L’impronta dell’agricoltura nel genoma del cane

La capacità dei cani di digerire l’amido risale a 7000 anni fa e coincide con il cambio di alimentazione dell’uomo dovuto all’avvento dell’agricoltura

La rivoluzione neolitica, cioè il progressivo passaggio da una sussistenza basata su caccia e pesca a una fondata su agricoltura e allevamento, che a partire dal vicino Oriente ha investito l’Europa circa 8.500 anni fa è scritta nel DNA. Un’impronta presente non solo nel nostro genoma ma anche in quello degli animali che già allora vivevano a stretto contatto con l’uomo, come il cane. La capacità dei nostri amici a quattro zampe di digerire gli amidi si sarebbe infatti sviluppata in seguito all’avvento dell’agricoltura, come mostra uno studio pubblicato su Open Science della Royal Society di Londra.

L’amido è un composto organico appartenente alla classe dei carboidrati che si trova negli alimenti come pane, pasta, riso e patate. La digestione dell’amido avviene grazie a un enzima, l’amilasi pancreatica, che trasforma i carboidrati complessi in prodotti più semplici, come il glucosio o il maltosio. Questo enzima è codificato dal gene Amy2B, presente in ben 40 copie nel genoma del cane, contro le due di coyote e lupi.

Per capire quando e come sia avvenuta questa amplificazione del gene nel cane – e come questa si intreccia con la storia dell’uomo – un gruppo di ricercatori dell’Università di Rennes e Grenoble, del CNRS di Lione (Francia) e dell’Università di Uppsala (Svezia) ha analizzato il DNA proveniente dai resti di 13 lupi e cani risalenti ad epoche e siti archeologici diversi. Il risultato di queste analisi mostra che la capacità dei cani di digerire gli amidi è antica e sovrapponibile con la diffusione delle pratiche agricole in Europa e Asia. Genomi risalenti a 8000 anni fa, infatti, possiedono due copie del gene, mentre quelli di circa 4000 anni fa ne contano in media 7 o 8.

L’incremento del numero di copie del gene Amy2B è stato riscontrato a partire da 7000 anni fa circa, nei campioni provenienti da quelle zone dove per prime si sono affermate le tecniche agricole, segno che l’espansione dell’agricoltura e l’adattamento del cane ad una nuova forma di alimentazione sono corse di pari passo. Questo, a detta degli stessi scienziati, è un bellissimo esempio di come l’evoluzione delle specie umana abbia influito sul genoma di un animale domestico come il cane.

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La distribuzione del numero di copie del gene Amy2B nel corso del tempo: due copie (bianco), tra le 2 e le 8 copie (grigio), più di otto copie (nero). Immagine: Oliver M, Royal Society Open Science

La domesticazione del cane, di cui abbiamo già parlato dettagliatamente, è un tema ancora dibattuto anche se ormai diversi studi hanno accertato che il cane che oggi vive in molte delle nostre case sia stato domesticato a partire dal lupo, o da un suo antenato, circa 15.000 – 10.000 anni fa. L’ipotesi più accreditata fa risalire l’incontro tra cane e uomo al momento in cui l’uomo era ancora un cacciatore e entrambi si nutrivano dello stesso cibo. Il cane, quindi, avrebbe iniziato la sua convivenza con l’uomo proprio per nutrirsi degli scarti della sua caccia.

Con l’avvento dell’agricoltura, questo legame non si è sciolto, anzi, ma avrebbe portato il cane ad adattarsi progressivamente ed “attrezzarsi” per digerire i prodotti si scarto derivanti dall’agricoltura. Questo spiegherebbe perché gli husky siberiani e i dingo, che convivono con popolazioni che fino a poco tempo fa si nutrivano quasi esclusivamente di pesce, abbiano ancora solo due copie del gene, così come il 60% delle specie di lupo esistenti. Probabilmente il gene per la digestione degli amidi nei cani non è l’unico ad aver risentito della coevoluzione con l’uomo, che potrebbe aver influito anche su altri aspetti del metabolismo canino, così come sul sistema immunitario e su alcuni meccanismi cerebrali dei nostri amici a quattro zampe.

Silvia Reginato, da Zanichelli Aula di Scienze

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