Filosofia, biologia, cambiamento scientifico e Disegno Intelligente

Michael Ruse, della Florida State University, è uno dei maggiori filosofi della biologia, ed è anzi considetato uno dei fondatori di questa disciplina: protagonista di una molteplicità di collaborazioni, autore di moltissimi libri sui più diversi temi della biologia, ha fondato l’autorevole rivista Biology & Philosophy, della quale è tuttora redattore emerito. Negli ultimi anni si è molto impegnato nel

Michael Ruse, della Florida State University, è uno dei maggiori filosofi della biologia, ed è anzi considetato uno dei fondatori di questa disciplina: protagonista di una molteplicità di collaborazioni, autore di moltissimi libri sui più diversi temi della biologia, ha fondato l’autorevole rivista Biology & Philosophy, della quale è tuttora redattore emerito. Negli ultimi anni si è molto impegnato nel dibattito pubblico con gli esponenti del Disegno Intelligente (su Youtube si trovano molti video dei suoi interventi, soprattutto in dibattito con “Bill” Dembski). Nel 1981 è stato testimone in tribunale nella causa McLean contro Arkansas, in cui si dibatteva la legittimità della legge firmata dal governatore Frank White che permetteva l’insegnamento della “scienza della creazione”. Tra i molti libri di Ruse, ne elenchiamo i più recenti relativi alle tematiche dell’intervista:

  • But Is It Science?: The Philosophical Question in the Creation/Evolution Controversy, a cura di Robert T. Pennock & Michael Ruse, Prometheus Books, 2008.
  • Intelligent Design: William A. Dembski & Michael Ruse in Dialogue, Fortress Press, 2007.
  • Debating Design: From Darwin to DNA, a cura di William A. Dembski & Michael Ruse, Cambridge University Press, 2007.
  • Evolution: The First Four Billion Years, a cura di Michael Ruse & Joseph Travis, Belknap Press, 2009.
  • The Oxford Handbook of Philosophy of Biology, a cura di Michael Ruse, Oxford University Press, 2008.
  • Taking Darwin Seriously: A Naturalistic Approach to Philosophy, di Michael Ruse, Prometheus Books, 1998.

Pikaia: Un filosofo della scienza italiano, Mauro Dorato, ha recentemente scritto un libro intitolato Cosa c’entra l’anima con gli atomi? Da filosofo della fisica, la sua intenzione era quella di mostrare che cosa abbia a che fare la filosofia con la fisica. Cosa risponderebbe se qualcuno le chiedesse «cosa c’entra la filosofia con la biologia?»

MR: Beh, penso che la mia risposta sarebbe la seguente. Non credo che la relazione tra filosofia e biologia sia qualcosa di speciale. Penso che la questione sia il rapporto tra filosofia e molti campi come fisica, antropologia, biologia, ma credo anche politica, arte, e così via. Come filosofo – e io sono un filosofo – non penso di stare facendo biologia (non più di quanto come filosofo della politica starei facendo politica). Piuttosto, ciò che faccio è avvicinarmi a un campo come la biologia – o come la politica – con un po’ di conoscenza complessiva su come pensiamo, su come ragioniamo, o su eventuali differenze, differenti modi di pensare ad esempio tra la politica e ciò che chiamiamo religione, e così via. Mi piace pensare che la filosofia possa aiutare a chiarificare tematiche – spesso si tratta di tematiche che sono problematiche all’interno di una particolare disciplina, e a portare un po’ di luce su di esse. Ora, in un certo senso questo potrebbe suonare molto arrogante, ma in realtà non lo è.

Pikaia: A volte vi possono essere atteggiamenti difensivi verso il filosofo.

MR: Beh, penso sia vero. In una certa misura i filosofi dovrebbero avere una certa umiltà. Il grande filosofo inglese John Locke disse una volta «io sono un bracciante (underlabourer) e cerco di risolvere alcuni problemi che le persone hanno. Non sono un grande scienziato come Isaac Newton o Robert Boyle o altri. Sono un bracciante, e cerco di liberare il terreno in modo che le piante possano crescere». E io in certa misura credo che questo sia il posto della filosofia. Sì, non sono un biologo, non sono un politico, e non lo voglio essere, ma voglio invece chiarificare e capire. E una delle bellezze dell’essere un filosofo è che non sono obbligato a rimanere confinato in una area della biologia: oggi posso occuparmi di evoluzione, domani di fisiologia, dopodomani di sociobiologia, poi di evo-devo – ma anche, naturalmente di qualcosa come la ricerca sulle cellule staminali se voglio. Bene, e proprio come accadrebbe se fossi un biologo evoluzionista, sarebbe difficile avanzare senza collaborare con qualcuno. Direi che per me ciò che è importante è tentare di avere il senso del quadro complessivo di ciò che dà spessore alla vita, un senso complessivo del significato della realtà, e io faccio questo guardando ad aree come la teoria dell’evoluzione.

Pikaia: Infatti, mentre preparavo questa intervista ho cercato di capire se lei fosse specialista in qualcosa, ma lei ha sempre cambiato i suoi interessi nel corso della sua carriera.

MR: È vero, ho scritto un bel po’, e probabilmente lo sai poiché molti dei miei libri sono stati tradotti in italiano. Sebbene io lavori sulla biologia evoluzionistica mi piace continuare a spostarmi in aree differenti, perché penso che essa sia un’area così vasta. Una volta lavoro sugli esseri umani, un’altra volta su – diciamo – la sociobiologia, poi su “Dio e la biologia”, e mi piace occuparmi di tutte queste cose.

Pikaia: La filosofia della biologia ha qualche caratteristica distintiva?

MR: Penso che un filosofo sia un po’ come un medico. Un filosofo generale è come un medico generico (general physician). Qualcuno entra e dice «ah, ho mal di testa» oppure «mi fa male lo stomaco». Ora, puoi iniziare ad analizzare cosa sta succedendo: porti l’esperienza passata di altre persone che hanno avuto mal di testa o di stomaco; consideri anche se stai trattando con – diciamo – una donna di mezza età o con un ragazzo adolescente (questo deve rientrare nella tua analisi perché, sai, con l’adolescente non è molto probabile che il mal di stomaco indichi la menopausa, mentre per la donna di mezza età potrebbe). Penso che la filosofia si comporti proprio nello stesso modo.
Ora il punto è: se incontri problemi, allora a un certo punto potresti dire «bene, ora è il momento di mandarla da uno specialista», diciamo un ginecologo, o un pediatra che si intende di problemi di crescita, e così via. E io penso che quello sia il punto in cui il filosofo della biologia entra in gioco come figura differente dal filosofo generale. Perché egli ha dovuto spendere del tempo per guardare le teorie biologiche in dettaglio, per cercare di capirle e apprezzare – ad esempio – il lavoro che sta tra la teoria e la prova (evidence), e questioni del genere. E il filosofo dice «bene, forse possiamo aiutare a chiarire i problemi dove ci sono disaccordi, cercando di districare le idee, offrire un po’ di comprensione». Collaborare a categorizzare cose differenti può essere molto d’aiuto.
Ecco un esempio dove una conoscenza filosofica generale potrebbe essere d’aiuto: spesso le persone, in particolare i giovani, discutono dell’esistenza di Dio. Ciò che scopri dopo un po’ è che non stanno parlando della stessa nozione di dio. Uno sta parlando di un vecchio in un lenzuolo bianco, che sta nell’alto dei cieli, e un’altro sta parlando di un’idea molto più concettuale, del fondamento di tutto l’essere (the ground of all being). In inglese diciamo che “they argue in a logaheads”: stanno discutendo di cose diverse. Ora, io penso che come filosofo tu diventi sensibile al fatto che a volte – non sempre, ma a volte – i disaccordi riguardano meno i dati, e più il fatto che le persone non hanno chiaro nella mente che cosa vogliono difendere, o che cosa pensano che gli altri cerchino di difendere.
Un perfetto esempio in biologia evoluzionistica è il dibattito sulla selezione di gruppo (group selection). Da una parte, senti qualcuno dire «io credo nella selezione di gruppo», e qualcun altro dire «oh, no, io non credo nella selezione di gruppo». Ma in certa misura il disaccordo non è sulla selezione di gruppo, ma su come si usa il termine “selezione di gruppo”. Se insisti nell’includere la selezione di parentela (kin selection) nella selezione di gruppo, allora forse arriverai a dire «oggi si deve ammettere la selezione di gruppo». Se, al contrario, sostieni che «no, la selezione di parentela non fa parte della selezione di gruppo», allora sosterrai che «non bisogna ammettere la selezione di gruppo». Ecco, in un caso come questo, in certa misura (forse in grande misura) le persone sono in disaccordo sulla terminologia, non sulla biologia.

Pikaia: Mi interessa molto cosa pensa della proposta di una “nuova sintesi evoluzionistica” portata avanti da alcuni biologi, i quali tra l’altro chiedono anche l’aiuto dei filosofi su questa.

MR: No, personalmente penso che una grande teoria non resti mai ferma. Un grande teoria cambia sempre. Certamente abbiamo visto enormi cambiamenti da quando Darwin pubblicò L’Origine delle specie, centocinquant’anni fa, ad oggi. Ma allo stesso tempo io la vedo come esattamente la stessa teoria. E prevedo che se mi intervisterai tra cent’anni, nel 2109, niente di ciò che facciamo oggi sarà uguale, e ancora sarà la teoria di Darwin. L’analogia che mi piace – se puoi perdonarmi nel paese della Maserati e della Ferrari – è il Maggiolino Volkswagen. Fu inventato dal Dr. Porsche in Germania, nel 1937-1938. Oggi mia figlia Emily in Florida guida un Maggiolino Volkswagen. Non un pezzo dell’auto di Emily è identico all’auto che c’era a Berlino nel 1938. Eppure  è così ovvio che si tratta della stessa auto. Quindi mi aspetto che in futuro ci sarà un Maggiolino con il motore elettrico, oppure più contenuto nei consumi… non lo so ovviamente, ma sospetto che – diciamo – tra cinquant’anni avremo ancora il Maggiolino Volkswagen, ma sarà un’auto completamente differente. Questa è l’analogia che mi piace per la teoria dell’evoluzione. Non penso che abbiamo bisogno di una nuova teoria, ma il punto è: la teoria di oggi cambierà completamente.

Pikaia: Lei vede una sorta di continuità in questo cambiamento.

Certo, è proprio così. Credo che sia quanto accade alle grandi teorie: cambiamento per continuità (change by continuity). Vi furono due grandi filosofi prima di Socrate. Uno, Eraclito, diceva «non puoi entrare nello stesso fiume due volte: tutto cambia». L’altro, Parmenide, diceva «niente cambia». E penso che entrambi avessero ragione. Nella teoria di Darwin tutto cambia, niente cambia.

Pikaia: L’ultima domanda…

MR: …sì, penso che le donne italiane siano bellissime!

(risate)

Pikaia: Ok, ha ragione, sono troppo serio… ma cosa può dirci del Disegno Intelligente?

MR: Ah, bene, la teoria del Disegno Intelligente. Ho lavorato un bel po’ su di essa, e mi ci sono interessato molto, perché conosco diverse persone tra i leader del movimento – a livello personale sono molto amico di alcuni di loro. Non credo che la teoria del Disegno Intelligente sia scienza. Penso che faccia appello ai miracoli e non credo che la scienza contemporanea ammetta il ricorso a miracoli. Penso che sia una forma americana di religione evangelica, travestita da scienza per aggirare la separazione tra chiesa e stato sancita dalla costituzione degli Stati Uniti, per rendersi accettabile su basi costituzionali nelle classi statunitensi.
 
Pikaia: Sì, ma il problema è che anche in Europa ora abbiamo movimenti simili.

MR: È vero, li avete, in particolare in stati come l’Olanda, dove c’è un gruppo protestante conservatore molto estremo. E, ovviamente, anche nella chiesa cattolica avete persone simpatizzanti, come il cardinale Schönborn o, penso, forse anche il papa. Credo che la causa principale di questo – particolarmente nel mondo cattolico – sia che a loro non piace lo stridente ateismo di alcuni evoluzionisti di spicco, come Richard Dawkins, Dan Dennett e altri. E così, in certa misura, associano il darwinismo – e la scienza – con l’ateismo. E così, a quel punto, tendono a cercare di metterli da parte in toto. Voglio dire, questo si ripercuote anche in aree come la ricerca medica sulle cellule staminali e così via. Così credo che ci sia nella chiesa cattolica verso l’evoluzione quella che chiamerei una ostilità politica, più che qualcosa che abbia un qualche fondamento teologico. Perché infatti sosterrei – ho sostenuto – che non c’è assolutamente nessuna ragione per cui un cristiano praticante non dovrebbe essere un evoluzionista. Se Dio vuole progettare il mondo su basi evoluzionistiche invece che attraverso miracoli, è affare di Dio, non nostro. Voglio dire – come dicevano nell’Ottocento – che ognuno di noi potrebbe essere stato creato individualmente da un uovo, ma nei fatti noi nasciamo attraverso il rapporto sessuale, con un pene introdotto in una vagina, e i Vittoriani dicevano «beh, è veramente disgustoso», ma questo è ciò che Dio ha voluto, e dobbiamo farcene una ragione. E la mia sensazione è che se puoi accettare il rapporto sessuale, l’evoluzione è facile.

Intervista di Emanuele Serrelli