Donne scienziate tra ‘800 e ‘900: Rina Monti

Rina Monti è stata la prima donna a divenire Professore Ordinario in Italia. Ma chi era? Partite con Pikaia alla scoperta di questa incredibile scienziata

Nata nel 1871 ad Arcisate in provincia di Varese, Rina Monti si dedicò ben presto a studi scientifici preferendoli a quelli giuridici, che erano invece maggiormente graditi alla famiglia, in quanto il padre era magistrato. In più occasioni la sua passione per le scienze si concretizzò in progetti e attività realizzate con il fratello Achille, di otto anni maggiore.

Dopo la Laurea in Scienze Naturali, ottenuta con il massimo dei voti nel 1892 all’Università di Pavia, la Monti ebbe modo di lavorare prima con il mineralogista Francesco Sansoni, di cui fu assistente per un anno, e poi con il naturalista Leopoldo Maggi, che era divenuto uno dei primi scienziati italiani a dedicarsi ai protozoi, dopo aver condotto studi sia di tipo geologico che biologico.  

Già prima della chiamata come docente a Pavia, la Monti aveva prima affiancato e poi sostituito Maggi nell’insegnamento e nella direzione del gabinetto di Zoologia e Anatomia Comparata dell’Università di Pavia. Nonostante le indubbie competenze, Rina Monti dovette però cedere questa posizione alla morte di Maggi, poiché la cattedra passò ufficialmente nelle mani dello zoologo Andrea Giardina, risultato nel 1906 vincitore del concorso per la cattedra di anatomia e fisiologia comparate a Pavia. Nel concorso vinto da Giardina, le pubblicazioni di Rina Monti vennero giudicate non adeguate per superare il concorso.

Alla ricerca delle leggi della natura

Il rapporto professionale con Maggi è decisamente interessante, poiché il docente pavese alla fine dell’Ottocento era molto impegnato nel ricercare leggi generali in biologia e aveva iniziato a correlare le leggi che regolano lo sviluppo con la legge della razionalità degli indici (usata in mineralogia per regolare la giacitura reciproca delle facce dei cristalli) nel tentativo di identificare elementi comuni nelle leggi che regolano tanto le forme organiche quanto quelle inorganiche. L’idea di cercare leggi comuni nelle scienze della vita tornerà in più occasioni anche nella carriera della Monti, che si interrogherà sempre sulla portata generale dei fenomeni che osservava.

Un ruolo importante nella formazione di Rina Monti venne svolto anche dallo zoologo Pietro Pavesi. Pavesi fu, infatti, un ricercatore con molteplici interessi che spaziavano dall’entomologia all’ornitologia, passando per l’ittiologia e la limnologia.

Rina Monti ebbe modo di formarsi anche con Camillo Golgi lavorando presso il laboratorio di neuro-istologia per apprendere le più innovative tecniche di microscopia, perché suo fratello era stato nominato direttore della sezione patologica del laboratorio. In particolare, la Monti si dedicò al sistema nervoso di vari animali e a questo ambito di ricerca sono da ricondurre alcuni suoi contributi decisamene importanti legati al sistema nervoso di insetti (nel 1892 e 1894) e planarie (1896) e all’innervazione del tubo digerente di pesci e anfibi (qui il link alla versione digitale dell’articolo) e della milza negli uccelli (entrambi nel 1898).

Per la produzione in ambito neuro-istologico venne elogiata da numerosi scienziati, tra cui due figure eccellenti come Gustaf Retzius e Santiago Ramón y Cajal (premio Nobel per la medicina nel 1906), e le venne riconosciuto il premio Cagnola del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, di cui era già anche Socio Corrispondente da diversi anni. Negli anni successivi divenne Socio anche della Anatomische Gesellschaft e della Association des Anatomistes, le società internazionali più prestigiose nel campo dell’anatomia e dell’anatomia comparata.

Nel 1899 ottenne la libera docenza per l’insegnamento di Anatomia e Fisiologia Comparata, ma è solamente nel 1907 che, dopo numerosi concorsi senza successo, ebbe l’abilitazione per il ruolo di Professore Ordinario, prima donna a ricoprire questo ruolo in una università italiana.

Nessuna donna in questa Facoltà

Il tema dei concorsi universitari fortemente sbilanciati verso candidati di sesso maschile è ricorrente nei carteggi di Rina Monti con molti colleghi, così come il fatto che dovesse essere il merito scientifico l’unico elemento da valutare.

In una lettera del 17 giugno 1905, la Monti scrive a Daniele Rosa per spiegare che “io ho innanzi agli occhi soltanto il puro ideale della ricerca scientifica ed intendo percorrere la strada grande dei concorsi e per questa strada voglio raggiungere un posto che mi deve essere conferito per ragioni di giustizia e non di favori” (qui il carteggio tra Rina Monti e Rosa).

In una lettera inviata il 17 novembre 1907, Rina Monti ringrazia Rosa per averla positivamente giudicata nel corso tenutosi all’Università di Siena e di averle permesso di arrivare seconda e quindi in una posizione utile per essere chiamata come Professore Straordinario: “mi sento molto onorata della stima e della fiducia che Ella ha in me e sento il dovere dirle la mia gratitudine, assicurandole che, se una Facoltà vorrà chiamarmi come Straordinaria, farò in modo di non mostrarmi inferiore al compito”.

Come emerge in altre lettere inviate nei mesi successivi, Rina Monti aggiornò più volte Rosa della possibile assunzione prima a Sassari e poi a Pavia, mostrando sempre una profonda gratitudine per i giudizi positivi che Rosa in più sedi presentava in merito al suo valore scientifico. È interessante osservare come pochi anni più tardi, nel 1917, è invece la Monti a contattare Rosa, in procinto di trasferirsi da Firenze a Modena, per invitarlo ad accettare un posto nell’Ateneo pavese. Rosa preferì però la sede di Modena, ma confermò la stima per la Monti suggerendone la chiamata a Pavia. “Io devo a lei alcune –scrive Rina Monti– alte soddisfazioni nella mia vita. In passato di avere vinto un concorso universitario, adesso quello di tornare gradita ad una Facoltà che aveva altre volte manifestato di non voler accogliere una donna” .

Da una lettera del 1918 sappiamo inoltre che Rosa inviò una copia dell’Ologenesi alla Monti, ma non esistono risposte in cui venga espresso un giudizio sulla teoria di Rosa. Indipendentemente dal giudizio sull’Ologenesi, da tutto il carteggio tra Daniele Rosa e Rina Monti emerge una profonda stima reciproca, che non può che ribadire la necessità di ricordare entrambi per il contributo alle scienze della vita e per aver permesso di fare un piccolo passo verso una Università più aperta e senza pregiudizi di genere.

Una scienziata poliedrica

Tornando ai tanti interessi e alla voglia di cercare “le leggi che governano la natura” citati precedentemente, agli inizi del Novecento Rina Monti iniziò, in parallelo al lavoro svolto nel laboratorio di Golgi, a collaborare con il fratello Achille a uno studio sulle marmotte ed in particolare al loro letargo. Questo interesse potrebbe sembrare insolito, ma è la stessa Monti a spiegarne le ragioni:

Quando noi leggiamo nei libri dei viaggiatori – scrive Rina Monti nel 1900 – le storie meravigliose dei fachiri indiani che cadono in letargo e possono stare digiuni per parecchi mesi (…), noi ci sentiamo nostro malgrado invadere da un senso di incredulità. Le storie dei fachiri trovano difficilmente chi voglia accordare loro diritto di cittadinanza nella scienza. (…) Per lo zoologo però il fenomeno non è nuovo, poiché senza scendere tanto in basso nella scala zoologica, anche tra i vertebrati, anzi tra i mammiferi, troviamo degli animali ibernanti, quali le marmotte, il cui lungo letargo è quasi una morte apparente, un fenomeno meraviglioso che già da un pezzo ha richiamato l’attenzione dei naturalisti, un fenomeno la cui spiegazione ne permetterà forse di spiegare il letargo e la catalessi osservate nell’uomo”.

Mentre la carriera procedeva in modo positivo, Rina Monti si trovò invece ad affrontare alcuni problemi sentimentali legati al fatto che Giovanni Marenghi, conosciuto all’Università in quanto anch’egli era allievo di Golgi, decise di rompere il fidanzamento con lei per sposare la nipote del suo maestro. Questo evento ebbe conseguenze anche professionali, poiché la Monti interruppe il rapporto con Golgi e il suo laboratorio, così come andarono a rompersi i buoni rapporti tra Golgi e il fratello della Monti. Achille Monti, infatti, ebbe con Golgi un aspro dissidio che li rese antagonisti per il resto della vita.

Alla grande delusione personale seguì una fase di grandi cambiamenti sia nella vita privata che in quella professionale. Nel 1903 Rina Monti sposò il geologo Augusto Stella, geologo e docente presso i politecnici di Torino e Roma, e dalla loro unione nacquero due figlie, delle quali Emilia seguì le sue orme diventando, a sua volta, una nota limnologa.

Nel 1907, come già anticipato, la Monti risultò seconda classificata in un concorso dell’Università di Sassari, in cui si trasferì come Professore Straordinario in zoologia e anatomia comparata. L’ambiente dell’Ateneo sassarese, pur essendo piccolo e dotato di pochi mezzi rispetto all’ateneo pavese da cui la Monti proveniva, era vivace e incoraggiante, tanto che ella ricordò sempre con piacere quel periodo. Tre anni più tardi, la Monti fu promossa a professore ordinario e rimase a Sassari sino al 1915, anno in cui si trasferì come Professore Ordinario a Pavia, prima alla cattedra di zoologia poi dal 1921 a quella di anatomia comparata. La chiamata a Pavia rappresentò per lei un motivo di grande orgoglio poiché le permetteva di ricoprire la cattedra di anatomia e fisiologia comparate dell’Università di Pavia, che il suo maestro Maggi avevo tenuto per oltre trent’anni.

Il ritorno a Pavia

Il ritorno alla sua sede più amata non fu però facile, perché avvenne in anni difficili segnati dall’arrivo a Pavia di soldati feriti e dalla quasi impossibilità di trovare mezzi per la ricerca. Proprio però nel periodo del primo conflitto bellico mondiale, la Monti iniziò a dedicarsi alla limnologia comparata dei laghi italiani (tra cui quelli della Valle d’Aosta e della Valtellina) e alla colonizzazione graduale dei laghi alpini, aspetti per cui ancora oggi è maggiormente ricordata(qui e qui due sue pubblicazioni molto note in formato digitale dedicate proprio alla limnologia).

La limnologia studia la distribuzione, sia passata che presente, dei laghi sul pianeta, oltre che le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche delle acque, inclusa la diversità biologica che quella acqua è in grado di popolare. Richiedendo quindi sia competenze geologiche che microbiologiche, botaniche e zoologiche, la limnologia è una disciplina decisamente complessa, in cui Rina Monti riuscì ad applicare appieno la sua poliedrica formazione. Infine, come segnalato dallo zoologo Giuliano Gasperi in un articolo del 2021, nella limnologia Rina Monti riuscì a concretizzare anche la ricerca di leggi delle natura che tanto l’aveva appassionata sin da giovane: “le ricerche della sua scuola valsero a illustrare, sui laghi del versante meridionale delle Alpi e delle colonie, un complesso di fenomeni che, al di là dell’interesse locale, avevano valore di leggi biologiche”.

È per altro interessante il fatto che per fare le proprie osservazioni sui laghi (spesso non molto profondi), Rina Monti si avvaleva di una singolare imbarcazione (chiamata pavesia), realizzata nel Cantiere Pietro Baglietto di Varazze, che era stata progettata in funzione dello svolgimento dei campionamenti da compiersi sui laghi posti in montagna. Lo scafo era costituito da uno scheletro in legno ed era rivestito di un telo impermeabile, così da risultare perfettamente smontabile, leggero e trasportabile come fosse uno zaino.

Il trasferimento a Milano

Nel 1924 Rina Monti fu inviata a Milano per seguire la sezione naturalistica della neofondata Università di Milano, Ateneo in cui Rina Monti rimase coprendo la cattedra di Anatomia e Fisiologia Comparata della Facoltà di Scienze, nonché l’incarico di docente di biologia generale e di zoologia e anatomia comparata per gli studenti della Facoltà medica. Nel 1936, su disposizione del Ministero, venne collocata a riposo e morì pochi mesi dopo, il 25 gennaio 1937, a soli 66 anni d’età.

Rina Monti ci ha lasciato una grande eredità scientifica, frutto di un lungo, determinato e paziente lavoro che, come ricordava la sua allieva (e poi collega limnologa) Livia Pirocchi, era il frutto di “un ritiro quasi monacale, lungi da tutte quelle forme di esibizione e di mondanità che, secondo quanto Ella soleva ripetere, avevano il solo effetto di allontanare dal lavoro sereno e proficuo”. Ogni tanto capita che qualche storico suggerisca che alle scienziate manchino quella determinazione, spavalderia e sicurezza di sé necessarie per affermarsi, Rina Monti certamente non sarebbe stata d’accordo.

Per approfondire

La vita di Rina Monti è stata raccontata in una puntata (a cura di Jessica Maffei) della serie di webinar Passato, presente e futuro delle donne nella scienza realizzati dal Museo di Storia Naturale Kosmos di Pavia (qui il link). Qui potete, invece, rivedere la puntata di Donne scienziate tra ‘800 e ‘900 del 13 ottobre 2021 dedicata a Rina Monti e a Eva Mameli Calvino, di cui abbiamo già parlato.

Fonte immagini: ritratto (Wikimedia), ritratto di attività sul campo (archivio Università di Bologna).