La Filosofia Zoologica di Lamarck duecento anni dopo

Tra pochi giorni sarà il duecentesimo anniversario della pubblicazione della “Filosofia Zoologica”, principale opera di Jean Baptiste Lamarck, a cui l’ultimo numero di Nature dedica una recensione dal titolo “In retrospect: Lamarck’s treatise at 200” scritta da Dan Graur, Manolo Gouy e David Wool. La recensione è in realtà un bel saggio che gli autori dedicano ad un personaggio che

Tra pochi giorni sarà il duecentesimo anniversario della pubblicazione della “Filosofia Zoologica”, principale opera di Jean Baptiste Lamarck, a cui l’ultimo numero di Nature dedica una recensione dal titolo “In retrospect: Lamarck’s treatise at 200” scritta da Dan Graur, Manolo Gouy e David Wool.

La recensione è in realtà un bel saggio che gli autori dedicano ad un personaggio che ha la fortuna di essere ancora oggi molto citato, sebbene spesso lo sia a sproposito, come ad esempio avviene frequentemente quando si parla dei presunti aspetti lamarckiani dell’epigenetica, come ben discusso da Ryan Gregory nel blog Genomicron (post 1, post2).

Lamarck riletto oggi presenta aspetti di grande interesse poiché già all’inizio dell’ottocento aveva intuito che le specie cambiavano nel tempo attraverso un processo lento ed impercettibile e che tale evoluzione avveniva per adattamento all’ambiente. Nelle opere di Lamarck, come sottolineato Graur, Gouy e Wool, troviamo inoltre l’idea della discendenza comune dei viventi e dell’origine della vita dalla materia inanimata.

I due volumi della “Filosofia Zoologica” di Lamarck hanno avuto uno scarso successo editoriale e vent’anni dopo la pubblicazione molte copie erano rimaste invendute. A questo si deve aggiungere che i due volumi sono stati per molto tempo ignorati e fraintesi (anche a causa della prosa non certo semplice dell’autore!) e le edizioni successive, non curate però da Lamarck in quanto defunto nel 1829, sono particolarmente infelici perché contenti gravi inesattezze (come nella seconda edizione curata da Ch. Martin nel 1873) o malamente organizzate, come l’edizione popolare pubblicata nel 1908 che è addirittura amputata di due parti dell’opera originale.

Perché ricordare Lamarck nell’anno darwiniano? Secondo Graur, Gouy e Wool sarebbe giusto proprio in questo anno di celebrazioni fare una pausa il 14 agosto e riflettere sulla reale importanza di Lamarck in quanto anticipatore di alcune idee che oggi sono parti importanti della teoria dell’evoluzione. Come scritto dal Prof. Omodeo anche “Charles Darwin espresse giudizi molto duri ed ingiusti su Lamarck e sul proprio nonno Erasmus, negando di avere ricavato alcuna idea utile dalle loro opere. Egli era indubbiamente sincero quando così scriveva, ma evidentemente non si rendeva conto che le idee non si assimilano soltanto attraverso la consapevole accettazione delle teorie lette nei libri o ascoltate nelle lezioni, ma anche attraverso discorsi e letture fatte occasionalmente, attraverso il tacito lavorio intimo attorno ad una problematica proposta per insistenza, anche se non in modo convincente”.

Perché rileggere oggi Lamarck? Spesso si legge che il lamarckismo è legato alla induzione diretta di cambiamenti ereditari dovuti all’ambiente ma in realtà, sottolineano Graur, Gouy e Wool, Lamarck ha scritto in più occasioni che l’ambiente non induce alcuna modificazione diretta nella forma e nell’organizzazione degli animali, evidenziando quindi un primo fraintendimento. Un altro popolare fraintendimento è legato al ruolo della volontà nei processi evolutivi per cui un animale desiderando raggiungere rami più lati (per riprendere l’esempio lamarckiano più ripetuto, sebbene in realtà non suo) arriverebbe ad evolvere un collo più lungo. Graur, Gouy e Wool evidenziano che questo errore potrebbe essere derivato da un problema di traduzione dato che la parola “besoin” usata da Lamarck è stata tradotta come “desire” in inglese e non come “need”. In questo caso scrivendo che un animale avendo la necessità di raggiungere un ramo posto in alto, ha evoluto un collo lungo faremmo meno torto a Lamarck. Questo non significa che Lamarck fosse libero da errori dato che credeva ad esempio nell’eredità dei caratteri acquisiti, ma una revisione del giudizio negativo che molti critici e scienziati hanno espresso sarebbe forse necessaria.

Altri aspetti criticati sono stati indubbiamente quelli deistici dato che l’evoluzione di Lamarck è sicuramente operante in una prospettiva deistica, ma in questo ricorda in parte alcuni scienziati moderni (tra cui ad esempio Ken Miller e Francis Collins) che cercano compromessi o accomodamenti tra scienza e religione come lo stesso Lamarck faceva.

L’articolo di Nature mi ha stimolato a rileggere Lamarck, ma mi sono accorto che non ci sono praticamente volumi recenti in italiano, per cui mi rileggerò l’ottima versione italiana della “Filosofia Zoologica”, a cura di Giulio Barsanti, editata da “La Nuova Italia” (Firenze, 1976) ed il volume intitolato “Opere di Jean Baptiste Lamarck”, a cura di Pietro Omodeo ed edito da UTET (Torino, 1969), che però non comprende la “Filosofia zoologica”.

Mauro Mandrioli