Da Einstein a Darwin, una questione di fiducia

Einstein aveva ragione, la teoria della relatività è salva. Possiamo tirare un sospiro di sollievo. Un problema di sincronizzazione, un cavo difettoso, e il confronto fra i ricercatori del progetto Cngs e il cervello del geniale scienziato tedesco si è chiuso a favore di quest’ultimo. In tutto il gran parlare che si è fatto su questa storia, c’è una questione

Einstein aveva ragione, la teoria della relatività è salva. Possiamo tirare un sospiro di sollievo. Un problema di sincronizzazione, un cavo difettoso, e il confronto fra i ricercatori del progetto Cngs e il cervello del geniale scienziato tedesco si è chiuso a favore di quest’ultimo. In tutto il gran parlare che si è fatto su questa storia, c’è una questione interessante su cui varrebbe la pena soffermarsi, cercando di non farsi distrarre dalla consueta caciara mediatica che ha circondato tanto l’annuncio quanto la sua smentita. 

Se si ripulisce l’evento da ogni forma di spettacolarizzazione, ci si rende infatti conto che l’esperimento congiunto Cern-Infn è uno splendido esempio di come il mondo scientifico sia sempre pronto a mettersi in discussione senza fermarsi, nella sua continua opera dubitativa, neanche di fronte a un caposaldo come la teoria della relatività. Le teorie sono modelli che spiegano la realtà, non leggi immutabili né, tantomeno, la realtà stessa. Ogni teoria è perfettibile e il fatto di dimostrare che alcuni suoi aspetti sono sbagliati o comunque rivedibili non ne sminuisce il grande valore. Le teorie non vengono sostituite, le teorie vengono integrate. 
Attenzione ora, perché la questione è importante: questa può sembrare una sottigliezza, significativa solo per gli addetti ai lavori ma priva di utilità al di fuori della comunità scientifica. Non è così. Vi sono casi in cui questa differenza diventa fondamentale anche per la società. Un esempio? Prendete la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin, costante bersaglio di quanti cercano di sminuirne la portata. Uno degli argomenti più utilizzati per attaccarla consiste nel citare risultati ottenuti da alcuni recenti e significativi programmi di ricerca in biologia evoluzionistica – evo-devo, eredità epigenetica, teoria dei sistemi emergenti, solo per citarne alcuni – come prova della sua fallacia. Ciò che si ignora, o si finge di ignorare, è che tali risultati in realtà integrano il cuore centrale della teoria darwiniana senza sminuirne la potenza esplicativa. Ecco quindi che la differenza cui si accennava prima diventa di primaria importanza: se si fa passare l’idea che queste nuove scoperte rendono superata la teoria darwiniana solo perché ne migliorano alcuni aspetti, allora diventa anche lecito, ad esempio, non insegnarla più nelle scuole, privando così le nuove generazioni di un approccio fondamentale alla comprensione della moderna biologia (e non solo). 
Capire il concetto di teoria scientifica è dunque il primo, fondamentale passo per non cadere in gravi errori di valutazione e per smascherare gli inganni di chi, pur di criticare un modello di spiegazione della realtà tutt’ora funzionante e confermato da diversi esperimenti, si aggrappa ad ogni possibile argomento. A tutt’oggi, non esistono prove che la teoria di Darwin sia sbagliata alla radice, così come non esistono prove che la teoria della relatività sia da mettere in soffitta. L’eleganza di certe teorie sta nella loro capacità di fornire una spiegazione che rimane valida nonostante il progredire delle conoscenze. Sono grandi narrazioni, che possono essere riviste e aggiustate ma non scartate e messe in un angolo; questo perché la forza del loro racconto è universale e non certo perché si tratta di dogmi, come i critici subdolamente insinuano. Di certo, se fossero ancora vivi, tanto Darwin quanto Einstein sarebbero enormemente eccitati dalle nuove scoperte che li riguardano da vicino e sarebbero i primi a cercare di mettere in dubbio le proprie stesse teorie. Come, del resto, hanno fatto i ricercatori del progetto Cngs, mettendo a disposizione i loro risultati dopo mesi di controlli e confidando nella loro puntigliosa analisi da parte dei colleghi, come sempre accade nel mondo della ricerca. Proprio questo è il bello della scienza: la sua apertura al confronto e alle critiche, purché tali critiche vengano sostenute da prove concrete e argomentazioni logiche. Tanto più una tesi è solida, tanto più sarà difficile confutarla. Non sei d’accordo? Vai alla lavagna e dimostrami che hai ragione. 
Non è forse questo un grande esempio di democrazia? Democrazia non nel senso che la scienza si piega al volere della maggioranza (il fatto che la maggior parte delle persone credesse, ai tempi di Copernico, che il sole girasse intorno alla terra non significava certo che ciò fosse vero); democrazia nel senso che chiunque è libero di esprimere la propria opinione, purché abbia argomenti per sostenerla. 
Ecco un ottimo motivo per avere fiducia nella scienza. Non fede, fiducia. Un’altra differenza non da poco.
Michele Bellone