La bellezza delle specie influenza la ricerca e le strategie di conservazione

Le specie meno belle stanno pagando un debito estetico che mette a rischio la loro esistenza e quella degli ecosistemi nei quali vivono.

Dallo studio guidato da Nicolas Mouquet (Università di Montpellier) e pubblicato su PloS Biology è emerso che esiste una stretta correlazione tra la bellezza che percepiamo e le priorità dei nostri interventi di conservazione, almeno per quanto riguarda i pesci della barriera corallina. Sembrerebbe infatti che le specie che giudichiamo più belle abbiano una priorità conservazionistica bassa, mentre quelle esteticamente indifferenti o meno belle siano quasi tutte fortemente minacciate secondo le liste rosse IUCN.

Il debito estetico
Se il risultato può non stupire per il contenuto in sé, ovvero il fatto che esista una relazione tra la bellezza e il valore che attribuiamo a ciò che ci circonda, dovrebbe invece farlo per le conseguenze che derivano da questo bias di percezione. Gli autori dello studio si sono accorti che i pesci di barriera considerati esteticamente meno belli hanno un’alta specificità ecologica, direttamente collegata alla loro specificità evolutiva. Si è infatti osservato che le specie più attraenti occupano hotspot molto diversificati e relativamente recenti dell’albero evolutivo, mentre quelle meno attraenti sono meno diversificate e filogeneticamente più antiche. Queste, in virtù del loro isolamento evolutivo, offrono contributi ecologici unici proprio perché strettamente dipendenti dall’esistenza di poche (e poco attraenti) specie.

I ricercatori affermano che questo bias agisce direttamente sulla “volontà e la motivazione delle società a proteggere le specie” e che ci aiuta a comprendere almeno in parte “le ragioni alla base del successo o del fallimento degli sforzi di conservazione”. Gli autori ci fanno anche notare che molti taxa non vengono adeguatamente rappresentati dai mezzi di comunicazione o che sono scientificamente mal documentati: questo lascia intravedere non solo un pregiudizio da parte del pubblico, ma anche della ricerca e degli sforzi di conservazione. Sembrerebbe quindi che nemmeno la scienza sia esente dal pregiudizio estetico. Questo fatto sembra confermato dalla Biodiversity Information Facility (GBIF), agenzia che fornisce l’accesso aperto ai dati sulla biodiversità, dalla quale si può facilmente constatare che più della metà dei miliardi di eventi segnalati riguardano gli uccelli, che rappresentano però solo l’1% dei taxa. Lo stesso vale per i vertebrati, che sono più e meglio rappresentati degli invertebrati.

Quantificare la bellezza
Insomma, la bellezza non risparmia nessuno. Sia che si tratti di società civile sia che si tratti di comunità scientifica, il nostro giudizio su ciò che è opportuno fare o non fare sembra tener conto della forma, del colore e della grandezza delle cose. In particolare, per quanto riguarda i pesci di barriera, sembrano essere rilevanti l’eterogeneità del colore, la geometria dei modelli di colore, la leggerezza e la saturazione percettiva e la forma del contorno del corpo del pesce. Sono questi gli elementi che il gruppo di ricerca ha identificato, anche sulla base della letteratura precedente, nel tentativo di quantificare la bellezza e ottenere dei criteri il più possibile oggettivi per stabilire se esista o meno una correlazione tra le preferenze estetiche e le azioni di conservazione.

A questo scopo è stata sfruttata una Rete Neurale Convoluzionale (CNN), che ha più volte dimostrato di essere uno strumento molto avanzato per rilevare elementi ricorsivi nelle immagini e sviluppare modelli predittivi. Per allenarla a giudicare il valore estetico dei pesci di barriera, è stato creato un set di dati sulla base di un sondaggio che ha coinvolto 13.000 persone in tutto il mondo. Il pubblico, indipendentemente dal retroterra socio-culturale, ha espresso una preferenza estetica decisamente uniforme su 481 immagini. A partire da queste la Rete Neurale è stata in grado rilevare degli elementi ricorsivi, estendendo l’analisi ad altre 4881 immagini ed esprimendo una preferenza estetica per 2417 specie.

I risultai mostrano con chiarezza che vi è una discrepanza tra il valore estetico, che è classificato dall’IPBES come un aspetto non materiale del contributo della natura alle persone (NCP), e le funzioni ecologiche dei pesci di barriera. Questo debito estetico si traduce troppo spesso in un pregiudizio nella ricerca, nella consapevolezza e nella conservazione.

Secondo gli autori, la chiave per far fronte a questo pregiudizio sta nella comunicazione. Affermano infatti che “il primo passo per ridurre al minimo l’impatto di questi pregiudizi per il successo della conservazione sarà una migliore comunicazione al pubblico, ai responsabili politici, alle ONG per la conservazione e ai ricercatori sui collegamenti tra le componenti non materiali del contributo della natura alle persone (NCP), l’ecologia delle specie e i ruoli che svolgono negli ecosistemi”.

Il contributo della ricerca alle strategie di conservazione
Dell’importanza di questi risultati abbiamo discusso con Mariagrazia Portera e Leonardo Dapporto, ricercatori rispettivamente del Dipartimento di Lettere e Filosofia e del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e ideatori del progetto “Unveiling”, che ha lo scopo di verificare se esiste una correlazione tra la percezione estetica delle farfalle e il loro stato di conservazione.
Secondo Portera e Dapporto, a differenza di altri studi che hanno stabilito il grado di “carisma” delle specie sulla base di criteri puramente soggettivi, questo studio offre per la prima volta un riscontro quantitativo rigoroso sul rapporto tra il valore estetico e gli sforzi di conservazione. Un riscontro prezioso, aggiunge Dapporto, non solo perché conferma una reale predisposizione delle persone a impegnarsi in favore del bello, ma perché mette in relazione le caratteristiche estetiche di una specie con le sue funzioni biologiche, cercando in seguito di capire, con metodi che sono propri delle scienze umanistiche, quali sono i punti deboli nelle azioni di conservazione al fine di ripararli.

A questo proposito la dottoressa Portera sottolinea il ruolo centrale della collaborazione tra le Environmental Humanities e la scienza. Se il nostro fine è quello di modificare il comportamento e le abitudini di gruppi di persone, in una direzione che sia il più possibile conforme e quindi rispettosa della realtà biologica, il riferimento a una dimensione valoriale extrascientifica è imprescindibile. Come conferma questa ricerca, il valore estetico della bellezza ci motiva e ci spinge a prendere posizione, più spesso di quanto possiamo immaginare.

La relazione tra la bellezza e la nostra capacità di agire è un’intuizione semplice, della quale tutti facciamo esperienza, chiosa Mariagrazia Portera, ma se vogliamo applicarla ai nostri piani di conservazione e di tutela della biodiversità al fine di modificarne le strategie, occorre avere un valore quantitativo della bellezza in quanto driver motivazionale, e questo studio ci offre questa enorme possibilità.

Il fatto che il valore estetico sia estremamente pervasivo e onnipresente è un vantaggio, poiché significa che non è una variabile fuori controllo. È un driver che possiamo manipolare e addirittura sfruttare per cercare di riequilibrare il rapporto tra la realtà biologica e le nostre decisioni.

Riferimenti:
Langlois, J., Guilhaumon, F., Baletaud, F., Casajus, N., De Almeida Braga, C., Fleuré, V., …Mouquet, N. (2022). The aesthetic value of reef fishes is globally mismatched to their conservation priorities. PLOS Biology, 20(6), e3001640. doi: 10.1371/journal.pbio.3001640

Immagine: François Libert via Flickr, Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)