Il legame segreto fra la Peste e le malattie autoimmuni

Lo studio del DNA antico ci permette di comprendere come gli europei siano sopravvissuti alla più grande pandemia della storia. Le varianti protettive contro la peste avrebbero però favorito la diffusione di nuove patologie

L’utilizzo della biologia molecolare nell’archeologia moderna continua a dare nuovi frutti.

Poche settimane dopo il premio Nobel a Svante Pääbo, un nuovo articolo pubblicato su Nature ci permette di fare maggiore luce su come la peste nera abbia influito sul percorso evolutivo della nostra specie.

I suoi autori, tra cui spiccano Jennifer Klunk del dipartimento di Biologia e Antropologia dell’Università McMaster dell’Ontario e Luis B. Barreiro, genetista dell’Università di Chicago, hanno scoperto come la malattia abbia favorito all’interno della popolazione europea la diffusione di alcune varianti di geni. Attraverso l’analisi del DNA antico di centinaia di reperti provenienti dalla Danimarca e dall’Inghilterra medioevali hanno identificato piccole mutazioni che regolano l’espressione di alcune componenti del sistema immunitario umano, e che nel corso del Trecento permisero a chi li possedeva di avere maggiori chance nel sopravvivere alla malattia. Tuttavia nel corso del tempo le stesse mutazioni “condannarono” i loro discendenti a cadere maggiormente vittima di patologie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn e alcune forme di sclerosi.

La storia della peste
La peste già prima del Trecento era famosa per essere una delle malattie più micidiali che potessero colpire l’uomo. Seppur i casi classici come la Peste di Atene o la Peste Antonina siano stati riconsiderate oggi dai medici come patologie diverse rispetto alla peste causata da Yersinia pestis, che coinvolse prima l’Asia e poi l’Europa nel corso del Basso Medioevo fino a metà Seicento (la Peste Antonina ultimamente si ritiene che fosse in realtà vaiolo o una variante diversa di lebbra), già a partire dal 540 d.C. l’Europa era entrata in contatto con la malattia. Per colpa di queste prime pandemie alto medievali infatti il vecchio continente giunse a perdere dai 25-100 milioni di abitanti, a partire dal regno di Giustiniano all’800 d.C., anno d’incoronazione di Carlo Magno.

Quando giunse quindi dall’est la nuova ondata di peste a inizio Trecento, fu spinta probabilmente in Europa dalle massicce migrazioni di uomini e animali, dovute all’espansionismo degli eserciti mongoli. Si diffuse facilmente anche a causa della scarsa igiene e dell’elevato numero di ratti che viveva nelle città. Ma la popolazione non era del tutto indifesa nei confronti della malattia: alcune persone avevano già dentro di loro dei geni che aiutavano a combatterla, che erano probabilmente comparsi all’interno della popolazione a partire dalla peste di Giustiniano.

Confrontando le antiche sequenze dei reperti precedenti la peste del Trecento con le sequenze dei nati di due generazioni dopo l’ultima ondata, i ricercatori hanno notato che questi ultimi erano nella maggioranza dei casi i discendenti di coloro che durante la pandemia disponevano in particolare di quattro varianti.

Queste varianti genetiche continuarono a diffondersi ulteriormente con lo scoppio delle nuove ondate di peste che afflissero l’Europa fino al Seicento. Questo indica che ci sia stata forma di selezione che favoriva coloro che disponevano del vantaggio immunitario.

Varianti protettive, armi a doppio taglio
Secondo lo studio le varianti alterano l’espressione di alcuni geni come ERAP2, che codifica una proteina abile nel rintracciare e tagliare le proteine superficiali di Yersinia pestis, favorendone l’eliminazione da parte del sistema immunitario. Durante le fasi acute della pandemia trecentesca, coloro che possedevano tali variazioni genetiche avevano il 40% di sopravvivere alla malattia e una buona probabilità nel tramandarla ai posteri.

Passata la peste però, tali variazioni assunsero un nuovo ruolo all’interno del percorso evolutivo umano. La stessa variante ERAP2 che permise agli antichi di sconfiggere la peste nera oggi è nota per favorire la malattia di Crohn, mentre una seconda variante assicura a un maggior rischio di artrite reumatoide, che non a caso colpisce di più l’Occidente rispetto l’Oriente. Tali varianti in pratica hanno assunto il ruolo di armi a doppio taglio all’interno dell’evoluzione umana, esercitando più volte nel corso della storia una notevole pressione selettiva all’interno delle popolazioni europee. Ed è grazie allo studio del DNA antico se oggi riusciamo a comprendere meglio le conseguenze impreviste delle passate pandemie.

Riferimenti: Klunk, J., Vilgalys, T. P., Demeure, C. E., Cheng, X., Shiratori, M., Madej, J., …Barreiro, L. B. (2022). Evolution of immune genes is associated with the Black Death. Nature, 1–8. doi: 10.1038/s41586-022-05349-x

Immagine: Maestro del Trionfo della Morte, autore sconosciuto, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons