Il pericoloso accostamento tra evoluzione ed ateismo

La settimana scorsa, come annunciato anche su Pikaia, è andata in onda la prima puntata della serie “The genius of Charles Darwin” realizzata da Richard Dawkins. A giudicare dalla grande quantità di commenti pubblicati sui giornali americani ed inglesi deve essere stato un vero e proprio successo di pubblico! Sul sito web di Times è stato pubblicato un articolo di

La settimana scorsa, come annunciato anche su Pikaia, è andata in onda la prima puntata della serie “The genius of Charles Darwin” realizzata da Richard Dawkins. A giudicare dalla grande quantità di commenti pubblicati sui giornali americani ed inglesi deve essere stato un vero e proprio successo di pubblico!

Sul sito web di Times è stato pubblicato un articolo di Libby Purves a commento della trasmissione di Dawkins su Darwin, che riprende una critica emersa in vari siti web: è corretto e strategicamente utile per la scienza (e per la biologia evoluzionistica in particolare) continuare ad accostare evoluzione ed ateismo? O questa strategia potrebbe essere autolesiva? Secondo Libby Purves non vi è alcun dubbio: il rischio è che forzando la scelta tra religione e scienza il pubblico scelga la religione: “Darwin shines; evolution is as marvellous as Dawkins says. But it is not fair to use Darwin’s beautifully evolved brain to bang the drum for your private conviction that there is nothing out there. Nobody knows. Not really. Teaching children real science is one thing, making them choose God or evolution is another. Stupid, too, in a Professor of the Public Understanding of Science. If you offer a choice between science on one hand and faith and tradition on the other, too many people will reject science. A subtle and well-evolved species like us can accept both ammonites and Alleluias“.

Non è mancata la risposta di Richard Dawkins che sempre dalle pagine di Times ha fatto notare che molti stanno già scegliendo la religione, ma lo stanno facendo a priori rispetto a quanto la scienza propone. In particolare, ecco un estratto della risposta di Dawkins: “She goes on to say, . I expect it’s true that the few believers Libby Purves meets over canapés are not creationists. But “most believers”? Most believers in Bradford? The Scottish Highlands? Pakistan? Indonesia? The Arab world? South America? Indeed, North America? Polls suggest that more than 40 per cent of the British population are creationists. For the subset who call themselves believers, the figure must be considerably more than 50 per cent. Please don’t say “most people”, when what you really mean is Islington and Hampstead Garden Suburb”.

Al di là della diatriba tra Dawkins e Purves (conclusasi con la risposta finale di Libby Purves) qual è la strategia migliore? e qual è la reale situazione del consenso sull’evoluzione nel Regno Unito? Alla prima domanda è difficile dare una risposta che non sia personale (nel mio caso però  mi trovo sicuramente più vicino all’idea di Dawkins che non alla Purves), mentre per la seconda domanda, purtroppo, non si può che fare riferimento a dati del 2006. Purtroppo, sia perchè questi dati sarebbero da aggiornare (nel senso di fare una indagine nuova), sia perchè poco meno della metà degli inglesi (48%) riteneva che l’evoluzione fosse la migliore spiegazione della realtà che ci circonda, mentre l’altra metà si divideva tra creazionismo (22%), intelligent design (17%) e “non so” (13%). 

Mauro Mandrioli