Il piccolo uomo di Flores

Due studi pubblicati su Nature sembrano gettare nuova luce, e al contempo proiettare nuove affascinati zone d’ombra, su uno dei ritrovamenti fossili più misteriosi e interessanti degli ultimi anni, ovvero i resti che alcuni considerano appartenenti a esemplari di Homo sapiens o di erectus affetti da patologie deformanti e che sempre più scienziati vedono invece come rappresentanti di una nuova

Due studi pubblicati su Nature sembrano gettare nuova luce, e al contempo proiettare nuove affascinati zone d’ombra, su uno dei ritrovamenti fossili più misteriosi e interessanti degli ultimi anni, ovvero i resti che alcuni considerano appartenenti a esemplari di Homo sapiens o di erectus affetti da patologie deformanti e che sempre più scienziati vedono invece come rappresentanti di una nuova specie, l’Homo floresiensis.

Il dibattito, cominciato subito dopo la scoperta effettuata nel 2003, ha visto contrapposte essenzialmente due fazioni: chi sosteneva l’ipotesi patologica invocava la microcefalia o il cretinismo endemico, chi invece parlava di nuova specie postulava come possibile spiegazione il meccanismo noto come nanismo insulare, attraverso il quale l’evoluzione promuove una riduzione di dimensioni in una specie quando questa si ritrovi ad affrontare una riduzione delle risorse disponibili, tipicamente a causa dell’isolamento del proprio habitat (come accade nelle isole). In questo caso specifico, secondo i fautori di questa teoria, il nanismo insulare avrebbe portato al formarsi di una nuova specie a partire da H. sapiens o più probabilmente, considerata la presenza di strumenti litici databili a 800.000 anni fa, da H. erectus.

I due studi appena pubblicati sembrano avvallare questa seconda ipotesi, e allo stesso tempo lanciare nuove suggestioni. Innanzitutto l’articolo di Eleanor Weston e Adrian Lister, ricercatori del Natural History Museum di Londra, fa chiarezza sulla reale possibilità che H. floresiensis possa essere stato interessato dal fenomeno del nanismo insulare. Analizzando la capacità endocranica di una specie estinta di ippopotamo pigmeo endemico del Madagascar (Hippopotamus madagascariensis), infatti, si è scoperto che questa sarebbe stata del 30% inferiore rispetto a quella del suo antenato continentale portato alla medesima taglia corporea, una riduzione molto più consistente di quando si credesse possibile in passato. Considerando come possibile questa stessa riduzione nella capacità endocranica, i due scienziati concludono che H. floresiensis potrebbe aver verosimilmente raggiunto le sue dimensioni “partendo” da H. erectus.

Infine, un secondo interessante articolo, scritto da William Jungers della Stony Brook University di New York, prende in esame alcune caratteristiche mostrate dai piedi di questa possibile nuova specie ominide. Il primo elemento che salta all’occhio a un esame approfondito dei resti è che i piedi sono molto lunghi in rapporto agli arti inferiori (il che, curiosamente, lo rende ancora più simile a un hobbit tolkeniano), con proporzioni più simili a quelle delle antropomorfe africane piuttosto che a quelle umane. L’alluce, pur se allineato alle altre dita come negli umani, è molto più corto di esse, una caratteristica decisamente primitiva. Infine, il piede è piatto, non leggermente arcuato come il nostro. Tutte queste caratteristiche prese assieme, per Jungers un “curioso mosaico di caratteristiche primitive e derivate, rimandano al quadro di un ominide bipede non particolarmente efficiente nella corsa, in questo molto diverso da H. erectus (il primo dei nostri antenati conosciuti a essersi in qualche modo specializzato per correre). Proprio per questo motivo, Jungers e colleghi ritengono si possa far risalire l’origine di H. floresiensis a una specie ominide addirittura precedente a erectus, forse addirittura a H. habilis che a questo punto diverrebbe il primo ominide a essere uscito dall’Africa, anche se in mancanza di prove dirette non è possibile andare oltre la suggestione.

Com’era prevedibile questi studi hanno sollevato sia critiche che entusiastiche prese di posizione, in particolare Daniel Lieberman sullo stesso numero di Nature si dichiara convinto che questi dati costituiscano considerevoli evidenze del fatto che H. floresiensis sia effettivamente una nuova specie piuttosto che un caso patologico, e lo stesso Junger dichiara “Game Over” (“partita chiusa”) per quanto riguarda la questione. Nonostante gli scetticismi, su tutti Robert Martin, bio-antropologo curatore del Field Museum di Chicago, che considera scarse e indirette le prove esibite per quanto riguarda la possibilità della riduzione di volume endocranico, forse l’ininterrotta diatriba a proposito della realtà di questa nuova specie è giunta al termine; nel frattempo, gli appassionati di questo piccolo ominide hanno nuovi motivi per interessarsi alla vicenda.

Marco Michelutto

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