Da fossili marini dell’Eocene un indizio sulla debolezza degli attuali modelli climatici

modelli climatici, fossili

Uno studio sui fossili di piccoli organismi marini dell’Eocene ha stimato un riscaldamento dei poli in quel periodo molto maggiore di quanto ritenuto finora, con possibili implicazioni sugli attuali modelli per gli effetti del riscaldamento climatico

Uno studio sulla composizione chimica dei gusci dei foraminiferi fossili dell’Eocene, minuscoli organismi marini unicellulari rivestiti da guscio calcareo, mostrerebbe una maggior tendenza all’innalzamento di temperatura dei mari polari rispetto a quanto stimato finora. Inoltre i dati raccolti rivelerebbero una sottostima del riscaldamento polare dell’Eocene da parte dei modelli utilizzati per studiare il riscaldamento climatico attuale, tale da gettare un punto interrogativo sulla loro efficacia. A sostenerlo, una ricerca condotta da un team internazionale di ricercatori guidato da David Evans dell’Università di Yale e pubblicato su PNAS.

L’Eocene, epoca geologica che va da 56 a 34 milioni di anni fa, è oggetto di attenzione da parte dei paleoclimatologi per la sua elevata concentrazione di anidride carbonica dell’atmosfera, circa il doppio dell’era pre-industriale (> 560 ppm). Tale fenomenofattore che rende infatti questo periodo un modello attendibile per condurre previsioni sulla risposta della Terra all’attuale innalzamento della concentrazione atmosferica di questo gas e al conseguente aumento della temperatura e dell’acidità delle acque marine. Questo periodo è quindi spesso utilizzato per costruire i modelli climatici che servono a predire l’evoluzione della temperatura sul nostro pianeta.

Come fanno notare i ricercatori, gli studi pubblicati fino ad oggi sul tema presentano il limite di non avere fornito risultati coerenti tra loro sull’entità del riscaldamento dei mari ai tropici durante l’Eocene. Inoltre nella comunità scientifica non c’è consenso sull’entità dell’ “amplificazione polare”, fenomeno che descrive l’innalzamento delle temperature ai poli come conseguenza del riscaldamento alle latitudini inferiori.

Precisamente, lo studio pone i seguenti interrogativi: durante l’Eocene i tropici subirono un riscaldamento maggiore rispetto ad oggi, tale da indurre una amplificazione polare di entità superiore rispetto a quella attuale? Ed inoltre: i modelli climatici attuali confermerebbero questa tendenza per l’Eocene?

Per provare a costruire un quadro coerente attorno a questi quesiti, il team di ricercatori ha condotto un’analisi su campioni fossili di foraminiferi estratti dai mari attorno ad India, Indocina e Tasmania, raccolti in base a criteri comuni come la profondità e la velocità di calcificazione del guscio, così da avere un campionamento il più omogeneo possibile.

Dai gusci di questi protozoi marini infatti è possibile estrapolare temperatura e acidità dei mari da cui sono estratti, come fossero veri e propri “paleotermometri”. I ricercatori hanno analizzato la quantità di isotopi pesanti del carbonio e dell’ossigeno presenti nei gusci, la cui entità è correlata alla temperatura dell’acqua. Oltre a questo, hanno praticato un foro nei campioni per rilevare le quantità di calcio e magnesio presenti nei gusci, da cui è possibile stimare il valori di acidità dell’acqua, valore direttamente legato alle concentrazioni di anidride carbonica disciolta.

L’analisi dei campioni raccolti stima un range della temperatura dei mari tropicali di circa 32-36 °C, circa 6°C in più di quanto rilevato oggi. Secondo i ricercatori, il dato conferma il riscaldamento alle latitudini tropicali durante l’Eocene, oltre a rappresentare una lieve correzione rispetto alla media di 8°C di differenza con le temperature tropicali attuali rilevate dagli studi finora pubblicati.

Sulla base di questi dati, il gruppo di ricerca ha ricalcolato l’entità dell’innalzamento della temperatura ai poli durante l’Eocene costruendo un ampio dataset basato sui dati del gradiente magnesio-calcio rilevato dai propri campioni e sui dati forniti dalla Arcting Coring Expedition.

In seguito all’applicazione di diversi modelli climatici, l’amplificazione polare stimata è di circa 20°C, una conferma del maggior riscaldamento polare rispetto ai tropici. Soprattutto, nota lo studio, l’entità del riscaldamento ai poli durante l’Eocene è dai 10 ai 25°C più alta di quanto rilevato dagli studi pubblicati finora e di quanto rilevato per questo periodo geologico dai modelli climatici attuali.

Gli autori concludono osservando che, se gli attuali modelli sottostimano il riscaldamento polare durante l’Eocene, un periodo studiato per le attuali previsioni climatiche, c’è il serio rischio che i modelli attuali stiano sottostimando anche l’attuale amplificazione polare. Rispetto a questo, nuove e approfondite analisi saranno necessarie per affinare gli strumenti per misurare l’evoluzione della febbre del pianeta.

Riferimenti
David Evans, et al., Eocene greenhouse climate revealed by coupled clumped isotope-Mg/Ca thermometry. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2018; 201714744 DOI: 10.1073/pnas.1714744115

Immagine: di dominio pubblico (da Wikimedia Commons)