Esiste una relazione tra qualità dell’educazione scolastica ed accettazione della teoria dell’evoluzione?

Una ricerca pubblicata da J. D. Miller nel 2006 indicava che la percentuale di cittadini che accettavano (o rifiutavano) la teoria dell’evoluzione variava da nazione a nazione, con la peculiarità che il numero di americani adulti che rifiutavano la teoria dell’evoluzione era significativamente più alto rispetto a quanto non accadesse in 32 nazioni europee studiate ed in Giappone. Per spiegare

Una ricerca pubblicata da J. D. Miller nel 2006 indicava che la percentuale di cittadini che accettavano (o rifiutavano) la teoria dell’evoluzione variava da nazione a nazione, con la peculiarità che il numero di americani adulti che rifiutavano la teoria dell’evoluzione era significativamente più alto rispetto a quanto non accadesse in 32 nazioni europee studiate ed in Giappone.

Per spiegare questa differenza alcuni autori hanno ipotizzato che la preparazione scolastica offerta agli studenti americani fosse inadeguata per una piena comprensione della teoria dell’evoluzione, tanto che anche gli studenti di college sarebbero incapaci di evitare semplici fraintendimenti, oltre che di capire pienamente il valore e l’applicabilità della teoria dell’evoluzione.

 

Lo studio di Miller non prendeva in considerazione le nazioni in via di sviluppo, mentre queste nazioni potrebbero rappresentare un interessante “modello sperimentale” per verificare se la presenza di una adeguata formazione scientifica, piuttosto che di autorità religiose particolarmente presenti, rappresentino fattori limitanti la possibilità di accettare la teoria dell’evoluzione.

 

L’ultimo numero della rivista Evolution presenta i risultati di una sperimentazione didattica condotta da Anusuya Chinsamy ed Eva Plaganyi in Sud Africa presso l’Università di Cape Town, in cui gli autori hanno valutato se i livelli di accettazione della teoria dell’evoluzione variavano a seguito dell’offerta di lezioni sull’evoluzione. In particolare, Chinsamy e Plaganyi hanno verificato tramite questionari, svolti sia prima che dopo le lezioni, se il modo di percepire l’evoluzione fosse cambiato nel campione di studenti oggetto della sperimentazione, dato da studenti di 18 anni di diverso credo religioso (cristiano, induista, islamico, buddista e giudaico).

 

Da questa sperimentazione è emerso che le conoscenze pregresse degli studenti erano molto scarse in materia di evoluzione, anche se questo risultato può essere spiegato considerando la recente introduzione dell’evoluzione nei programmi scolastici del Sud Africa che potrebbe riflettersi in una inadeguata preparazione dei docenti su queste tematiche.

 

Un secondo aspetto che emerge è legato al fatto che il miglioramento dell’offerta didattica ha contribuito a rimuovere alcuni fraintendimenti che impedivano una corretta comprensione della teoria dell’evoluzione. In particolare, sono risultate molto più efficaci le lezioni che affrontavano l’evoluzione in modo fattivo ovvero mostrando dati ed esempi pratici piuttosto che spiegare concetti generali in modo librario. A questo riguardo, i dati riportati da Chinsamy e Plaganyi concordano con una sperimentazione fatta in Libano dieci anni fa in cui si mostrava come presentare dati e risultati fosse molto più efficace nel favorire l’accettazione dell’evoluzione rispetto ad una lezione sui concetti. Favorire una didattica basata sui fatti dell’evoluzione, piuttosto che primariamente sui concetti, è quindi da considerarsi una strategia vincente per insegnare l’evoluzione in nazioni in cui l’educazione scientifica è al momento poco diffusa.

 

Al termine della sperimentazione, molti studenti hanno modificato il proprio modo di vedere l’evoluzione, divenendo in grado di accettare l’evoluzione come teoria supportata da dati per spiegare il mondo che ci circonda. Ben illustra questo cambiamento la risposta data da uno studente su come fosse cambiato il proprio modo di vedere l’evoluzione dopo le lezioni: “I think it makes more sense now, and pieces fit together better”.

Mauro Mandrioli

 

Fonte immagine: University of Cape Town