Indagando la biodiversita’ della foresta amazzonica

La teoria dei “rifugi nella foresta” delineatisi durante i cambiamenti climatici che si sono verificati con il succedersi delle ere glaciali del Pleistocene potrebbe non essere il fattore determinante della ricchezza di organismi delle regioni tropicali. Lo spiegano il biologo Jim Mallet e i suoi collaboratori dello University College di Londra in un articolo recentemente pubblicato sul prestigioso

La teoria dei “rifugi nella foresta” delineatisi durante i cambiamenti climatici che si sono verificati con il succedersi delle ere glaciali del Pleistocene potrebbe non essere il fattore determinante della ricchezza di organismi delle regioni tropicali.

Lo spiegano il biologo Jim Mallet e i suoi collaboratori dello University College di Londra in un articolo recentemente pubblicato sul prestigioso Proceedings of the Royal Society B. Il gruppo ha studiato alcuni generi di lepidotteri, partendo dalla evidenza della enorme disparita’ tra il numero di specie rilevate nelle zone tropicali dell’America centrale e meridionale rispetto a quelle esistenti in Gran Bretagna (7500 contro 65). E’ tuttora popolare tra gli scienziati una teoria secondo la quale la ricchezza di biodiversita’ della foresta pluviale amazzonica e’ stata causata da cambiamenti climatici intervenuti nel Pleistocene, che avrebbero determinato la divisione della foresta in “rifugi” separati, in ciascuno dei quali le popolazioni isolate avrebbero dato luogo ad una nuova specie. In particolare, periodi di severa siccita’ avrebbero disegnato questi “rifugi nella foresta”. Questa ipotesi e’ stata recentemente messa in dubbio, in quanto negli studi geologici effettuati ultimamente non sono emerse grosse evidenze circa la formazione di questi rifugi nella foresta amazzonica.

Sebbene lo scienziato inglese non abbia difficolta’ ad ipotizzare che la grande differenza in numero di specie tra zone tropicali del Sud America e zone temperate di Europa e Nord America (piu’ severamente colpite dalle glaciazioni) sia la conseguenza piu’ diretta delle estinzioni di massa verificatesi durante le glaciazioni (le specie delle zone temperate sono piu’ recenti, in quanto sopravvissute alle estinzioni del Pleistocene; non hanno avuto percio’ ancora il tempo di evolvere in altre specie), Mallet ha rilevato che i gruppi di lepidotteri tropicali studiati mostrano un ritmo di speciazione (ricavato con le cosiddette tecniche dell’orologio molecolare, da sequenze di DNA mitocondriale) estremamente variabile, che poco si adatta a fenomeni legati all’effetto preponderante di fattori esterni agli organismi, quali ad esempio i cambiamenti climatici. Il genere Melianea, ad esempio, contiene specie molto giovani (si sono separate da non piu’ di qualche centinaio di migliaia di anni) ed in rapida evoluzione; d’altro canto il genere Oleria contiene specie esistenti da diversi milioni di anni, che non danno segni tangibili di divergenza in atto. Tra questi due estremi sono stati riscontrati, nella stessa area geografica, gruppi con caratteristiche di separazione genetica e tendenze evolutive intermedie. Secondo Mallet, questa variabilita’ non puo’ essere spiegata primariamente mediante meccanismi allopatrici, deteminati da cambiamenti climatici, bensi’ chiamando in causa fattori interni, cioe’ legati alle caratteristiche biologiche intrinseche delle singole specie, nonche’ dall’interazione ecologica tra i vari gruppi: la competizione per il cibo ed altri aspetti idiosincratici specifici di ciascuna specie giocherebbero un ruolo determinante.

Mallet ed i suoi collaboratori sono attualmente alla ricerca delle cause precise che determinano la grande variabilita’ nella velocita’ di speciazione tra gli organismi della foresta amazzonica, un ambiente di fatto continuo, investigando meccanismi parapatrici e di altro tipo.

Paola Nardi