Lazzaro Spallanzani: l’apprendista stregone di Scandiano

Il mondo naturale era il suo laboratorio e per ogni fenomeno provava lo stupore di un bimbo

Se i media non avessero nominato così spesso l’Ospedale Spallanzani di Roma, a causa della pandemia di Covid19, probabilmente pochi avrebbero mai conosciuto il suo nome. Lazzaro Spallanzani, sicuramente il più grande Naturalista italiano del ‘700, è infatti conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Egli fu anche chimico, fisico, matematico, geologo, vulcanologo, meteorologo, botanico, paleontologo, collezionista di piante fossili, microbiologo e, come se non bastasse, professore di greco, filosofia e retorica.

Lazzaro Spallanzani nacque il 12 gennaio 1729 a Scandiano, vicino a Reggio Emilia. Il padre Giannicola era un notaio, che non aveva il denaro sufficiente per mantenere la numerosa famiglia; la madre Ottavia Lucia Ziliani, proveniva invece da un’antica e ricca famiglia scandianese. E la famiglia era veramente numerosa: Lazzaro fu il primogenito di dieci figli, quattro maschi e sei femmine.

Spallanzani rimase legato per tutta la vita a Scandiano da un rapporto profondo ed indissolubile. Là era rimasta infatti la sua famiglia e là lui tornava ogni anno per trascorrere le vacanze estive, da luglio alla fine di ottobre. Scandiano fu però per Spallanzani anche il luogo in cui compiva esperimenti nel suo laboratorio e un ambiente naturale, che lui esplorava alla ricerca delle evidenze naturali del suo pensiero.

Il giovane Lazzaro apprese i primi elementi di grammatica dal maestro della comunità di Scandiano, Don Ippolito Morsiani. I compagni di gioco lo chiamavano “strolegh” (che significa stregone, ragazzo strano) e questo ci dice che il giovane Lazzaro sviluppò presto la passione per l’osservazione della natura e della vita degli animali. Questo è un esempio del fatto che nel ‘700 chi compiva esperimenti o fosse anche solo interessato alla natura, venisse ancora tacciato di stregoneria: non è infatti un caso che i roghi in Europa si erano spenti da poco!

Nel 1744, a quindici anni, venne inviato a Reggio Emilia presso il Collegio retto dai Gesuiti per studiarvi retorica e filosofia, usufruendo di un sussidio concessogli dalla Fondazione Vallisneri di Scandiano. In seguito, sollecitato dal padre a intraprendere lo studio della giurisprudenza, nonostante la sua innata inclinazione allo studio della natura, nel 1749 si iscrisse alla facoltà di Diritto presso l’Università di Bologna. Ma l’interesse per la natura era ancora grande in Lazzaro, che riuscendo a vincere la resistenza paterna abbandonò gli studi legali per dedicarsi a quelli naturalistici; nel 1755 si laureò in Filosofia Naturale o, come era allora chiamata Philosophia Naturalis, termine che si applicava allo studio oggettivo della natura e dell’universo fisico. A Bologna Spallanzani studiò anche greco, francese, matematica e astronomia, e apprese l’uso del microscopio.

Docente universitario

Accettò quindi nel 1757 l’insegnamento di greco nel Seminario e di fisica e matematica all’Università di Reggio Emilia. Nel 1762, a trentatré anni, prese gli ordini sacerdotali e nel 1763 si trasferì a Modena per insegnare filosofia all’Università, e matematica e greco presso il Collegio di San Carlo. Nel 1768 venne nominato Membro della Royal Society of London, grazie alla fama acquisita con le ricerche da lui condotte. Nel 1769 per interessamento del Conte Carlo di Firmian, Governatore della Lombardia, Spallanzani lasciò Modena per ricoprire la cattedra di Storia Naturale a Pavia, nell’Università ristrutturata dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Egli si trasferì a Pavia entro il novembre del 1769 e assunse la cattedra e la direzione del Museo dell’Università. Pur lamentandosi del clima insalubre della città, vi rimase per trent’anni.

Ricercatore sperimentale

La prima ricerca di Spallanzani fu quella volta a dimostrare la non veridicità della generazione spontanea, che affermava che i piccoli organismi viventi nascevano dalla materia inorganica. Il primo a proporre questa idea era stato nel IV secolo a.C. Aristotele, che diceva che le rane nascevano spontaneamente dal fango! Questa idea fu talmente pervasiva che addirittura nel 1600, il medico fiammingo Jean Baptiste Van Helmont sosteneva che gli indumenti sporchi generavano topi adulti!

Spallanzani, che conosceva bene la natura, si mise all’opera osservando con il microscopio gli “infusori” (nome generico che indicava un insieme di batteri e protozoi) e grazie alle numerose prove condotte con metodi sperimentali rigorosi (si veda immagine), dimostrò l’origine animale degli “infusori” stessi e l’infondatezza della teoria della generazione spontanea.

Durante queste ricerche ebbe il modo di osservare curiosi organismi che chiamò Tardigradi. Egli analizzando la sabbia della grondaia del tetto della sua casa, estrasse questi minuscoli animali ed osservandone uno che “…andava così di brutto garbo, e a bistento …onde per segnarlo con qualche nome io non avrò difficoltà a chiamarlo il Tardigrado”. Il nome significa “lenti camminatori” a causa del loro buffo modo di incedere che ricorda quello degli orsi, ora sono chiamati anche “orsetti d’acqua”.


La rigenerazione negli animali 

Spallanzani iniziò ad osservare cosa accadeva tagliando in vivo lombrichi terrestri, salamandre, girini …ma soprattutto lumache. Le ricerche che destarono maggiore interesse e discussioni in tutta Europa furono quelle sulla rigenerazione della testa delle lumache. L’abate dimostrò che tagliando la testa alle lumache, queste ne generavano una nuova! In seguito molti celebri scienziati come Lavoisier, ma anche filosofi di grido come Voltaire, si dedicarono al taglio della testa delle lumache, provocando in pochi anni un vero e proprio massacro di queste sfortunate vittime della scienza e della curiosità.

La fecondazione

Per dimostrare la funzione del liquido spermatico nella fecondazione, Spallanzani a Scandiano raccolse rane di diverso sesso, provando in vari modi la sua tesi: mise delle buffissime braghette di cera al maschio e non ebbe fecondazione. Poi pose le uova in due vaschette, ma solo nella prima aggiunse lo sperma del maschio: dopo il tempo necessario nella prima vaschetta nacquero i girini, nella seconda non accadde nulla! Un utilizzo perfetto del metodo sperimentale, in cui erano già presenti il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo.

La fecondazione artificiale

Dopo queste esperienze sui batraci, Spallanzani passò ai mammiferi, e raccolse la stupita, oltreché invidiosa, ammirazione del mondo scientifico, quando trionfalmente riuscì a inseminare una barboncina, iniettandole nell’utero il seme ottenuto per emissione spontanea da un cane della stessa razza. Ma in privato, scrivendo agli amici più stretti, Spallanzani ammetteva di voler estendere le proprie ricerche sulla fecondazione artificiale almeno ai grandi quadrupedi (cavalli, mucche, pecore, capre). Si rese però conto che si sarebbe così avventurato su un terreno che la Chiesa Cattolica avrebbe sicuramente tacciato come contronaturale, e lui, in fondo, era un sacerdote! Purtroppo dopo aver individuato il potere fecondante nel liquido seminale, Spallanzani non riuscì però a capire la vera funzione degli spermatozoi, che considerò semplici parassiti dello sperma.

Elettricità e animali

Anche i pesci elettrici attirarono la sua attenzione: si faceva mordere le dita dalle torpedini per capire come questi pesci potessero dare potenti scosse elettriche. Risolse così una controversia in quel tempo aperta e divisiva tra chi riteneva che le scosse fossero di origine meccanica e dovute a contrazioni muscolari, e chi le interpretava come scariche elettriche generate da un particolare organo dell’animale anche in assenza di movimenti. Per risolvere la questione l’abate usò materiali isolanti e conduttori elettrici: la scossa non poteva essere meccanica perché non si trasmetteva attraverso materiali isolanti.

Il sesto senso dei pipistrelli

Spallanzani aveva osservato che i pipistrelli, oltre a volare al buio, potevano volare anche privati della vista. Il fenomeno, del tutto inatteso e sconosciuto, lo aveva indotto a proporre “il sospetto” che fossero dotati di “un nuovo senso”. Dopo aver escluso, mediante l’otturazione con palline di vischio le orbite oculari, che i pipistrelli accecati conservassero un residuo di capacità visiva, Spallanzani era passato alla ricerca dell’organo vicario della vista. Aveva scartato prima il tatto, perché gli animali accecati evitavano alla perfezione, come quelli normali, gli ostacoli. Anche otturando con cera liquefatta le narici dei pipistrelli non si potevano notare variazioni nella regolarità del volo. La stessa situazione si verificava eliminando, tramite il taglio della lingua, il senso del gusto. Rimaneva allora solo il “sesto senso” …

I viaggi

Spallanzani fece ben 11 viaggi naturalistici, una novità per i biologi dell’epoca. I due più importanti furono il viaggio nelle Due Sicilie e quello a Costantinopoli. Il primo, iniziato nel luglio 1788, si protrasse fino a dicembre e fu ricco di osservazioni e studi sui fenomeni vulcanici del Vesuvio e dell’Etna ma anche dei vulcani delle isole Eolie visitò Vulcano e Stromboli. Importanti risultarono anche le ricerche geologiche e mineralogiche, e la raccolta di tantissime rocce e minerali che portò a Pavia per il suo Museo. Tale fu l’entusiasmo dell’abate che durante un’ascensione all’Etna si bruciò le scarpe nella lava!
Il 22 agosto 1785 Spallanzani partì via mare da Venezia per Costantinopoli a bordo della nave da guerra San Giorgio, che portava a Costantinopoli Girolamo Zulian, nuovo balio (ambasciatore) della Serenissima. L’abate era felicissimo di poter compiere interessanti osservazioni. Davanti alle coste dell’Istria osservò con grande entusiasmo la formazione di tre trombe marine e, mentre i marinai invece tremavano di paura, lui spiegò al Balio Zulian la natura dell’evento. La sera del 29 settembre Spallanzani organizzò dell’attività di laboratorio per il balio, mescolando “dell’aria infiammabile (idrogeno) con l’aria vitale (ossigeno)” generando acqua e producendo terribili esplosioni. La ciurma subito affermò che lui fosse un mago o uno stregone.
Per sua sfortuna quella notte si scatenò una fortissima tempesta, che durò molte ore; i marinai lo accusarono di avere scatenato la burrasca e decisero di buttarlo in mare per placare i flutti! Solo la presenza del balio Zulian, salvò la vita del povero abate.
Giunto a Costantinopoli compì studi sulla flora e sulla fauna delle località visitate, si interessò ai costumi e alla vita di quelle popolazioni.
Per motivi evidenti, il ritorno avvenne via terra e ciò gli consentì di visitare e raccogliere casse di minerali in alcune miniere della Transilvania e nelle miniere di sale di Salisburgo. Al suo arrivo a Vienna nel dicembre 1786 apprese di essere stato accusato da alcuni colleghi di sottrazione di materiale dal Museo di Pavia a favore della sua raccolta privata di Scandiano.
Ad accusarlo furono il matematico Gregorio Fontana, l’anatomista Antonio Scarpa e il botanico Giovanni Antonio Scopoli, che era il più interessato poiché ambiva alla direzione del Museo di Pavia. Le accuse erano infondate e quindi il processo che seguì portò al riconoscimento della sua completa innocenza.
Ma la cosa non finì lì … e dato che “la vendetta è un piatto che si serve freddo”, la rappresaglia del Professore fu terribile. Scopoli venne spinto a credere che una volgare frattaglia di gallina fosse l’unico esemplare, mai rinvenuto in natura, di una singolarissima specie di vermi, che lo scienziato si illuse di avere scoperto, a cui lui stesso assegnò il nome Physis intestinalis e non solo…era così felice che pensò bene di dedicare la nuova specie al botanico Sir Joseph Banks, esimio Presidente della Royal Society di Londra!

Spallanzani professore di storia naturale

Il corso di Storia Naturale era biennale e, secondo il piano scientifico, doveva riguardare particolarmente il “Regno animale dall’uomo fino ai più piccoli insetti”. Spallanzani all’interno del programma comprendeva anche mineralogia e botanica. Il testo su cui basava le sue lezioni era la “Contemplation de la nature” di Charles Bonnet, da lui stesso tradotta dal francese e arricchita di note. Spallanzani teneva ben 180 lezioni all’anno e a quelle ex cathedra accorreva un immenso uditorio costituito da studenti, illustri curiosi e altri scienziati, come avveniva a Uppsala per Linneo. Dalla sua cattedra, la più alta di tutte, sempre col cappello in testa, l’abate declamava le sue lezioni con enfasi e perfette inflessioni della voce.

Spallanzani continuò a lavorare come al solito fino a qualche giorno prima della morte. Lo scienziato morì nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 1799 nella sua abitazione di Via S. Martino a Pavia per un tumore alla vescica, malattia di cui soffriva da tempo. Lasciò alla Scienza la sua vescica e l’uretra, che si conservano ancora nel Museo per la Storia dell’Università di Pavia. Il fratello prese il suo cuore, che venne posto in un cenotafio, nella Parrocchiale di S. Maria, a Scandiano. I resti di Lazzaro Spallanzani, il grande biologo, noto in tutta Europa, vennero sepolti nel Cimitero Maggiore di Pavia, in un campo comune.

Lo ricordò così Voltaire, suo grande estimatore, che alcuni giorni prima di morire, scrisse di lui: «Non ho che pochi giorni da vivere, Signore, li passerei a leggerla, a stimarla e guardarla come il primo naturalista d’Europa».

Patrizia Martellini
Blog Evolve or Die

Bibliografia:
– Paolo Mazzarello, Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa. L’intrigo Spallanzani
– Jean Rostand, Lazzaro Spallanzani e le origini della biologia sperimentale
-Quarzo, Vivarelli, La danza delle rane