Gastronomia darwiniana

L’uso delle spezie in cucina puo’ essere spiegato in prospettiva evoluzionistica….. Un bel soffritto di cipolla e scalogno, un pizzico di curry, una foglia di alloro o di basilico, due rametti di salvia e rosmarino per insaporire un arrosto: sono gesti consueti, quasi automatici per chi si diletta, o lavora, con pentole e padelle. In tutte le cucine del mondo

L’uso delle spezie in cucina puo’ essere spiegato in prospettiva evoluzionistica….. Un bel soffritto di cipolla e scalogno, un pizzico di curry, una foglia di alloro o di basilico, due rametti di salvia e rosmarino per insaporire un arrosto: sono gesti consueti, quasi automatici per chi si diletta, o lavora, con pentole e padelle. In tutte le cucine del mondo sono presenti erbe e spezie, e senza dubbio in alcuni Paesi esse abbondano particolarmente, tanto che la loro cucina viene riconosciuta come particolarmente saporita e piccante. E’ curioso apprendere che la scienza si interessi delle ragioni che inducono gli uomini a usare questi prodotti vegetali: in particolare Paul W. Sherman, professore di neurobiologia e comportamento animale all’Universita’ di Cornell, nell’ambito dei suoi studi sul comportamento sociale degli animali, si e’ occupato qualche anno fa di questo tema. Ognuno di noi puo’ ritenere di avere una risposta sul perche’ gli umani aggiungono spezie ed erbe alla preparazione del cibo: quella piu’ immediata potrebbe essere che i cibi risultano di sapore piu’ gradevole, e cio’ e’ sicuramente vero per molti di noi. Altre ragioni potrebbero essere addotte sul perche’ questa pratica sia iniziata e continui tuttora: i cattivi sapori del cibo non propriamente conservato vengono coperti; in alcuni casi aumenta la traspirazione e quindi l’eliminazione del calore corporeo in eccesso; si dimostra la propria agiatezza nel potersi permettere ingredienti costosi; si assumono sostanze nutrienti e/o curative. Tutte queste ragioni sono probabilmente valide, ma non costituiscono, a detta di Sherman, la ragione determinante. Questa va ricercata nelle proprieta’ battericide e batteriostatiche delle sostanze contenute nella stragrande maggioranza di erbe e spezie utilizzate in moltissimi Paesi del mondo. La ricerca ha infatti dimostrato, attraverso l’analisi di quasi cinquemila ricette di piatti di carne ricavate da libri di cucina appartenenti a 36 Paesi (dall’India alla Norvegia, dal Ghana all’Australia), che si puo’ parlare di co-evoluzione tra agenti patogeni che si possono sviluppare nel cibo e comportamento difensivo umano mediante l’utilizzo di sostanze antibatteriche ed antivirali gia’ prodotte dai vegetali per motivi analoghi, cioe’ per difendersi dai vari tipi di germi. I gruppi umani potrebbero aver cominciato in modo casuale questa pratica: il cibo poteva risultare comunque piu’ saporito e faceva sentire meglio (digeribilita’, effetto vermicida). Con l’andare del tempo, i gruppi familiari che avevano acquisito quest’uso erano piu’ in salute, e cosi’ la loro prole. Si dimostra che i Paesi a maggior rischio in questo senso, e cioe’ quelli a clima tropicale, fanno un uso piu’ massiccio e variegato delle spezie: c’e’ una correlazione molto chiara tra temperatura media annuale di un Paese e uso delle spezie, che risulta ancora piu’ evidente in un Paese come la Cina, dove si puo’ fare il confronto tra cucine regionali di aree climaticamente molto diverse. Anche le ricette “evolvono” secondo uno schema Darwiniano, per rispondere alla diminuita o non piu’ presente efficacia rispetto agli agenti patogeni: quando questi sviluppano resistenza, oppure ne migrano di nuovi, vengono aggiunte nuove spezie per riacquistare gli effetti desiderati. Il limite alla quantita’ utilizzabile di una spezia e’ rappresentato dalla tossicita’ che molte delle sostanze attive inevitabilmente presentano al di sopra di una certa concentrazione. Nonostante l’avvento di frigoriferi e congelatori, l’uso delle spezie si dimostra utile anche al giorno d’oggi: i Paesi industrializzati che hanno una cucina piu’ “saporita” presentano ogni anno minori casi di intossicazione alimentare.

Potete leggere l’intero articolo, pubblicato su BioScience.

Paola Nardi