La matematica degli ornamenti animali

Sviluppato un nuovo modello per studiare l’apparente paradosso di alcuni tratti animali, utili per la competizione sessuale ma non per la lotta per la sopravvivenza

La vistosa e sgargiante coda del pavone è senza dubbio un ottimo strumento per catturare l’attenzione. Delle femmine, dei fotografi affascinati da tanta bellezza, ma anche dei predatori. E una coda del genere potrebbe essere di intralcio durante una fuga precipitosa (anche se questa idea è stata recentemente messa in dubbio).

L’evoluzione di ornamenti ingombranti ha sempre affascinato gli studiosi, perché la selezione naturale – che premia gli individui più adatti a sfruttare le risorse dell’ambiente circostante – da sola non è sufficiente a spiegare la presenza di questi tratti, che non danno vantaggi immediati nella lotta per la sopravvivenza. Il primo ad affrontare il problema fu lo stesso Charles Darwin, secondo il quale questi esagerati ornamenti erano il frutto di una selezione sessuale dovuta alle preferenze delle femmine, ma non seppe spiegare da cosa derivassero queste preferenze. Questo apparente paradosso venne studiato da molti scienziati, fra i quali vale la pena citare Ronald Fisher, uno dei fondatori del neodarwinismo, che sviluppò importanti contributi proponendo alcuni meccanismi basati sul rapporto fra gli ornamenti e le preferenze femminili.

In un recente articolo pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, tre ricercatori della Northwestern University hanno messo a punto un nuovo modello che non si concentra su una particolare strategia evolutiva o su un singolo fenotipo maschile, ma su una distribuzione ottimale di strategie riproduttive all’interno di una popolazione.

Certi ornamenti esagerati non sono per tutti. Prendiamo una specie di scarabei stercorari come Onthophagus taurus: in essa ci sono due sottopopolazioni di individui, alcuni dotati di lunghe corna e altri con corna molto piccole. Questo tipo di distribuzione, detta bimodale, è stata spesso osservata in natura ed è stata attribuita all’uso di diverse strategie di accoppiamento da parte dei maschi.

Ma il modello di Sara Clifton, Daniel Abrams e Rosemary Braun sembra suggerire un’altra possibilità, che tira in ballo il principio dell’handicap. Proposto dallo zoologo israeliano Amotz Zahavi, questo principio afferma che esibire certi tratti esagerati è un qualcosa che solo gli individui con una maggiore fitness biologica si possono permettere. Tanto più un ornamento è costoso, tanto più rappresenta lo sforzo che l’individuo si può permettere. Sforzo che quindi diventa un segnale di qualità.

Il principio dell’handicap è stato approfondito tramite diversi approcci, dalla teoria dei giochi alla genetica quantitativa, fino alle dinamiche fenotipiche. Ed è proprio prendendo spunto da questi metodi che i ricercatori americani hanno sviluppato il loro modello, nel quale hanno incorporato le assunzioni del principio dell’handicap per simulare matematicamente l’evoluzione degli ornamenti nel corso di un lungo periodo di tempo. Per testarlo, hanno preso 23 set di dati presenti nella letteratura scientifica, riguardanti quindici diverse specie animali. E tutti i risultati si sono rivelati in accordo con le simulazioni del modello.

Un aspetto importante dell’approccio di Clifton, Abrams e Braun, è la sua indipendenza dai meccanismi genetici che, nelle diverse specie, portano alla formazione di questi tratti ornamentali. A guidare l’evoluzione degli ornamenti e la loro distribuzione bimodale sarebbe quindi solo il principio dell’handicap: solo gli individui più in salute possono permettersi di far crescere, portare e ostentare ornamenti di grandi dimensioni, che quindi diventano un segnale piuttosto indicativo della maggiore fitness dei loro portatori.

Non a caso il principio dell’handicap viene anche chiamato “principio del segnale onesto”.

Viene da chiedersi se un simile principio valga anche per gli esseri umani. Senza dubbio le spese folli e non necessarie di un miliardario sono una chiara ostentazione del suo status: spende perché se lo può permettere. Ma non è il caso di forzare troppo l’analogia, perché in una società culturalmente complessa come quella umana, un simile status non può essere paragonato alla maggior fitness di un cervo dai palchi molto sviluppati o di un pavone dalla coda particolarmente vistosa e sgargiante.

 

 

Immagine (credit: Douglas Emlen, University of Montana)