Le capacità uditive negli ominidi

Le capacità uditive dei primi ominidi si adattarono ad una percezione di suoni a breve distanza in ambienti aperti, divergendo molto presto dalla linea evolutiva delle scimmie antropomorfe

L’uomo moderno ha uno spettro di frequenza più ampio rispetto a quello degli altri primati, una caratteristica che gli consente di distinguere con nettezza i suoni della lingua parlata. Un gruppo di studio, coordinato da Rolf Quam, professore di antropologia all’università di Binghamton, ha cercato di indagare l’origine e le ragioni evolutive di questa divergenza.

La percezione dei suoni è una capacità relativamente facile da indagare nella documentazione fossile, poiché le sue proprietà fisiologiche sono strettamente correlate alle strutture scheletriche di cui ci rimane traccia. Inoltre, l’importanza di questo aspetto è cruciale per dedurre lo stile della comunicazione e le condizioni in cui essa ebbe luogo.

Alcuni anni fa, uno studio aveva fatto luce sulle capacità uditive degli uomini di Sima de los Huesos, vissuti intorno ai 400 mila anni fa (Pikaia ne ha parlato qui). In questo gruppo l’apparato uditivo presenta una sostanziale somiglianza con quello di H. sapiens. Da questo punto, partono le attuali indagini di Quam e colleghi, che vertono sulle capacità uditive di Australopithecus africanus (tra 3 e 2 milioni di anni fa) e Paranthropus robustus (tra 2 e 1 milioni di anni fa) e sono state pubblicate su Science Advances.

Ciò che ha stupito i ricercatori è il fatto che le capacità uditive si sono differenziate dal corrispettivo della linea evolutiva delle scimmie antropomorfe già in queste specie, e cioè da almeno due milioni di anni. Infatti, il canale uditivo dei primi ominidi più corto e largo, la membrana timpanica piccola e la maggiore sensibilità a frequenze superiori a quelle già condivise con gli scimpanzé tra 1,5 and 3,5 kHz, rendono le capacità uditive di queste specie molto vicine a quelle umane. Questo fatto ci permette di inferire almeno due elementi. In primo luogo, la capacità uditiva si sarebbe adattata all’ascolto in ambienti aperti come la savana, che, infatti, cominciò a essere esplorata regolarmente in cerca di risorse alimentari (Pikaia ne ha parlato qui). In secondo luogo, la sensibilità a frequenze maggiori indicherebbe la possibilità di ascolto di voci a breve distanza, fatto che – precisano gli studiosi – non equivale ad attribuire agli ominidi il linguaggio.

Queste modificazioni dell’apparato uditivo e la maggiore percezione dei suoni a bassa frequenza potrebbero aver favorito la propensione per la comunicazione vocale a breve distanza in ambienti aperti.

Riferimenti:
Rolf Quam et al. Early hominin auditory capacities. Science Advances, September 2015 DOI: 10.1126/sciadv.1500355

Credit image: Rolf Quam