La domesticazione del tacchino nell’America precolombiana

Due recenti studi ipotizzano che la possibile domesticazione del tacchino sia avvenuta in epoca precolombiana

La domesticazione è il processo attraverso cui un gruppo di organismi assume un rilevante grado d’influenza sulla cura e la riproduzione di un’altra specie, allo scopo di trarne beneficio. Si tratta perciò di un processo esteso nel tempo, che si protrae per generazioni, causando spesso notevoli mutamenti nel comportamento, nel ciclo di vita e addirittura nella fisiologia delle specie animali o vegetali coinvolte.

Pikaia si è spesso occupata di domesticazione, sia di animali: cane (anche qui, qui e qui), gatto (anche qui), cavallo (anche qui e qui), galline, pecore, bovini (anche qui), maiali e perfino volpi; sia di piante: carciofo, fagiolo, peperoncino. Inoltre ha ricordato qui come la domesticazione abbia costituito un aspetto centrale della ricerca dello stesso Darwin.

Può apparire strano che finora ben pochi studi siano stati effettuati per stabilire le origini della domesticazione del tacchino comune (Meleagris gallopavo), uccello appartenente all’ordine dei Galliformi e alla famiglia dei Fasianidi, originario dell’America, importante per la cultura e l’alimentazione dei nativi in epoca precolombiana, ma ancora oggi estesamente impiegato come fonte di cibo. Di recente due studi indipendenti, pubblicati sul Journal of Archaeological Science: Reports, hanno iniziato a colmare tale lacuna.

Un primo studio, compiuto da ricercatori dell’università della Carolina del Nord e del Field Museum di storia naturale di Chicago, si basa su ritrovamenti archeologici effettuati nel sito di Mitla Fortress, nella valle di Oaxaca, in Messico, zona abitata dal popolo degli Zapotechi. Gli studiosi hanno trovato negli scavi di tre abitazioni a uso domestico non solo ossa di tacchino, ma anche uova intere e frammenti di guscio. I contesti del ritrovamento fanno ritenere che gli animali e le loro uova venissero usati sia per alimentazione che in riti religiosi e propiziatori, intorno al 400-600 eV, periodo chiamato “medio Classico” nella cronologia del Centro America.

Si ritiene probabile che i tacchini fossero prevalentemente allevati, e non cacciati, a causa del ritrovamento di esemplari di età diverse, dai pulcini agli uccelli adulti; di uova a diversi stadi dell’embriogenesi; e dalla presenza di almeno una femmina nel periodo della deposizione delle uova. Queste considerazioni sono state possibili grazie all’uso del SEM (Microscopio Elettronico a Scansione) che stabilisce, dalla struttura granulare del guscio, non solo la specie di appartenenza, ma anche lo stadio dell’embriogenesi; mentre la presenza della femmina in periodo di deposizione è stata accertata grazie al rinvenimento dell’osso midollare. Si tratta di una particolarità degli uccelli, un tessuto che si forma nella cavità midollare di alcune ossa lunghe delle femmine per tutta la durata del ciclo di deposizione, costituendo una sorgente di calcio per la formazione del guscio delle uova.

L’abbondanza dei resti rinvenuti fa ritenere che il tacchino avesse un’importanza fondamentale nella dieta degli abitanti. Inoltre sono stati trovati diversi strumenti e oggetti ornamentali prodotti con ossa di tacchino, il che fa pensare che gli occupanti di queste dimore potessero lavorare e commerciare tali oggetti. Il sito dei ritrovamenti, Mitla Fortress, è situato nella porzione più arida della valle di Oaxaca, tuttavia, nel periodo considerato, le stime demografiche hanno valutato che questa zona della valle fosse popolata in modo equivalente o superiore a quelle più adatte all’agricoltura. Si è ipotizzato perciò che le famiglie di questa zona si fossero specializzate nell’allevamento del tacchino, uccello robusto, ben adattato a habitat semiaridi, e utilizzassero la carne e gli altri sottoprodotti, le penne e le ossa lavorate, come merce di scambio con le popolazioni delle zone più fertili della valle.

Il secondo studio, dell’università statale della Florida, si riferisce invece al sud-est degli Stati Uniti, basandosi su scavi effettuati nel sito di Fewkes, al centro del Tennessee, e suggerisce che i tacchini fossero potenzialmente addomesticati dai nativi americani di queste zone fin dal periodo della cultura Mississippiana, che si estende circa dall’800 al 1600 eV. Il tacchino presente in queste regioni era la sottospecie silvestris.

Un elemento che fa supporre che anche i nativi americani di questa zona non si limitassero a cacciare gli uccelli, ma li allevassero, sono le dimensioni delle ossa rinvenute, più grandi di quelle degli attuali tacchini selvatici. Questo è un effetto comune della domesticazione, che porta di solito un aumento generale della grandezza degli animali allevati.

Un elemento di più difficile interpretazione è la presenza di resti di maschi adulti in quantità uguale o superiore a quella delle femmine. La distinzione di genere è facile in base ai dati osteometrici, grazie all’elevato dimorfismo sessuale della specie, in cui i maschi sono più grandi delle femmine. Questo potrebbe far ritenere che i nativi, che apprezzavano le penne come ornamento, allevassero fino all’età adulta i tacchini maschi, che hanno un piumaggio variopinto e iridescente, mentre le femmine sono di colore grigiastro o marroncino; tuttavia questo risultato potrebbe essere spiegato anche con una preferenza nella caccia.

Gli studi proseguono tramite l’esame del DNA e l’analisi isotopica. La prima permetterà di sequenziare il genoma di questi uccelli e tracciare le relazioni del tacchino selvatico orientale con le altre popolazioni di tacchino selvatico e domestico dell’America Centrale e degli Stati Uniti sud-occidentali. L’analisi isotopica consentirà di capire su cosa fosse basata l’alimentazione del tacchino. Se rivelasse una dieta ricca di piante C4, come il mais, si rafforzerebbe l’ipotesi che i tacchini fossero allevati, poiché quelli allo stato selvatico dovrebbero avere una dieta più varia e quindi con maggior presenza di piante C3.

Come potrebbe essersi sviluppato il processo di domesticazione? Gli autori ritengono che gli umani potrebbero dapprima avere attirato non intenzionalmente i tacchini verso i propri insediamenti creando ambienti-limite come campi agricoli disboscati adiacenti ai bordi della foresta, apprezzati dai tacchini per nutrirsi e svolgere comportamenti sociali. Se da una parte questi animali recavano qualche danno ai raccolti, dall’altra potevano portare beneficio, nutrendosi degli insetti fitofagi: i tacchini, infatti, hanno un vorace appetito per gli insetti di tutti i tipi e in particolare per le cavallette. In seguito gli umani possono avere apprezzato la facile disponibilità di carne e uova data dall’allevamento, rispetto alla maggior aleatorietà della caccia.  

L’esiguità dei campioni su cui si basano questi studi impedisce di trarre conclusioni definitive, per le quali saranno necessari ulteriori studi, alcuni dei quali, come menzionato, sono tuttora in corso.

Riferimenti:
– Heather A. Lapham, Gary M. Feinman, Linda M. Nicholas.Turkey husbandry and use in Oaxaca, Mexico: A contextual study of turkey remains and SEM analysis of eggshell from the Mitla Fortress. Journal of Archaeological Science: Reports, 2016; DOI: 10.1016/j.jasrep.2016.05.058
– Tanya M. Peres, Kelly L. Ledford. Archaeological correlates of population management of the eastern wild turkey (Meleagris gallopavo silvestris) with a case study from the American South. Journal of Archaeological Science: Reports, 2016; DOI: 10.1016/j.jasrep.2016.11.014

Immagine: CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons