I resti italiani del “pesce spada” dell’era dei dinosauri

La revisione di alcuni reperti fossili italiani fornisce nuove informazioni su un pesce peculiare del Mesozoico

Protosphyraena è un genere di pesci ossei iconici del Cretaceo, vissuti tra circa 125 e 65 milioni di anni fa e appartenenti alla famiglia Pachycormidae, che comprende abili predatori di mare aperto di grandi dimensioni (tra 2 e 3 metri di lunghezza) e dal corpo affusolato, simile a quello di un pesce spada attuale.

Nonostante Protosphyraena fosse diffuso negli oceani di quasi tutto il mondo, ad oggi scheletri completi di questo genere sono piuttosto rari. Più comunemente sono stati scoperti, invece, resti frammentari che comprendono solitamente denti isolati aguzzi, rostri conici e parti di pinne pettorali a forma di falce. Il primo fossile noto di Protosphyraena consiste in un frammento di pinna pettorale rinvenuto nella Chalk Formation nell’Inghilterra meridionale. Invece, la prima segnalazione italiana del genere risale a fine ‘800, quando il paleontologo Francesco Bassani (1853-1916) descrisse per la prima volta un dente incompleto proveniente dal calcare del Cretaceo Superiore di Castellavazzo (Longarone, Belluno).

Come pubblicato sulla Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, alcuni paleontologi dell’Università di Padova e Torino hanno rianalizzato resti frammentari di Protosphyraena rinvenuti in Italia nord-orientale in precisi intervalli della successione stratigrafica cretacea, con il fine di far luce sulla loro classificazione fino a quel momento ancora incerta. In particolare, è stata condotta un’analisi morfologica sui resti di pinne pettorali, che ad oggi rappresentano i reperti fossili più comuni del genere nel record paleontologico italiano. È stato osservato che le pinne pettorali sono formate da raggi molto spessi e ravvicinati e da una dentellatura molto evidente di forma triangolare lungo il margine anteriore. Dal momento che agli inizi del ‘900 il paleontologo inglese Arthur Smith Woodward (1864-1944) descrisse questi caratteri come diagnostici di Protosphyraena ferox, gli studiosi hanno attribuito con precisione i fossili italiani a questa stessa specie.

Inoltre, l’analisi morfologica ha messo in luce che alcuni dei resti italiani attribuiti in tempi storici al genere Protosphyraena erano stati identificati in modo erroneo. Ad esempio, tra questi sono presenti alcuni resti di pinna caudale, che si sono rivelati come appartenenti al gruppo tassonomico degli ittiodettidi, una famiglia di grandi pesci del Cretaceo, e frammenti di un rostro appiattito, che rimangono tuttora di incerta attribuzione a causa della loro morfologia, diversa dalla tipica forma conica di Protosphyraena.

Infine, lo studio del materiale italiano ha aggiunto ulteriori informazioni sul range stratigrafico e paleogeografico di Protosphyraena, ovvero sulla distribuzione nel tempo e nello spazio di questo genere, fino a quel momento poco dettagliata. Infatti, i resti italiani di questo pesce osseo, sebbene frammentari, hanno contribuito a definire meglio il record paleontologico del genere nella Tetide centrale, ossia nell’antico oceano che si estendeva in gran parte dell’Europa durante il periodo del Cretaceo.

Questo studio valorizza i fossili italiani di un genere di pesci ossei del Cretaceo conservati nei musei paleontologici locali, confermando l’importanza dal punto di vista storico e scientifico delle loro collezioni, al momento poco note alla comunità scientifica internazionale.

Bibliografia:
Amalfitano J., Giusberti L., Fornaciari E., Carnevale G., 2017. A reappraisal of the Italian record of the Cretaceous pachycormid fish Protosphyraena Leidy, 1857. Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia 123(3): 475-485.

Immagine: Dmitry Bogdanov [GFDL], via Wikimedia Commons