricerca guidata da Claire A. de March ed altri ricercatori della statunitense Duke University. Lo studio è stato pubblicato su iScience.

Un riflesso del nostro adattamento

Gli autori hanno esplorato la funzione in vitro di trenta geni per recettori olfattivi nel genere Homo. I nostri parenti estinti mostrano sequenze olfattive altamente conservate, a differenza degli esseri umani anatomicamente moderni. L’adattamento geografico di questi ultimi avrebbe ampliato il nostro repertorio olfattivo e la nostra capacità adattativa.

Nei mammiferi differenti recettori olfattivi permettono l’occupazione di nicchie alimentari ed habitat differenti, oltre a riflettersi in una socialità diversa. In confronto alla media dei mammiferi, i recettori olfattivi umani sono prevalentemente orientati alla ricezione degli odori alimentari, fattore che mostra la forte importanza della dieta nella nostra specie. Sappiamo che i cambiamenti evolutivi più recenti della nostra specie sono correlati a importanti cambiamenti nella dieta, come il passaggio dalla caccia e raccolta all’agricoltura, ma cosa si può dire dei cambiamenti evolutivi più profondi, cioè avvenuti in epoche dove tali cambiamenti erano assenti?

L’abbandono del continente africano da parte degli antenati di H. neanderthalensis e dei Denisoviani avvenne ben prima di quello degli umani contemporanei (750 mila anni fa contro 65 mila). Queste specie di esseri umani si separarono reciprocamente circa 300 mila anni fa. I ricercatori si sono domandati se questi eventi indipendenti di diffusione in ambienti diversi possano aver lasciato traccia nella variabilità dei recettori olfattivi del genere Homo.

Una lettura originale del nostro successo evolutivo

Gli studi su questi recettori sono piuttosto limitati. Gli autori ne contano solo due, su due recettori (OR7D4 e OR2M3), ricercati negli umani contemporanei, denisoviani e neanderthal.

Lo studio corrente si propone di esaminare le variazioni di 29 sequenze geniche (open reading frames) che esprimono recettori olfattivi, raddoppiando i genomi finora studiati (ed aggiungendo due ulteriori genomi da Neanderthal e un genoma umano ancestrale), oltre a dati tratti dal progetto 1000 Genomes di umani contemporanei.

Gli autori hanno innanzitutto confrontato le sequenze dei differenti genomi estinti e contemporanei per identificare il numero di varianti e di sequenze conservate fino ai giorni nostri. Successivamente hanno direttamente l’efficacia delle proteine (i recettori olfattivi), espresse da questi geni in linee cellulari appositamente preparate, verificandone la reattività a diversi odori.

I test condotti dal gruppo di ricerca hanno mostrato che i recettori reagiscono alla stessa gamma di odori, ma cambia molto la sensibilità. I recettori dei Denisova in particolare superano sia quelli dei Neanderthal che quelli dei sapiens per alcuni odori caratteristici, come quello del miele e gli odori balsamici, anche se quelli per gli odori floreali sono meno efficienti di quelli umani.

Le varianti dei genomi neanderthaliani hanno mostrato una ricezione tre volte meno efficace di quella umana ad odori vegetali, floreali e di spezie piccanti, e in generale i loro recettori sono quelli meno sensibili, sia rispetto ai Denisova che agli umani. Gli autori, basandosi sul confronto tra i crani neanderthaliani e umani, si sono spinti a ipotizzare che i primi avessero bulbi olfattivi più piccoli dei nostri.

Detto in altri termini: le tre specie, in base ai recettori ottenuti in vitro, avevano un olfatto molto diverso. La conclusione principale suggerita dallo studio è che la differenza nella sensibilità dei recettori olfattivi tra gli umani anatomicamente moderni e i loro parenti umani più prossimi sia un adattamento alla radiazione geografica umana. Visto che solo la nostra è sopravvissuta, gli autori si azzardano anche a ipotizzare che il nostro olfatto più “generalista” possa avere avuto un ruolo nella nostra progressiva “conquista” del pianeta, una volta abbandonato il continente africano.

Gli autori però non possono spingersi oltre, mancando dati fondamentali per suffragare questa tesi, tanto da attribuire a un processo prevalentemente casuale di deriva genetica l’evoluzione della variabilità dei recettori olfattivi in sapiens.

Andare più a fondo

Gli autori concludono lo studio con una onesta considerazione sulla robustezza dei risultati pubblicati:

“Il primo limite di questo studio è al di fuori del nostro controllo: l’esiguità di un campione disponibile per i genomi umani estinti capace di venire incontro ai criteri di analisi che abbiamo scelto.”

Implicitamente, gli autori ammettono anche di non essere certi di come gli odori possano essere percepiti dai recettori espressi dai genomi estinti. Ovvero, in laboratorio è stato osservata la loro capacità di legarsi alle molecole odorose, ma non abbiamo davvero idea di come questo si traducesse nella percezione degli odori. Di fatto, quanto il gruppo di ricerca è riuscito a dimostrare è la differenza di variabilità tra il numero di recettori olfattivi presenti nei genomi umani di Homo sapiens rispetto ai parenti umani evolutivamente più prossimi, risultato che non avrebbero potuto raggiungere senza raddoppiare il campione di sequenze analizzate rispetto agli studi fin qui pubblicati.

Qualità e quantità del campione diventano dunque determinanti per una linea di ricerca che cerca di interpretare il successo del genere Homo e soprattutto della nostra specie, sapiens, anche in termini di vantaggi nella ricezione alimentare e nell’occupazione di più nicchie alimentari rispetto ai propri parenti più prossimi.

Ampliare il materiale di studio diventerà dunque decisivo per determinare se l’efficienza olfattiva della nostra specie sia stato un fattore selettivo determinante o secondario per il nostro successo evolutivo.

Fonte: Genetic and functional odorant receptor variation in the Homo lineage – Claire A. de March, Hiroaki Matsunami, Masashi Abe, Matthew Cobb, Kara C. Hoo. DOI: https://doi.org/10.1016/j.isci.2022.105908

Immagine: Bacon Cph, CC BY 2.5, via Wikimedia Commons