L’evoluzione del genoma eucariotico: studiare l’evoluzione con i “big data”

Scavando tra i dati disponibili in banca dati possiamo capire come si è evoluto il genoma eucariotico: più conferme che sorprese, parola di Nature!

Nel corso degli ultimi dieci anni un crescente numero di ricercatori ha suggerito la possibilità di un trasferimento orizzontale di DNA, inteso come il trasferimento di frammenti di DNA tra individui di specie diverse. La precisa entità di questo processo è stata oggetto di numerosi studi nei procarioti, in cui si è dimostrato che il trasferimento orizzontale è la principale modalità in cui sono acquisiti geni nuovi nei batteri (Pikaia ne ha parlato qui). Cosa accade invece negli eucarioti?

La risposta non è semplice, perché sino ad oggi la reale portata del trasferimento orizzontale non è mai stata analizzata in modo mirato negli eucarioti, ma ci si è per lo più focalizzati su casi specifici. Un esempio sono gli afidi (insetti molto spesso chiamati in modo improprio pidocchi delle piante) che producono carotenoidi grazie a geni acquisiti da un fungo (Pikaia ne ha parlato qui).

Gli eucarioti hanno sicuramente acquisito geni da altre specie (in particolare da procarioti), ma questo non significa che in tutti i viventi il trasferimento orizzontale abbia avuto un peso analogo. Ad esempio vi sono diverse evidenze che suggeriscono che dopo la divergenza di batteri, Archea ed eucarioti, il genoma sia divenuto più refrattario al trasferimento orizzontale. Il passaggio alla multicellularità avrebbe ulteriormente limitato il peso del trasferimento orizzontale, poiché per essere efficace tale spostamento di geni deve essere diretto non verso le cellule somatiche, ma verso quelle germinali; solo in questo modo infatti il DNA trasferito può divenire parte stabile del patrimonio genetico di una specie. La separazione tra cellule somatiche e germinali rappresenta quindi un passaggio chiave assimilabile ad una sorta di confine che può essere difficilmente valicato dal trasferimento orizzontale. 

Come fare quindi per avere una stima precisa di cosa è accaduto al genoma eucariotico? Secondo il gruppo di ricerca coordinato da William Martin l’idea di base è semplice: se il trasferimento di geni da procarioti a eucarioti è un processo continuo, dall’analisi dei genomi eucariotici dovrebbe emergere un accumulo progressivo di geni procariotici. Avvalendosi quindi di analisi comparative sui dati già disponibili in letteratura si potrebbe capire quando determinati geni sono stati per la prima volta trasferiti verso il genoma eucariotico, da dove (nel senso di quale specie) sono stati trasferiti e quanto un dato gene “trasferito” è comune negli eucarioti. Sembra semplice!

Come pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature, il “passaggio alla pratica” non è stato così immediato, tanto che per dare una risposta gli autori hanno analizzato oltre 900.000 proteine codificate da 55 genomi eucariotici differenti confrontandole con oltre 6 milioni di sequenze procariotiche. In questo caso quindi l’evoluzione è stata studiata non più su scala genetica, ma su scala genomica avvalendosi dell’enorme mole di dati (possiamo indubbiamente parlare di big data) derivante dai numerosi progetti genoma in corso o già completati.

Questo confronto ha permesso di evidenziare che l’acquisizione (tramite simbiosi) dei cloroplasti ha portato al trasferimento di un ampio set di geni oggi presenti negli eucarioti in grado di attuare la fotosintesi. Questi geni sono “arrivati” dai cianobatteri, da cui i cloroplasti sono derivati secondo quanto ipotizzato dalla teoria simbiotica di origine dei cloroplasti (un cui riassunto è presente qui).

Un ulteriore supporto alla teoria simbiotica è legato all’origine dei mitocondri, evento ancora oggi evidente a livello dei genomi eucariotici, dove si identifica un ampio gruppo di geni condivisi con alfa-proteobatteri, anche se i geni acquisiti in questo caso sono distinguibili in modo meno netto rispetto a quanto accaduto per i cloroplasti. Questo risultato deriva dal fatto che i geni derivanti dai genomi mitocondriali ancestrali vanno in parte a sovrapporsi ad un ampio set di geni “procariotici” acquisiti molto presto nel corso dell’evoluzione degli eucarioti, tanto da essere presenti in pressoché tutti gli eucarioti.

Secondo i dati di Martin quindi non è vi dubbio che l’acquisizione di mitocondri e cloroplasti abbia rappresentato un momento importante anche di trasferimento di geni verso il genoma eucariotico. Nel complesso però il 75% dei geni procariotici presenti nei genomi eucariotici risulta essere presente in molti eucarioti (oltre che avere sequenze molto simili tra i diversi eucarioti) tanto da essere ricondotto a singoli e sporadici eventi di acquisizione. Solo il restante 25% sembra essere invece il frutto di singole acquisizioni indipendenti.

A quanto pare quindi il contributo del trasferimento orizzontale al genoma eucariotico nucleare è stato di notevole importanza al momento dell’acquisizione di mitocondri e dei cloroplasti (e dei relativi genomi), ma, contrariamente a quanto suggerito da alcuni ricercatori, l’acquisizione di altri geni tramite trasferimento orizzontale è stata per lo più sporadica e non ha contribuito in modo sostanziale all’evoluzione del genoma eucariotico.

Ciò che noi troviamo quindi nel genoma eucariotico è primariamente il risultato di trasferimenti verticali di DNA da genitori a figli, con alcuni (rari!) trasferimenti di geni da procarioti, ovviamente con l’eccezione del contributo rilevantissimo dell’endosimbiosi che ha portato all’acquisizione prima dei mitocondri e poi dei cloroplasti. Come già suggerito negli anni ’70, negli eucariotici la principale via con cui compaiono nuovi geni rimane la duplicazione.. ovviamente sino a prova contraria.

Riferimento bibliografico
Ku C, Sathi SN, Roettger M, Sousa FL, Lockhart PJ, Bryant D, Hazkani C, McInerney JO, Landan G, Marin WF (2015) Endosymbiotic origin and differential loss of eukaryotic genes. Nature 524: 427-431.