I cambiamenti climatici mettono a rischio i primati sudamericani

Con sempre maggior frequenza si riscontrano in diverse zone del pianeta situazioni di criticità per molte specie, sia animali che vegetali, dovute ai cambiamenti climatici. Purtroppo però non sempre sono disponibili ampi set di dati che permettano un confronto statisticamente valido tra l’andamento del clima nel corso degli ultimi decenni e quello della dinamica di popolazione delle specie a rischio.

Con sempre maggior frequenza si riscontrano in diverse zone del pianeta situazioni di criticità per molte specie, sia animali che vegetali, dovute ai cambiamenti climatici. Purtroppo però non sempre sono disponibili ampi set di dati che permettano un confronto statisticamente valido tra l’andamento del clima nel corso degli ultimi decenni e quello della dinamica di popolazione delle specie a rischio.

Due ricercatori della Penn State University, il professore associato di Biologia Eric Post e Ruscena Wiederholt, hanno condotto uno studio riguardante gli effetti del clima sulle popolazioni di quattro specie di primati sudamericani. I risultati sono stati pubblicati tra le Biology Letters dell’ultimo numero della rivista della Royal Society di Londra. Oltre un terzo delle specie di primati attualmente presenti sulla Terra è a rischio estinzione (Pikaia ne ha parlato qui), dunque valutare gli effetti dei cambiamenti climatici e del surriscaldamento globale su tali specie è di fondamentale importanza.


I ricercatori si sono concentrati su quattro specie: il murichi settentrionale (Brachyteles hypoxanthus), presente in Brasile, la scimmia lanosa bruna (Lagothrix lagotricha) diffusa in Colombia, l’atele di Geoffroy (Ateles geoffroyi) studiato a Panama (nella foto) e l’aluatta rossa (Alouatta seniculus) del Venezuela. Queste quattro specie, appartenenti a generi diversi della famiglia Ateline, formano gruppi sociali e passano la maggior parte del tempo sugli alberi nutrendosi di foglie e frutti. In particolare, la scimmia lanosa bruna e l’atele di Geoffrey si nutrono prevalentemente di frutti, l’aluatta rossa predilige le foglie, mentre il murichi mangia sia foglie che frutti. Dunque la dieta di questi primati è legata alla produzione, da parte degli alberi su cui vivono, di semi, frutti e foglie; l’ipotesi testata dagli scienziati è che eventuali cambiamenti nella produzione da parte degli alberi dovuti a modificazioni climatiche porterebbero a drastici cali delle popolazioni di questi primati. I ricercatori hanno confrontato i dati sulla dinamica di popolazione di queste specie, resi disponibili da precedenti studi di monitoraggio portati avanti per decenni da altri gruppi di ricerca, con quelli sulle fluttuazioni della disponibilità di cibo, a loro volta ricavati da precedenti studi. Infine tutti i dati sono stati confrontati con gli andamenti sulla temperatura, la distribuzione delle piogge e la durata della stagione arida nei Paesi dove le specie vivono.


I risultati ottenuti confermano l’importanza dell’andamento climatico sulla dinamica di popolazione di questi primati. Si evidenzia una correlazione tra il riscaldamento climatico dovuto al fenomeno del Nino e la dinamica di popolazione delle tre specie che si nutrono esclusivamente o prevalentemente di frutti (scimmia lanosa bruna, atele di Geoffrey e murichi). Durante le fasi di riscaldamento dovute al Nino la produzione di frutti aumenta, con conseguente incremento nelle popolazioni di primati. In seguito al Nino si verifica il fenomeno opposto, detto la Nina, di raffreddamento: in questa fase le piante diminuiscono drasticamente la produzione di frutti, limitando dunque la disponibilità di risorse per le popolazioni con conseguente forte calo nel numero di individui. Anche l’aluatta rossa mostra cali nella popolazione legati al fenomeno del Nino: probabilmente ciò è dovuto alla scarsa produzione fogliare durante prolungati periodi di siccità, con conseguente stress nutrizionale ed elevata mortalità soprattutto tra le femmine adulte.


La temperatura è cresciuta di 0,74° C negli ultimi cento anni ed è previsto un ulteriore aumento compreso tra 1,8 e 4°C in questo secolo, con fenomeni quali El Nino sempre più frequenti; al fine di salvaguardare la biodiversità del nostro pianeta è fondamentale incrementare gli studi che riguardano le correlazioni tra questi eventi climatici, lo stato della vegetazione e la dinamica di popolazione di specie a rischio.


Federico Ossi

Riferimenti:
Ruscena Wiederholt, Eric Post, Tropical warming and the dynamics of endangered primates, Biol. Lett. published online before print October 28, 2009, doi:10.1098/rsbl.2009.0710

Foto di Andrea Romano