La probabilità di avere forme più gravi di Covid-19 deriva da alcuni geni ereditati dai Neanderthal

Alcune varianti genetiche che si ritrovano nel genoma di uomini di Neanderthal vissuti circa 50 mila anni fa sembrano rendere più severi i sintomi del Covid-19

Uno degli aspetti ancora poco chiari dell’attuale pandemia di Covid-19 riguarda l’estrema variabilità dei sintomi che si riscontra negli individui affetti. Infatti, come purtroppo ben sappiamo, ci sono pazienti che manifestano sintomi gravi, che possono anche portare alla morte, mentre altri, i cosiddetti asintomatici, non si accorgono nemmeno dell’infezione.

Sappiamo già che gli effetti dell’infezione possono dipendere dalla presenza di malattie pregresse e dall’età dei soggetti interessati. Tuttavia, l’estrema variabilità delle risposte individuali, a prescindere dai fattori menzionati sopra, lascia aperta la possibilità che altri fattori possano giocare un ruolo altrettanto determinante.

Diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo si sono quindi concentrati sulla possibilità che alcune caratteristiche genetiche possano predisporre allo sviluppo di sintomi gravi. Studi recenti hanno identificato un cluster genico localizzato sul cromosoma 3 che sembra essere legato a gravi problemi respiratori in seguito all’infezione del SARS-CoV-2. Inoltre, mediante un confronto tra pazienti da Covid-19 ospedalizzati (3199 individui) e individui che hanno mostrato sintomi minimi o non hanno contratto la malattia (quasi 900 mila individui di ‘controllo’), è stato suggerito che questo cluster genico rappresenterebbe il principale fattore che determina l’ospedalizzazione di un paziente affetto da SARS-CoV-2.

Oggi, in uno studio su Nature, che non è ancora stato pubblicato su un numero cartaceo ma è già accettato per la pubblicazione e disponibile online, due ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology sostengono che 13 varianti geniche localizzate in questa porzione di genoma siano le ‘vere’ responsabili delle forme gravi della malattia. In particolare, chi le possiede ha circa il triplo delle probabilità di sviluppare forme gravi di Covid-19. Queste varianti sono strettamente legate tra loro, e chi ne possiede una in genere le possiede tutte.

Ma cosa c’entrano i Neanderthal (Homo neanderthalensis)? Queste varianti geniche, sostengono i ricercatori tra cui Svante Pääbo, già noto per aver sequenziato il genoma di diverse specie estinte del genere Homo (Pikaia ne ha parlato, ad esempio, qui, qui e qui), sono identiche a quelle individuate precedentemente nel genoma di un Neanderthal, vissuto circa 50 mila anni fa in Croazia. Considerando la ben nota ibridazione tra la nostra specie e i Neanderthal, avvenuta più volte nel corso del tempo (Pikaia ne ha parlato qui e qui), è quindi possibile che questo cluster di geni sia un’eredità della nostra specie sorella.

Secondo le analisi, queste varianti si ritrovano in una frequenza di circa il 50% delle popolazioni dell’Asia Meridionale e dell’16% in quelle europee, mentre sono molto meno comuni tra gli americani e in estremo oriente.

Non è ancora chiaro in che modo questi geni possano peggiorare i sintomi del Covid-19, ma uno di essi è associato alla risposta immunitaria e un altro ai meccanismi che il virus utilizza per attaccare le cellule umane.

Riferimenti:
Zeberg, H., Pääbo, S. The major genetic risk factor for severe COVID-19 is inherited from Neanderthals. Nature (2020). https://doi.org/10.1038/s41586-020-2818-3

Immagine: dominio pubblico, via Wikimedia Commons