L’evoluzione in laboratorio

Prendete alcuni RNA catalitici (o ribozimi), molecole in grado di accelerare le reazioni chimiche all’interno delle cellule, simili ma non identici tra loro e metteteli in soluzione. Aggiungete i substrati della reazione da svolgere e dei promoter che consentono, solo ai ribozimi che catalizzano la reazione, di riprodursi. Infine, riducete gradualmente le concentrazioni di substrati e promoter e otterrete un

Prendete alcuni RNA catalitici (o ribozimi), molecole in grado di accelerare le reazioni chimiche all’interno delle cellule, simili ma non identici tra loro e metteteli in soluzione. Aggiungete i substrati della reazione da svolgere e dei promoter che consentono, solo ai ribozimi che catalizzano la reazione, di riprodursi. Infine, riducete gradualmente le concentrazioni di substrati e promoter e otterrete un bellissimo esempio di evoluzione per selezione naturale in laboratorio.

Questa è la ricetta dell’esperimento condotto da Brian Paegel e Gerald Joyce, ricercatori del Scripps Research Institute, che ha portato un’ulteriore prova in favore della teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale. I ricercatori hanno simulato le condizioni a partire da cui l’azione della selezione naturale può condurre all’evoluzione di nuove forme, meglio adattate all’ambiente. La simulazione non è stata effettuata in condizioni naturali, ma all’interno di un sistema automatizzato e controllato esclusivamente da un computer, senza alcun intervento umano al di fuori dell’accensione.

I ricercatori hanno inserito in una soluzione numerosi ribozimi, molto simili tra loro ma non uguali (variabilità individuale all’interno di una popolazione); per l’effetto di queste piccole differenze a livello di sequenza nucleotidica, alcuni di essi sono in grado di catalizzare la reazione chimica in modo più efficiente rispetto agli altri. Se queste differenze conferiscono un vantaggio selettivo, ad esempio in termini di sopravvivenza o riproduzione, e sono ereditabili, nella generazione successiva la loro frequenza aumenterà. Per questo motivo Paegel e Joyce hanno inserito dei promoter, molecole che consentono la riproduzione solo di quei ribozimi in grado di eseguire la reazione (riproduzione differenziale). In questo modo, nel corso dell’esperimento queste varianti sono aumentate rispetto alle altre, proprio come avviene in natura.

Nel loro sistema, gli autori hanno previsto la riduzione ad ogni generazione sia dei substrati che dei promoter (pressione selettiva). In questo modo, solo gli enzimi in grado di legare con miglior efficacia queste due sostanze saranno quelli che si riprodurranno e che quindi aumenteranno di numero nel corso del tempo. In questo processo, ogni mutazione casuale che può favorire sia la catalisi che il legame con i promoter sarà selezionata positivamente e dunque mantenuta nelle generazioni successive; al contrario, i portatori di mutazioni deleterie saranno eliminati dalla popolazione.

Al termine dell’esperimento è rimasto un solo enzima, che è risultato molto più perfezionato rispetto a quelli di partenza. Infatti, è in grado di eseguire la stessa reazione chimica con efficienza pari a 90 volte di quella della media della popolazione iniziale e di utilizzare i reagenti a concentrazioni bassissime. Questo nuovo enzima presentava ben 11 nucleotidi diversi, per effetto di altrettante mutazioni, rispetto alla sequenza dei progenitori.

Questo esperimento spiega benissimo il processo di selezione naturale e illustra con chiarezza quegli aspetti che possono e quelli che non posso essere predetti prima dell’azione selettiva in condizioni note. Infatti, se da un lato, il miglioramento della funzionalità dell’enzima risultante, più veloce e capace di lavorare a basse concentrazioni di substrato, era prevedibile, dall’altro la posizione delle mutazioni non lo era. Lo stesso esito sarebbe probabilmente stato raggiunto, ma mediante un’altra via e quindi altre mutazioni.

L’articolo “Darwinian evolution on a chip” è liberamente disponibile sul sito di PLoS Biology.

Andrea Romano

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons