Le isole, laboratorio a cielo aperto dell’evoluzione

La biogeografia delle isole continua a suggestionare il lavoro dei biologi evoluzionisti, come dimostra un recente lavoro pubblicato su Nature, e non pare possa esaurire a breve il suo potere di ispirazione

Lo studio della diversità delle specie nelle isole è stato un passaggio fondamentale nell’esperienza di Charles Darwin per arrivare a formulare la teoria della selezione naturale. Allo stesso modo ne fu influenzato Alfred Wallace. Senza soluzione di continuità, fino ad oggi, lo studio delle specie insulari ha attratto i biologi evoluzionisti che le hanno adoperate quale laboratorio cognitivo per elaborare e controllare le proprie teorie. A partire dai lavori seminali di Darwin e Wallace si sono susseguiti studi importanti sulla biogeografia delle isole che hanno contribuito a espandere la teoria e il suo contenuto corroborato. Fondamentali avanzamenti teorici sono stati elaborati da MacArthur e Wilson nel 1967, con la teoria della “biogeografia delle isole”, mentre lo studio sul campo condotto dai coniugi Grant ha segnato la storia della biologia evoluzionistica. La biogeografia delle isole continua a suggestionare il lavoro dei biologi evoluzionisti, come dimostra un recente lavoro pubblicato su Nature, e non pare possa esaurire a breve il suo potere di ispirazione.

Il 15 settembre 1835 l’isola di Chatham[1] si materializzò all’orizzonte. Sul Beagle, Charles Darwin, probabilmente, si rallegrò: poter finalmente scendere sulla terraferma significava trovare sollievo da quel fastidioso mal di mare che mai gli dava tregua. Alle Galápagos poté approfondire le sue esplorazioni geologiche su un arcipelago peculiare e mettere alla prova la teoria uniformitarista di Charles Lyell, che sempre più trovava convincente. Darwin ebbe tempo un mese per esplorare varie isole dell’arcipelago e raccogliere campioni geologici e di fauna locale. Una leggenda, che per vari anni si è diffusa quale aneddoto storico, narra che proprio qui ebbe un’epifania naturalistica e si convertì all’evoluzionismo. La realtà storica è che alle Galápagos Darwin diede priorità alle osservazioni geologiche, alle prelibatezze locali (assaggiò le testuggini e varia avifauna) e infine raccolse vari esemplari di specie, senza prestare troppa attenzione alla loro catalogazione. L’esperienza sull’arcipelago non lo lasciò indifferente: i dati che accumulò si sedimentarono in modo superficiale, ma pronti a essere riordinati e riutilizzati al momento opportuno.

Dopo aver completato la traversata oceanica e toccato altri tre continenti, Darwin, l’anno successivo, riuscì ad approdare in Inghilterra e subito si mise al lavoro su tutto il materiale raccolto durante i quasi cinque anni passati a peregrinare per tutti gli oceani. Coadiuvato nel lavoro da diversi tassonomisti cominciò a fare ordine tra i fossili e gli esemplari tassidermizzati, al fine di pubblicare i risultati e guadagnare un posto nell’accademia. È in questo periodo che iniziò a compilare dei taccuini dove speculò sul problema dei problemi: come si originano le nuove specie?

Già durante il viaggio aveva iniziato a mettere in dubbio la teoria fissista e creazionista della teologia naturale, troppe evidenze contrarie (geologiche, biogeografiche, fossili) ne compromettevano le capacità esplicative, ma non aveva un’alternativa teorica a disposizione e aveva rimandato l’approfondimento del problema. È probabilmente all’inizio del 1837, quando l’ornitologo John Gould gli fornì i risultati della classificazione degli uccelli catturati alle Galápagos, che Darwin mise insieme i pezzi del puzzle e si convinse della plausibilità dell’evoluzione. Gli esemplari che aveva catturato su diverse isole e che aveva supposto appartenere alla stessa specie erano stati classificati da Gould come appartenenti a specie distinte. A partire da questo si poteva inferire che barriere geografiche e isolamento potevano influenzare la divergenza dei caratteri delle popolazioni su lunghi periodi di tempo. Una catena di pensieri si innescò inarrestabile: forse le specie possono essere connesse genealogicamente, forse si differenziano in opportune condizioni ambientali. Quella di Darwin non fu un’epifania ma un complesso congetturare, quasi un confabulare ispirato da schemi empirici, che lo occupò vari mesi. Questo suo lavoro di raffinamento e controllo empirico di varie ipotesi teoriche plausibili lo condusse a elaborare la teoria della discendenza con modificazioni per selezione naturale. Schemi empirici di distribuzione geografica e serie fossili convergevano e assumevano un significato coerente alla luce della sua nuova teoria. Una volta elaborata la teoria, evitò di indurre epifanie violente ad altre persone e optò per obliare il tutto al pubblicò per ben 20 anni.

Darwin si decise a pubblicare la sua teoria nel 1858, solo dopo che un giovane esploratore e naturalista gli aveva comunicato di esser arrivato alla medesima teoria. Alfred Russel Wallace condivide con Darwin la fondazione teorica della selezione naturale, ma anche l’essere stato esploratore di isole. Wallace lesse il resoconto del viaggio sul Beagle pubblicato da Darwin nel 1842, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, e grazie al contributo di varie altre letture naturalistiche si convinse di dover contribuire a risolvere il problema di come nascono nuove specie. Una prima esplorazione in Brasile si concluse con l’affondamento della nave che trasportava tutto il materiale da lui raccolto. L’evento non lo demoralizzò e si decise a tentare la fortuna nell’arcipelago malese. La sua esplorazione iniziò nel 1854 e si concluse nel 1862. Studiando la distribuzione e le caratteristiche delle specie sulle isole malesi, giunse a formalizzare gli schemi empirici di discendenza comune ed elaborò la teoria della selezione naturale all’inizio del 1858[2]. Un fatto curioso è che condivise il proprio lavoro con Darwin. Essi erano in corrispondenza da qualche tempo e Darwin aveva condiviso con il giovane esploratore la notizia che stava lavorando a un libro sull’origine delle specie e lo aveva spronato a proseguire il proprio lavoro su questo tema. Non vi poteva essere miglior critico che un esperto che lavorava al medesimo problema, per questo Wallace spedì per posta a Down House un manoscritto che descriveva le linee principali della sua teoria. Le conseguenze della curiosa convergenza sono ormai storia consolidata.

Una volta tornato in patria, Wallace si mise a scrivere un libro sul suo viaggio e pubblicò The Malay Archipelago[3] nel 1869. Essa è considerata una delle opere fondamentali della biogeografia, ambito di studio implicito in molti lavori di Darwin, ma a cui Wallace dedicò molte fatiche e che contribuì in modo fondativo a sviluppare, giungendo a pubblicare nel 1876 il testo The geographical distribution of animals[4], nel quale fornì una mappa dove divideva la Terra in diverse regioni zoogeografiche. I pattern che Wallace e Darwin avevano osservato sulle isole potevano essere applicati anche in altri contesti di studio e questo rendeva estremamente attraente la loro teoria, le conferiva fecondità euristica e diventava utile a fornire spiegazioni di una vasta gamma di fenomeni naturali. Questo favorì l’applicazione e l’espansione della teoria da parte di altri naturalisti che poterono fornire spiegazioni di una pletora complessa di fenomeni che fino a quel momento erano stati difficilmente riducibili in un ampio schema esplicativo coerente.

Sviluppando questi studi nel 1967 Robert MacArthur e Edward O. Wilson pubblicarono The Theory of Island Biogeography[5]. Il testo rappresenta un balzo in avanti nella concettualizzazione dei processi evolutivi che coinvolgono le specie sulle isole. In esso vengono formalizzati i principi utili a spiegare la biogeografia delle isole. Essi proposero la teoria secondo cui il tasso di colonizzazione decresce all’aumentare dell’isolamento geografico dell’isola, il tasso di estinzione decresce all’aumentare dell’area dell’isola, mentre il tasso di speciazione aumenta all’aumentare dell’isolamento e dell’area dell’isola. Il loro modello prevedeva: l’esistenza di un livello di equilibrio dove le immigrazioni possono compensare le estinzioni; le isole più grandi avrebbero avuto più specie e meno estinzioni rispetto a quelle più piccole; si sarebbe dovuto trovare un numero di specie proporzionalmente inferiore all’aumentare dell’isolamento geografico. Ricapitolando, la biodiversità delle isole dipende da fattori geografici quali l’isolamento e la superficie, i quali influenzano i vari tassi di colonizzazione, speciazione ed estinzione.

Questo modello è stato ben corroborato negli anni successivi e applicato con successo da molti ecologi evoluzionisti anche in altri ecosistemi, per esempio quelli montani. Negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo della biologia molecolare e della genomica è stato possibile integrare questi modelli ricostruendo le traiettorie genealogiche delle specie, arrivando a fornire dei quadri esplicativi più precisi e raffinati. Lo sviluppo della filo-geografia ha permesso di fornire non solo nuova evidenza, ma anche un nuovo campo di prova per la teoria della biogeografia delle isole elaborata dai naturalisti. Le diverse ipotesi possono essere sottoposte a diversi controlli (filogenetico, eco-biogeografico) e questo ha esteso le capacità di spiegazione della teoria dell’evoluzione. In altri termini essa si è arricchita di nuove teorie e di nuovi metodi, la cui integrazione e convergenza ha permesso di fornire spiegazioni che espandono il dominio esplicativo del programma di ricerca evoluzionistico.

Un lavoro esemplare che mostra da un punto di vista storico l’applicazione e l’evolvere delle teorie ecologico-geografiche e i vantaggi apportati dall’integrazione delle teorie e dai metodi della genomica è l’opera dei coniugi Grant. Peter e Rosemary Grant iniziarono nel 1973 (e non lo hanno ancora terminato) un esperimento finalizzato a verificare se si potessero registrare cambiamenti nella composizione delle popolazioni in natura influenzati dalla selezione naturale all’interno della cornice di tempi “umani”[6]. Per la biologia evoluzionistica è un ritorno alle Galápagos. I Grant scelsero la piccola isola di Daphne Major quale sede dell’esperimento, situata al centro dell’arcipelago e poco frequentata dall’essere umano. Le specie su cui decisero di concentrare l’attenzione furono i fringuelli di Darwin. In più di quarant’anni di lavoro, lo studio ha permesso di osservare gli effetti sul breve periodo di pressioni selettive sui caratteri fenotipici delle popolazioni e ampliare la conoscenza dei fenomeni di speciazione. Essi hanno documentato processi di colonizzazione, speciazione ed estinzione. Grazie a un meticoloso lavoro di campionamento degli individui e l’archiviazione di loro campioni di sangue sono successivamente ricorsi alle implementazioni apportate dalla genomica e hanno elaborato alberi filogenetici utili a ricostruire le parentele e le traiettorie di migrazione degli antenati, fornendo un quadro evolutivo delle specie di fringuelli studiati pressoché completo.

Seguendo questa corrente di studi, a febbraio 2020 è stato pubblicato sulla rivista Nature uno studio[7] condotto da un gruppo di ricercatori capitanati da Luis Valente, biologo evoluzionista all’università di Groningen. Il gruppo ha ripreso il lavoro seminale di MacArthur e Wilson con l’intenzione di fornire un controllo più preciso e ampio delle predizioni elaborate dal modello. Essi sono ricorsi alla filogenesi molecolare e alle conoscenze sulle distribuzioni areali di varie specie di uccelli terricoli per controllare le dinamiche del modello della biogeografia delle isole. In totale sono state campionate 491 specie su 41 arcipelaghi. Parte dei dati ecologici e genetici su queste specie erano già disponibili in archivi, mentre il lavoro del gruppo ha permesso di fornire nuove informazioni su altre 90 specie. La computazione dei dati ha condotto a corroborare le previsioni del modello della biogeografia delle isole: il tasso di estinzione diminuisce al crescere della superficie, il tasso di colonizzazione diminuisce al crescere del grado di isolamento dell’isola, il tasso di speciazione aumenta in proporzione alla superficie dell’isola e alla lontananza dai continenti. Per quanto riguarda le speciazioni si è constatato che processi anagenetici si istanziano con maggior frequenza all’aumentare dell’isolamento e processi cladogenetici aumentano all’aumentare dell’isolamento e della superficie dell’isola.

La ricerca ha permesso di fornire uno sguardo globale sui processi che caratterizzano la biogeografia delle isole e tali strumenti possono risultare utili per approfondire, successivamente, la comprensione dell’impatto antropico sulle isole, su come l’azione umana possa influire sulla frammentazione di habitat e sui tassi relativi di speciazione ed estinzione, conseguentemente elaborare strategie di conservazione adeguate. Questo studio è un ulteriore esempio di come il programma di ricerca evoluzionista sia capace di espandere e raffinare la portata dei propri modelli esplicativi in un processo crescente di fecondazione incrociata tra teorie e nuovi metodi di analisi.

Lo studio delle isole continua a essere uno dei centri gravitazionali dell’attenzione dei biologi evoluzionisti e ancora oggi contribuisce a far evolvere la teoria, che in buona salute continua a digerire dati e incorporare avanzamenti teorici. Le isole sono state un laboratorio cognitivo fondamentale per l’elaborazione della teoria della selezione naturale. È proprio in questo contesto che, probabilmente, va ricercata la convergenza del lavoro di Darwin e quello di Wallace che è confluito nell’elaborazione della selezione naturale. Uno sguardo naturalistico, emancipato dagli schemi rigidi della teologia naturale, stimolato dallo studio di pattern empirici inerenti la distribuzione della divergenza delle specie nello spazio e nel tempo permise ai due naturalisti di individuare quale fosse il processo che permette l’originarsi di tale biodiversità. Da più di centosessant’anni le isole continuano a ispirare e attirare il lavoro dei biologi evoluzionisti e non sembrano aver esaurito il loro potenziale di suggestione.

Olmo Viola

Da La Mela di Newton

NOTE

[1] Oggi ha cambiato denominazione e si chiama San Cristobal.

[2] Darwin si convinse della discendenza con modificazioni dopo il suo ritorno dal viaggio sul Beagle, dopo un intenso lavoro teorico e di critica. Wallace partì per i suoi viaggi convinto della correttezza dell’ipotesi evoluzionistica, e a tal fine intendeva lavorare, per fornire finalmente supporto scientifico a quella che fino a quel momento assomigliava più a una speculazione metafisica che a una teoria scientifica. Invertendo la convergenza a partire dalla pubblicazione congiunta della teoria della selezione naturale si arriva a individuare nella biogeografia delle isole il comune terreno di coltura della teoria.

[3] Wallace, Alfred Russel, L’arcipelago malese, Mimesis, Milano 2013.

[4] Wallace, Alfred Russel, The geographical distribution of animals: with a study of the relations of living and extinct faunas as elucidating the past changes of the earth’s surface, Cambridge University Press 2011.

[5] MacArtur, R. H., E. O. Wilson, The theory of Island biogeography, Princeton 1967.

[6] Grant, Peter R., B. Rosemary Grant, 40 years of evolution: Darwin’s finches on Daphne Major Island, Princeton University Press 2014.

[7] Valente, Luis, et al. “A simple dynamic model explains the diversity of island birds worldwide.” Nature 579.7797 (2020): 92-96.