I mammiferi maschi sono sempre più grandi delle loro partner?

mammiferi leoni marini

I maschi tendono a essere più grandi delle femmine. Questo assunto tradizionale sembrerebbe parzialmente smentito da una recente analisi sul dimorfismo sessuale di taglia nei mammiferi, pubblicato su bioRxiv.

Una nuova, ampia analisi su oltre 400 specie di mammiferi potrebbe ridimensionare la conclusione secondo cui i maschi di mammifero sarebbero fisicamente più grandi delle femmine. A suggerirlo, un preprint pubblicato sulla piattaforma bioRxiv da di Kaja Tombak, dell’Università di New York e Severine B.S.W. Hex e Daniel I. Rubestein dell’Università di Princeston.

Un bias storico?

Il dimorfismo sessuale di taglia è la differenza di taglia tra maschi e femmine in un determinato gruppo di animali. Dove questa differenza non si rileva, si parla di monomorfismo. Il dimorfismo è una caratteristica determinata in parte dalla selezione sessuale e in parte da quella naturale. Dove la prima setaccia gli effetti della competizione, prevalentemente maschile, per la conquista riproduttiva delle femmine, la seconda seleziona caratteri come taglia e altezza in base ad altre esigenze come, per esempio, la corsa agli armamenti dovuta alla predazione. Il risultato è che spesso risulta complesso determinare quanto la taglia maggiore dei maschi rispetto alle femmine dipenda dall’una o dall’altra.

Questo problema aveva portato lo stesso Darwin a concentrarsi sulla pressione che la competizione sessuale imprime al dimorfismo di taglia maschile. Fu Darwin a introdurre l’idea che l’investimento riproduttivo femminile porterebbe a una selezione sessuale sotto forma di competizione maschile.

Storicamente gli studi sul dimorfismo sessuale di taglia nei mammiferi, senz’altro tra i vertebrati più studiati, attribuiscono al maschio una dimensione maggiore. Già dall’inizio della loro ricerca gli autori sottolineano la limitatezza di questi dati, spesso costituiti prevalentemente da quantificazioni della massa corporea per ciascun sesso su pochi taxa, come artiodattili (cervi, cinghiali, daini, caprioli…), primati e pinnipedi (otarie, trichechi), escludendo taxa rappresentativi dell’ordine dei Carnivori come roditori e chirotteri (pipistrelli).

Gli autori si sono proposti di verificare la solidità di questa conclusione, analizzando dati da 405 specie, ciascuna delle quali rappresentata da almeno 9 esemplari per sesso, coprendo inoltre almeno il 5% di 58 famiglie di mammiferi sulle 76 esistenti che contengono almeno 10 specie.

I risultati hanno almeno parzialmente smentito questa storica conclusione, e gli autori pensano che si possa attribuire a un vero e proprio bias.

Mammiferi maschi e femmine…non così diversi

I risultati mostrano che il 38,7% delle specie studiate sono sessualmente monomorfiche, cioè prive di una differenza di taglia tra maschi e femmine; il 44,5% sono dimorfiche con taglia maschile maggiore e il 16,8% sono dimorfiche con taglia femminile maggiore.

Per esempio, i dati illustrano come la specie più dimorfica sia il leone marino, il cui maschio è 3,2 volte più grande della femmina, mentre il pipistrello Murina peninsularis è uno dei rari casi in cui la femmina è 1,4 volte più grande del maschio.

Ma questi dati suggeriscono un’ulteriore rilettura se si cambia il criterio di valutazione delle differenze. Gli autori, a dimostrazione dell’incompletezza dei dati pubblicati in letteratura, fanno notare che se si considera la lunghezza corporea al posto della massa le differenze tra specie monomorfiche e dimorfiche si riducono ancora di più. Considerando la lunghezza corporea come parametro, il 48% delle specie non varia tra maschio e femmina, mentre le specie con maschi più grandi e quelle con femmine più grandi sono rispettivamente il 29,7% e il 22,3%.

Secondo gli autori, all’incirca una specie di mammifero su due non presenterebbe differenze di taglia tra maschi e femmine. È un riequilibrio non indifferente.

Se si confrontano livelli tassonomici superiori le differenze tra ordini di mammiferi sono ancora più grandi. Per esempio, la metà delle specie di Roditori (ordine Rodentia), che è l’ordine più ricco di specie tra i mammiferi, è monomorfico: non ci sono differenze di taglia tra maschi e femmine; la metà delle specie di Chirotteri, che è il secondo ordine per numero di specie tra i mammiferi, ha femmine più grandi dei maschi.

Il peso della tradizione

Gli autori sottolineano che questi dati sono stati sottovalutati perché in letteratura prevalgono studi su Artiodattili, Carnivori e Primati, tutti ordini dove il dimorfismo di taglia è a favore dei maschi.

La narrazione che vede i maschi di mammiferi generalmente più grandi delle femmine non sembrerebbe così supportata dai dati:

“I nostri risultati non supportano la narrazione del maschio più grande. Mentre le specie con i maschi più grandi rappresentano le singole categorie con i risultati più estremi, abbiamo scoperto che i maschi non sono più grandi delle femmine nella maggior parte delle specie e che il monomorfismo sessuale è frequente quasi quanto il dimorfismo maschile (e perfino più frequente se si considera la lunghezza corporea al posto della massa)”

Di fatto, gli studi di letteratura sembrano mostrare un pregiudizio che si auto-rinforza: per molto tempo sono state studiate specie che già presentavano un cospicuo dimorfismo di taglia, dalla quale si è dedotto un dimorfismo generale per la classe dei Mammiferi. L’interpretazione classica della selezione sessuale darwiniana, basata sul diverso investimento energetico nella riproduzione tra maschi e femmine, avrebbe avuto l’effetto di consolidare questa linea conclusiva sulla base di una scarsità di dati.

Ovviamente anche questo studio (che non è ancora stato sottoposto a peer-review) mostra un difetto di taglia del campionamento, come evidenziato dal gruppo di ricerca:

“È importante comprendere che anche il nostro studio non deve essere considerato l’ultima parola sull’analisi del dimorfismo di taglia nei mammiferi. Abbiamo dato priorità alla qualità dei dati sulla quantità e le nostre conclusioni si basano solo sul 5% delle specie esistenti di mammiferi.”

La conclusione della ricerca è però chiara: a causa di un bias di fondo, i dati di monomorfismo sessuale nei mammiferi sono sottostimati.

Sarà necessario ampliare le ricerche sull’effetto della competizione maschile e della selezione sessuale sulle femmine, oltre ad ampliare il campionamento e l’entità dei dati studiati. Soprattutto, sarà necessario trovare un modo di studiare il rapporto tra selezione sessuale e naturale nei mammiferi, in modo da poter distinguere quali pressioni selettive sulla taglia e sulle prestazioni fisiche dei due sessi derivino dalla competizione per la riproduzione e da quella per sfuggire ai predatori o per predare. Insomma, è un campo di ricerca ancora aperto.

Riferimenti:

New estimates indicate that males are not larger than females in most mammals; Kaia J. Tombak, Severine B. S. W. Hex, Daniel I. Rubenstein; BiorXiv; DOI: https://doi.org/10.1101/2023.02.23.529628

Immagine: NOAA’s National Ocean Service, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons