Etologia ed etica: terza puntata

Marco Celentano, coordinatore della Scuola di Cassino, ha presentato una lettura critica di diversi approcci “evoluzionistici” al tema dell’origine dei vincoli morali, mostrando come le posizioni elaborate negli ultimi decenni ripropongano, almeno in parte, modelli già discussi negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento – dopo la pubblicazione di L’origine dell’uomo di Darwin (1871) – e già sottoposti ad una severa

Marco Celentano, coordinatore della Scuola di Cassino, ha presentato una lettura critica di diversi approcci “evoluzionistici” al tema dell’origine dei vincoli morali, mostrando come le posizioni elaborate negli ultimi decenni ripropongano, almeno in parte, modelli già discussi negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento – dopo la pubblicazione di L’origine dell’uomo di Darwin (1871) – e già sottoposti ad una severa critica da Nietzsche.

L’origine dell’uomo viene riletta da Patrick Tort come l’annuncio di un effet réversif de l’évolution, un rovesciamento della selezione naturale che solo l’evoluzione umana avrebbe realizzato: i più deboli non vengono più eliminati, bensì difesi e protetti. Celentano fa notare quanto poco realistica sia tale ricostruzione: perché la storia umana dovrebbe riassumersi nell’espansione dei diritti dei più sforniti, e non invece nella globalizzazione del diritto del più forte?

La gamma di posizioni innatiste sull’origine dei vincoli morali, analizzata dal relatore (Jonathan Haidt, Marc Hauser, Steven Pinker, Richard Dawkins) va dall’ipotesi forte di una “grammatica morale universale” e di “istinti morali”, che ci vincolano per via ereditaria; ad alcuni “tu devi”, proposta da Hauser e ripresa da Dawkins; all’ipotesi di Pinker secondo cui abbiamo scritte nella mente, non delle regole rigide, ma almeno delle inferenze morali del tipo “se/allora”; fino ad una versione più “debole”, ma scientificamente più solida, proposta dall’etologo e primatologo Frans de Waal, che spiega l’ontogenesi dei vincoli morali sulla base di programmi di apprendimento innati e forme di imprinting morale che consentono il formarsi di una sorta di bussola interna, forgiata però dall’ambiente sociale.

Seppur con doverosi distinguo, le obiezioni che Nietzsche poneva al “darwinismo morale” della sua epoca possono essere estese, secondo Celentano, alle posizioni espresse da tutti i protagonisti del dibattito attuale. Esse identificano come origine della distinzione tra “buono e cattivo”, “morale e immorale”, la dicotomia tra “altruismo” ed “egoismo”. Ma prima che si diffondesse l’identificazione tra “buono”, “morale” e “altruistico” da un lato, e “malvagio”, “immorale” ed “egoistico” dall’altro, per millenni in vaste zone del mondo dominarono altri tipi di “morale” in cui, per esempio, la crudeltà e la brama di dominio erano considerate virtù.

Invece di prendere come punto di partenza le attuali distinzioni morali e proiettarle sulla loro genesi storica, un’attenta indagine genealogica mostrerebbe all’origine di ogni attitudine umana, non una continuità evolutiva, ma una serie di exaptations (Gould & Vrba 1982), di mutamenti di funzione, conservati da pressioni selettive interne ed esterne. Ma, osserva Celentano, anche la ricostruzione nietzschiana tende ad assolutizzare un unico modello di origine della civiltà, mentre la realtà storica attesta una pluralità di forme di transizione all’“umano”.

L’“origine”, conclude il relatore, è allora forse solo un punto convenzionale, alle spalle del quale troviamo sempre una serie di scosse e fratture, una parziale riorganizzazione o uno slittamento funzionale di ciò che già esisteva – utile o meno che fosse –.

Irene Berra

(Continua…)