L’evoluzione dell’omosessualità

Uno studio tutto italiano, condotto da Andrea Camperio Ciani e Giovanni Zanzotto dell’Università di Padova e Paolo Cermelli dell’Università di Torino, ha eseguito un modello matematico che potrebbe spiegare l’origine e il mantenimento dell’omosessualità maschile nella nostra specie, secondo una prospettiva evoluzionistica. Il fulcro di questo studio è il concetto di selezione sessuale antagonista, quella forma di selezione che sfavorisce

Uno studio tutto italiano, condotto da Andrea Camperio Ciani e Giovanni Zanzotto dell’Università di Padova e Paolo Cermelli dell’Università di Torino, ha eseguito un modello matematico che potrebbe spiegare l’origine e il mantenimento dell’omosessualità maschile nella nostra specie, secondo una prospettiva evoluzionistica. Il fulcro di questo studio è il concetto di selezione sessuale antagonista, quella forma di selezione che sfavorisce un sesso, incrementando però il successo riproduttivo dell’altro.

L’omosessualità nella nostra specie è da sempre stata associata a componenti ambientali, solitamente di carattere sociale, ma probabilmente presenta anche  una base genetica, come dimostrato da studi sull’orinetamento sessuale di gemelli omozigoti. Inoltre, l’omosessualità maschile si verifica con maggior frequenza quando nella linea materna sono presenti altri individui con il medesimo orientamento sessuale.

Nonostante l’esistenza di probabili componenti genetiche, l’omosessualità maschile è difficilmente spiegabile mediante la teoria darwiniana di evoluzione per selezione naturale, in quanto questa dovrebbe presupporre che i geni che predispongono a questo orientamento sessuale vengano nel corso del tempo eliminati dalla popolazione, in quanto impossibilitati ad essere trasmessi alle future generazioni.

In che modo dunque, i geni che sono selettivamente sfavoriti possono essere mantenuti nella popolazione? Secondo i ricercatori, mediante il conferimento di un vantaggio a quegli individui portatori, ma che sono in grado di riprodursi: le sorelle dei maschi omosessuali. Numerosi dati empirici hanno suggerito infatti che le donne imparentate con individui omosessuali godono di una fecondità in media significativamente superiore a quella di campioni di donne preso a caso nella popolazione. Si parla dunque di selezione sessuale antagonista: gruppi di geni che sfavoriscono un sesso, in questo caso quello maschile, incrementano il successo riproduttivo dell’altro, le femmine. In questo modo, concludono i ricercatori dalle pagine di PLoS One, è possibile che i tratti genetici che predispongono all’omosessualità maschile vengano mantenuti nella popolazione, seppur a frequenze molto basse, ma comunque stabili.

Il modello formulato prevede il coinvolgimento di almeno due geni, di cui uno situato sul cromosoma X.

Per la prima volta viene fornita una spiegazione coerente con la teoria darwiniana di un fenomeno molto diffuso ma ancora poco compreso dal punto di vista evolutivo.

Andrea Romano

 

Riferimenti:
Camperio Ciani et al. Sexually Antagonistic Selection in Human Male Homosexuality. PLoS One, 2008; 3 (6): e2282 DOI: 10.1371/journal.pone.0002282