La scoperta paleontologica dell’anno?

Non tutte le scoperte paleontologiche hanno la stessa importanza e valore. Un nuovo theropode, ad esempio, è poco più che un aneddoto per un club limitato di appassionati. Altre scoperte, invece, hanno il peso della rivoluzione paradigmatica, perché modificano in modo profondo e significativo pilastri importanti dell’impalcatura conoscitiva sulla quale abbiamo edificato la risposta scientifica alle domande più profonde sulla

Non tutte le scoperte paleontologiche hanno la stessa importanza e valore. Un nuovo theropode, ad esempio, è poco più che un aneddoto per un club limitato di appassionati. Altre scoperte, invece, hanno il peso della rivoluzione paradigmatica, perché modificano in modo profondo e significativo pilastri importanti dell’impalcatura conoscitiva sulla quale abbiamo edificato la risposta scientifica alle domande più profonde sulla nostra esistenza. Come tali, esse richiedono indagini approfondite e controlli rigorosi, i quali, anche nel caso di una successiva smentita di tale scoperta, possono contribuire al progresso delle tecniche di studio, possono rivoluzionare essi stessi le nostre metodologie di indagine, o raffinare il nostro modo di leggere i dati.
 
Il bello della scienza è proprio in questo perpetuo mettersi in gioco, e nel trarre da queste sfide con sé stessa nuove prospettive di crescita.

La storia della vita sulla Terra è suddivisibile in tre fasi principali: la prima e più lunga fase, quella caratterizzata esclusivamente dai procarioti Archeani; la seconda, in cui evolvono i primi eucarioti e successivamente le prime forme pluricellulari, alla fine del Proterozoico; e la terza, quella più nota, caratterizzata dalla “vita moderna”, nel Fanerozoico.

Una delle fasi più enigmatiche della storia della vita sulla Terra è relativa all’ultimo periodo del Proterozoico, il Vendiano, noto per la misteriosa “fauna” di Ediacara, caratterizzata dai Vendobionti. Questi organismi pluricellulari, la cui struttura anatomica differisce da quella dei pluricellulari attuali, al punto che è incerto se siano riconducibili ai metazoi (gli animali), ai funghi o siano linee evolutive distinte originatesi indipendentemente a partire da un antenato unicellulare eucariota, presentano un piano di organizzazione corporeo unico, nella maggioranza dei casi sviluppato come strutture sessili, peduncolate o appiattite. Erano animali? Erano individui singoli o colonie? Il fatto che siano scomparsi da 550 milioni di anni non contribuisce a risolvere l’enigma.

Sebbene sia controverso a quale gruppo biologico collegare i vendobionti, e dove si inseriscano nella filogenesi degli eucarioti, tutti concordano nell’interpretazione ecologica di questi organismi, come esseri bentonici che abitavano il fondale di bassi bacini marini.

Una delle interpretazioni più eterodosse dei vendobionti è quella di Retallack (1994), secondo cui questi fossili sarebbero dei licheni, ovvero una forma di simbiosi tra alghe e funghi, un’ipotesi successivamente contestata (Waggoner 1995) e che è sempre rimasta minoritaria. Una riproposizione radicale dell’ipotesi di Retallack (1994) è stata pubblicata oggi dallo stesso autore (Retallack 2012) il quale, su Nature, sulla base di un’indagine prettamente geologica e sedimentologica, sostiene che il sedimento nel quale sono preservati alcuni vendobioni australiani sarebbe un paleo-suolo, quindi un terreno formatosi in ambiente subaereo (ovvero, fuori dall’acqua), in particolare analogo alle condizioni freddo-aride in cui oggi prosperano i licheni. In breve, Retallack (2012) ipotizza che non solo i vendobionti siano licheni, ma che questi rappresentino la primissima invasione delle terre emerse, avvenuta nel Vendiano, 600 milioni di anni fa!

Se confermata, sarebbe una scoperta tra le più importanti nel campo paleontologico degli ultimi decenni: non solo spiegherebbe la natura degli enigmatici vendobionti, non solo retrodaterebbe di quasi 100 milioni di anni le primissime forme di vita sulla terraferma, ma implicherebbe uno scenario del tutto inatteso e radicale nella fase della storia del pianeta precedente la grande radiazione adattativa Cambriana, da cui discendono tutti gli animali, noi compresi.

Quanto è plausibile questa radicale rivalutazione dei vendobionti? Dobbiamo iniziare a immaginarci questi organismi come un tappeto “alieno” sulla superficie altresì brulla dei continenti proterozoici? Sarebbe una rivoluzione iconografica veramente inattesa, a tratti fantascientifica.

Ovviamente, affermazioni straordinarie richiedono evidenze straordinarie. Come hanno sottolineato le critiche pubblicate nello stesso numero di Nature che questa settimana pubblica l’ipotesi di Retallack (2012), questo scenario non esclude che i vendobionti siano (anche) acquatici, e quindi indebolisce la necessità di avere questi organismi fuori dall’acqua, come invece sarebbe se il modello escludesse categoricamente una componente marina per i vendobionti. Se una parte dei vendobionti “rimane acquatica” anche nel modello di Retallack (2012), a che scopo ipotizzarne qualcuno subaereo?

In ogni caso, certi fossili di vendobionti sono depositati in sedimenti indiscutibilmente marini, e ciò non può essere messo in dubbio senza ricorrere a ipotesi troppo azzardate ed ad hoc, mentre le evidenze di “paleosuolo” proposte da Retallack (2012) sono al più da considerare come ambigue, dato che non escludono alternative convenzionali riconducibili ad ambiente marino o a modificazioni avvenute successivamente sui sedimenti, che quindi non avrebbero alcun valore nel dirci le condizione originarie dell’ambiente in cui si formarono quei sedimenti.

In breve, per quanto radicale ed affascinante, questa nuova ipotesi non risolve tutti i problemi precedenti, e ne crea di nuovi. Ciò, nella logica delle ipotesi scientifiche, è un punto di grande debolezza. Nondimeno, l’ipotesi di Retallack ha il pregio di spingere i paleontologi del Proterozoico verso ambiti finora poco affrontati, come le evidenze di paleosuoli e la presenza dei licheni.

La questione sull’origine dei vendobionti rimane quindi aperta, così come la data e l’identità delle primissime forme di vita subaeree.

Da Theropoda, il blog di Andrea Cau

Bibliografia:

Retallack, G.J. (1994). Were the Ediacaran fossils lichens?. Paleobiology 20 (4): 523–544.
Waggoner, B.M. (1995). Ediacaran Lichens: A Critique. Paleobiology 21 (3): 393–397.
Retallack, G.J. (2012). Ediacaran life on land. Nature doi:10.1038/nature11777