La lumaca fotosintetica

Le lumache marine del genere Elysia sono diventate fotosintetiche e possono passare fino a 10 mesi senza doversi procurare da mangiare

Sarebbe comodo se anzichè decidere cosa mangiare, andare a fare la spesa, cucinare e lavare i piatti, si potesse rimanere comodi in spiaggia tutto il giorno a prendere il sole e tornare la sera con un piacevole senso di sazietà, felici della giornata di ozio passata a leggere “Introduction to genomics”, o magari anche qualcosa di meno divertente come un quotidiano o le parole crociate. L’unico effetto collaterale è che anzichè di un bel color bronzeo, saremmo di uno splendido color verde lattuga.

Le lumache marine del genere Elysia sono riuscite laddove tutte le casalinghe in vacanza hanno fallito: sono diventate fotosintetiche e possono passare fino a 10 mesi senza doversi procurare da mangiare. In breve, la faccenda funziona così: le lumache assumono i cloroplasti dalle alghe che mangiano e diventano verdi e fotosintetiche, una chimera tra un animale e una pianta.

Queste lumache appartengono al clade dei Sacoglossa, organismi che per nutrirsi perforano con la radula (la lingua) le cellule delle alghe e ne succhiano il contenuto (da non confondere coi nudibranchi!). La radula normalmente nei gasteropodi ha la superficie coperta di minuti dentini acuminati, come una raspa, ma nei Sacoglossa ha una sola fila di dentini per perforare piuttosto che per abradere. Sia chiaro, non stiamo parlando di animali microscopici che perforano le cellule una alla volta: queste lumache arrivano anche a 10 cm e l’azione compiuta è simile a quella che faremmo nel leccare un gelato. Il contenuto cellulare viene ingerito e finisce nel tratto digerente che è opportunamente ramificato in modo da essere esteso a quasi tutto il corpo dell’animale. Il citoplasma e gli altri organelli vengono digeriti, ma i cloroplasti subiscono un ben più interessante, differente destino: vengono inglobati dentro speciali cellule diffuse nel tratto digestivo, soprattutto all’estremità delle convoluzioni intestinali, e li continuano a sopravvivere e funzionare.

I cloroplasti sono gli organelli deputati a svolgere la fotosintesi, che è quel processo che cattura l’anidride carbonica dell’aria e la converte nello zucchero semplice glucosio, con rilascio di ossigeno come materiale di scarto. Usando anidride carbonica radioattiva (marcata con l’isotopo 14C) si è potuto osservare che i cloroplasti ingeriti rimangono efficienti nella lumaca come se fossero nella loro cellula algale originale. La lumaca converte poi il glucosio in galattosio (lo zucchero semplice del latte) e lo utilizza per tutte le sue necessità convertendolo in proteine e altro: tutto quello che deve fare è vivere in acque poco profonde ed esporsi il più possibile alla luce solare per attivare la fotosintesi nei cloroplasti. Per avere una maggior superficie da esporre, e quindi fare più fotosintesi, moltissime delle Elysia hanno evoluto pseudopodi ramificati che formano dei riccetti sui fianchi e a volte sul dorso di questi animali (come nell’immagine in alto E. crispata), la forma del corpo si è allargata e appiattita e la superficie dorsale è semitrasparente per consentire la penetrazione dei raggi solari. Un prezzo onesto, in cambio di cibo gratis. Naturalmente, nulla è davvero gratis e la lumaca necessita ogni tanto di assumere i contenuti cellulari delle alghe come fonte di oligoelementi e altri cloroplasti.

Altri animali, come i polipi dei coralli, sfruttano un principio del genere ma nessun’altra specie è mai arrivata ad un simile livello di perfezione. I polipi dei coralli, ad esempio, vivono in simbiosi con le zooxantelle che sono alghe brune unicellulari che forniscono zuccheri al polipo in cambio di una comoda vita sedentaria, protette dentro il suo organismo. Si tratta però della simbiosi tra due specie, e non dell’assunzione di un organello specializzato. Quello che fa Elysia invece viene chiamato “cleptoplastia” (letteralmente, furto di plastidi) ed è un fenomeno ben diverso, in quanto non prevede la convivenza con un altro organismo eucariote, ma lo sfruttamento assoluto degli zuccheri prodotti dai cloroplasti.

Dal canto loro, i cloroplasti si dovrebbero trovare ugualmente bene poichè essere in simbiosi con un vegetale o con un animale per loro non è che faccia gran differenza. I cloroplasti infatti in origine non nascono come organelli cellulari, ma come batteri a vita libera in grado di effettuare la fotosintesi (oggi li chiamiamo cianobatteri). E’ possibile che l’”infezione” di cellule eucariote da parte di cianobatteri fotosintetici sia avvenuta molte volte nel corso della storia della vita sulla terra. Altre volte addirittura il “furto” dei preziosi cloroplasti ha convolto l’incorporazione di intere cellule eucariotiche. Ad esempio i cloroplasti delle alghe brune derivano da cianobatteri con un tipo di clorofilla differente, la clorofilla c (assente nelle piante superiori). Questi batteri furono incorporati, nella notte dei tempi biologici, in un eucariote del clade Rhodobionta, e questo rhodobionta fu a sua volta incorporato in blocco dentro l’alga bruna, che ora è incorporata dentro i polipi dei coralli. Come le matrioska, insomma. Tutto, pur di avere un po’ di zucchero in più. Una storia analoga a quella del cloroplasti l’hanno avuta i mitocondri, ma questa è un’altra storia.

Il processo di incorporazione di un organismo in un altro però non è banale. Comporta rimodellamenti pesantissimi, perdita o acquisizione di membrane cellulari, fusione di citoplasmi e pathway biochimici e, soprattutto, lo spostamento di geni da un genoma all’altro. Inutile infatti sprecare energie per produrre due copie della stessa proteina, una del cloroplasto e l’altra dell’alga. E così, succede che il DNA dei cloroplasti è ridotto al minimo, e la maggior parte dei loro geni sono stati integrati nei cromosomi dell’alga. Solo circa il 13% delle proteine che occorrono al cloroplasto sono quindi sintetizzate dall’organello stesso, mentre le restanti vengomo fornite da geni ora presenti nel nucleo algale.

Questo crea un problema alle Elysia, poichè non sono in grado di fornire ai cloroplasti tutto quello di cui hanno bisogno e dopo qualche mese li devono rimpiazzare con cloroplasti freschi estratti dall’alga. Ad esempio, nè i cloroplasti nè Elysia sono in grado di produrre la molecola di clorofilla, e così pure Elysia non è in grado di assistere i cloroplasti nel loro processo di replicazione. Ciononostante, ci ha provato. E’ infatti avvenuto quello che i genetisti chiamano un “trasferimento orrizzontale” di geni da una specie all’altra, dall’alga alla lumaca, ed ora le Elysia esprimono nel loro DNA diversi geni provenienti in origine dall’alga e che codificano per proteine dei cloroplasti, il che spiega la lunga persistenza e funzionamento ottimale dei cloroplasti all’interno dei diverticoli intestinali dei gasteropodi. Ad esempio, Rumpho et al sono riusciti ad identificare in Elysia chlorotica il gene psbO appartenente al genoma di Vaucheria litorea, un’alga di cui la lumaca si nutre, che codifica per un componente del fotosistema II molto vulnerabile ai danni e che necessita di essere continuamente rimpiazzato.

La stessa specie di lumaca si nutre di più specie di alghe nel corso della sua vita ed è in grado di incorporare i cloroplasti di tutte le specie di cui si nutre, segno che comunque la specificità non è enorme e il trasferimento di geni è comunque ridotto a quelli che esprimono proteine ubiquitarie. E. clarki ad esempio si nutre di quattro specie di macroalghe dell’ordine Bryopsidales (Penicillus capitatus, Penicillus lamourouxii, Halimeda incrassata, e Halimeda monile).

I cloroplasti però non offrono solo nutrimento alle Elysia, fanno loro anche un altro grande favore: le rendono mimetiche. Una lumaca senza guscio che vive in acque basse e poco profonde, infatti, è esposta senza pietà all’occhio di tutti i predatori di passaggio (qui un’immagine). La sua unica speranza quindi è quella di mimetizzarsi con l’ambiente e passare inosservata. I cloroplasti ingeriti rendono le lumache dello stesso, identico verde delle alghe  su cui vivono e il corpo della lumaca ha assunto anche per ragioni di mimetismo la forma di una foglia, il che la rende incredibilmente capace di mescolarsi con lo sfondo.

Il processo di acquisizione dei cloroplasti avviene durante la fase giovanile della lumaca. Le veligere (larve), che sono planctoniche, si nutrono di alghe ma non ne assumono i cloroplasti. C’è anche il dubbio che in alcune specie le veligere non si nutrano affatto, anche se per svilupparsi necessitano la presenza della loro alga ospite.

La distribuzione di questi animali è estesa a tutte le acque tropicali del globo, purchè siano ben soleggiate e poco profonde, ma se volete vedere una di queste meravigliose lumache ad energia solare non dovete fare molta strada: una specie vive nell’Adriatico, sebbene non sia tra le più verdi:  Elysia gordanae (qui un’immagine), lungo le coste della penisola istriana.  Complessivamente otto specie vivono nel Mediterraneo: Elysia hopei, Elysia flava, Elysia timida, Elysia translucens, Elysia viridis, Elysia gordanae, Bosellia mimetica, Elysia ordanae. Ci sarebbe anche la misteriosa Elysia hetta, che dovrebbe vivere sulla costa salentina nel Golfo di Taranto, ma le uniche informazioni su di lei vengono da una pubblicazione di Perrone (1990).

L’orologiaio è cieco e l’evoluzione è imprevedibile. Se il trend continuasse così, nell’arco di qualche decina di migliaia di anni le lumache potrebbero diventare completamente autotrofe, i primi animali ad eliminare completamente il problema di procurarsi il cibo. Ma siccome le vie dell’evoluzione sono imprevedibili, potrebbe accadere di tutto, dall’estinzione del clade al ritorno alla vita da consumatori primari, o magari potrebbero diventare, alla lunga, carnivore  e intelligenti.

Referenze:

www.seaslugforum.net

Nicholas E. Curtis et al. (2006) DOI: 10.1007/s00227-006-0398-x

Rumpho, M. (2000). Solar-Powered Sea Slugs. Mollusc/Algal Chloroplast Symbiosis PLANT PHYSIOLOGY, 123 (1), 29-38 DOI: 10.1104/pp.123.1.29

EASTERN MEDITERRANEAN OPISTHOBRANCHIA: ELYSIIDAE (SACOGLOSSA = ASCOGLOSSA) THOMPSON and JAKLIN J. Mollus. Stud..1988; 54: 59-69

Perrone, A.S. (1990) Una nuova specie di Elysiidae, Elysia hetta nov. sp. dal litorale salentino (Mediterraneo, Golfo di taranto) (Opisthobranchia: Sacoglossa). Atti Soc. It. Sci. Nat. e Mus. Civ. St. Nat. Milano, 130(18): 249-252

Tratto da L’Orologiaio Miope, il blog di Lisa Signorile

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons