EndemixIT, la genetica a tutela della biodiversità

Il progetto pilota coordinato da Giorgio Bertorelle per cinque specie italiane, dalla farfalla all’orso, studia i genomi delle specie italiane a rischio di estinzione

Con il consenso degli interessati, ripubblichiamo un’interessante approfondimento apparso il 4 settembre su Agenda17, Webmagazine del Laboratorio DOS (Design Of Science) dell’Università di Ferrara, in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza  e con l’Ufficio stampa, comunicazione istituzionale e digitale dell’Università di Ferrara. I redattori del Webmagazine sono gli studenti del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza Unife (anno in corso e precedenti).

La salvaguardia della biodiversità rappresenta un tema fondamentale in un mondo in cui intere specie, ogni giorno, rischiano di estinguersi. Secondo il Living Planet Report del World Wildlife Fund (WWF), dal 1970 al 2014 si è osservata una diminuzione pari al 60% nelle popolazioni di vertebrati del nostro pianeta: è in corso una vera e propria estinzione di massa, la sesta sul nostro pianeta ma la prima a essere conseguenza – diretta o indiretta – delle azioni umane sugli ecosistemi.

Una risposta a questo problema è il progetto EndemixIT, coordinato da Giorgio Bertorelle, professore di Biostatistica e genetica della conservazione presso l’Università degli studi di Ferrara. Obiettivo di EndemixIT è proteggere cinque specie endemiche italiane a rischio di estinzione, partendo dallo studio dei loro genomi, e di fare da apripista per altri studi simili.

Giorgio Bertorelle, professore di Biostatistica e genetica della conservazione presso l’Università di Ferrara (©Unife)

Le popolazioni animali a rischio sono costrette a sopravvivere in habitat profondamente modificati, subendo pressioni selettive quali cambiamenti climatici, eventi atmosferici estremi, competizione con nuovi predatori e carenza di cibo. Chi sopravvive è chi si adatta, ovvero chi è capace di evolversi in risposta al nuovo ambiente. 

Sono le caratteristiche genetiche di una specie a definirne le probabilità di sopravvivenza. L’indagine sui genomi permette di valutare come gli animali a rischio siano predisposti all’accumulo di mutazioni svantaggiose e se sia possibile attuare dei salvataggi genetici, per preservare le specie mantenendone le caratteristiche.

“Stiamo cercando di capire se queste cinque specie hanno le caratteristiche genetiche per potersi adattare oppure se stanno invece entrando nel vortice dell’estinzione – spiega Bertorelle – un fenomeno per cui la popolazione si riduce di numero ed è più sottoposta a rischi stocastici, casuali, come un’alluvione che elimina un certo numero di esemplari.”

I protagonisti del progetto: dalle farfalle all’orso

Il progetto è focalizzato su cinque specie modello. Si tratta di specie molto diverse tra loro; tutte, però, sono endemiche del territorio italiano, e tutte figurano sulla lista rossa dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (International Union for Conservation of Nature, IUCN) in quanto a rischio di estinzione.

Il più piccolo tra questi animali è la farfalla di Ponza, o Hipparchia sbordonii. Porta il nome del suo scopritore, il professor Valerio Sbordoni dell’Università di Tor Vergata, che ha collaborato al progetto EndemixIT. Le sue ali screziate di bruno si mimetizzano sul territorio dell’arcipelago pontino, suo habitat esclusivo; le diverse minacce che deve affrontare, tuttavia, hanno ridotto di molto i suoi numeri, al punto che oggi la sua presenza è confermata soltanto sulle isole di Ponza e Palmarola.

L’Hipparchia sbordonii, conosciuta popolarmente anche come “farfalla di Ponza”, è un lepidottero diurno appartenente alla famiglia Nymphalidae (sottofamiglia Satyrinae) ed è una specie endemica italiana confinata nelle Isole Ponziane, dove non sono presenti altre specie affini (©Wikipedia)

La seconda specie è esclusiva di un altro arcipelago, quello eoliano: sugli scogli di queste isole abitala lucertola delle Eolie, Podarcis raffonei. A mettere in pericolo questo piccolo rettile è soprattutto la competizione con un’altra specie di lucertola, Podarcis sicula. Quest’ultima è una specie invasiva, e si è diffusa fuori dalla sua nativa Sicilia a causa dell’uomo: un esempio dell’influenza, anche indiretta, dell’azione umana sugli ecosistemi. 

La lucertola delle Eolie (Podarcis raffonei) è un sauro della famiglia dei Lacertidi, endemico delle isole Eolie (© Wikipedia)

Arriviamo all’ululone appenninico, un rospo non più lungo di un dito indice con singolari pupille a forma di cuore e un ventre giallo brillante, che mostra agli aggressori come avvertimento della sua tossicità. Vive lungo tutta la catena appenninica, dove si può sentire il richiamo emesso dai maschi che gli ha fatto guadagnare il nome di ululone. Il suo habitat effettivo è molto diminuito, specialmente nel settentrione; le popolazioni sono spesso isolate le une dalle altre, e a volte contano non più di dieci individui.

L’ululone appenninico o ululone italiano (Bombina pachypus) è un anfibio anuro della famiglia Bombinatoridae, caratterizzato da una pelle ruvida per piccole escrescenze ghiandolari (©matteodinicolaphotography)

L’unico pesce tra le specie studiate abita le acque del Mar Adriatico: lo storione cobice pattuglia i fondali sabbiosi alla foce dei grandi fiumi, e li risale in primavera per riprodursi. In questo viaggio deve affrontare molti ostacoli, dalle acque inquinate alle dighe che sbarrano i corsi d’acqua, fino alla competizione con specie invasive come il pesce siluro

Lo storione cobice (Acipenser naccarii) è un pesce eurialino semi-anadromo endemico del Mar Adriatico (© Parco Ticino)

In passato, la pesca intensiva ha portato lo storione cobice sulla soglia dell’estinzione; oggi sopravvive grazie a iniziative di ripopolamento, che prevedono di allevare gli storioni in cattività per poi liberarli in natura. Anche i ricercatori del progetto EndemixIT hanno allevato degli storioni: il loro obiettivo, però, è stato di studiarne la fitness, ovvero la capacità di sopravvivere e riprodursi dei diversi esemplari in base al loro patrimonio genetico.

L’ultimo protagonista del progetto EndemixIT è l’orso marsicano, simbolo del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Si tratta, tecnicamente, di una sottospecie dell’orso bruno, ma non per questo è privo di particolarità. “Il marsicano è un orso docile – racconta Bertorelle – a differenza di altri orsi europei, non si sono mai registrati attacchi all’uomo da parte sua.”

L’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) è un mammifero onnivoro della famiglia degli Ursidi: si tratta di una sottospecie dell’orso bruno comune (Ursus arctos arctos) endemica dell’Italia centro-meridionale, nella regione storico-geografica della Marsica (© Terre Marsicane)

Per lunghi anni, il bracconaggio ha segnato la vita di questo animale; anche oggi, la sua presenza sul territorio è minacciata dalle modificazioni umane al suo habitat. Dal 2011 esiste un piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano, stipulato tra Regioni, Ministero dell’ambiente, Legambiente e WWF, e la storia dell’orso ha acquistato fama grazie ai media. Tuttavia, si stima che attualmente ne siano rimasti meno di 100 esemplari.

Genomica della conservazione

“Il nostro obiettivo è quello di capire l’accumulo delle mutazioni genetiche svantaggiose – dichiara Bertorelle – per fare ciò partiamo dal campionamento degli individui, per poi estrarre il DNA e sequenziarlo.”

Le mutazioni, infatti, tendono ad accumularsi in popolazioni poco numerose come quelle degli animali in causa: meno individui in una popolazione si traducono in una minor variabilità genetica. “Succede la stessa cosa nei matrimoni tra famiglie reali, la probabilità di manifestare malattie genetiche aumenta” spiega Bertorelle. 

La scarsa variabilità genetica ha effetti anche sulla capacità di adattarsi di una specie. È l’ambiente a selezionare quali sono i geni più vantaggiosi, ma se ci sono meno geni tra cui “scegliere”, diminuisce la probabilità che un gene sia quello adatto ad affrontare una nuova sfida.

Per ciascuna delle cinque specie, i ricercatori hanno sequenziato innanzitutto un individuo da usare come riferimento, quindi almeno venti individui da popolazioni diverse, compito più facile avendo già il genoma di riferimento. 

Population Genomics of Italian Endemics (©EndemixIT)

“È interessante notare che il numero dei nucleotidi di una determinata specie non è legato alla complessità dell’essere vivente – continua Bertorelle – noi, per esempio, abbiamo tre miliardi di basi nel nostro DNA, mentre il rospo dell’Appennino ben dieci miliardi.” Le cinque specie hanno caratteristiche genomiche molto diverse e hanno comportato sfide particolari.

A ciascuna, i ricercatori hanno abbinato un gruppo di animali a numerosità più alta, appartenente alla stessa specie o a una simile. Nel caso dell’orso marsicano, ad esempio, hanno considerato l’orso slovacco, un’altra sottospecie del bruno. “In termini medici, se il marsicano è il gruppo che riceve il trattamento, lo slovacco è il controllo” spiega Bertorelle.

Questi “gruppi di controllo” saranno importanti nella fase successiva allo studio dei genomi: i ricercatori intendono fare simulazioni di operazioni chiamate salvataggi genetici, per verificarne fattibilità e conseguenze. 

“Cosa succederebbe se prendessimo un orso slovacco, o un altro orso europeo e lo introducessimo nella popolazione marsicana? Sicuramente alzerebbe la variabilità genetica, e potrebbe contrastare le mutazioni deleterie che si sono accumulate, ma rischieremmo di modificare le caratteristiche dell’orso, cosa che non vogliamo” racconta Bertorelle.

Queste simulazioni costituiranno gran parte dell’attività futura del progetto: al momento, i ricercatori hanno quasi finito con la fase di campionamento e sono a buon punto con quella di sequenziamento, ma la maggior parte dei dati devono ancora essere analizzati. La prospettiva futura è quella di utilizzare i risultati ottenuti da EndemixIT come modello, considerando interventi specifici su altre specie a rischio. Progetti come EndemixIT rappresentano un aiuto fondamentale per preservare la biodiversità e proteggere il patrimonio biologico dei vari habitat.

Fonte: Agenda17