L’Infanzia estesa di Lucy

Grazie ai modelli virtuali del cervello di Australopithecus afarensis i paleoantropologi danno nuove risposte a questioni ancora controverse sull’evoluzione dell’apprendimento

Il modello di sviluppo e di organizzazione del cervello di Australopithecus afarensis era più simile a quello degli scimpanzè o a quello degli umani? Dare una risposta a quest’interrogativo ci aiuterebbe a comprendere se il lungo periodo di crescita e di riorganizzazione cerebrale tipica degli umani sia semplicemente un sottoprodotto dell’aumento delle dimensioni del cervello o se sia evoluto a partire da A. afarensis, un milione di anni prima della marcata espansione del cervello avvenuta nel genere Homo.

Secondo uno studio pubblicato su Science Advances dai paleoantropologi del Max Planck insitute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, l’organizzazione cerebrale di A. afarensis sarebbe stata simile a quella delle scimmie, mentre non si può dire la stessa cosa per ciò che riguarda il modello di crescita. Infatti, il confronto degli endocast (modelli virtuali di cervello) e dei rispettivi volumi endocranici, elaborati a partire dai crani fossili di otto individui, sei adulti (tra cui la famosa Lucy) e due bambini, provenienti dai siti di Dikika e Hadar in Etiopia, indicherebbe un periodo di crescita e di maturazione cerebrale piuttosto lungo.

Come descritto per il genere Homo, anche per A. afarensis la crescita protratta del cervello avrebbe fornito più tempo a disposizione per lo sviluppo cognitivo, periodo durante il quale si ritiene che le esperienze postnatali abbiano un forte impatto sull’architettura delle connessioni neurali. Di conseguenza si sarebbe protratto anche il periodo di dipendenza dai genitori. In poche parole, anche A. afarensis avrebbe beneficiato di un periodo infantile più lungo, un’infanzia estesa.

Un aspetto chiave quest’ultimo, tenuto conto che A. afarensis occupa una posizione di rilievo nella filogenesi degli ominini (Pikaia ne ha parlato qui e qui) in quanto ancestrale alle specie di ominini successivi, compreso il lignaggio di Homo. 

La conoscenza attuale sulla crescita del cervello di A. afarensis è piuttosto incerta perché limitata da fattori quali la deformazione cranica causata dal processo di fossilizzazione e l’incertezza sull’età della morte degli individui infantili.

Attraverso una tecnica ad alta risoluzione chiamata tomografia computerizzata al sincrotrone, gli scienziati hanno ricostruito i modelli virtuali del cervello degli adulti e dei bambini confrontando così il volume endocranico e ottenendo una stima piuttosto accurata della massa cerebrale. Sempre con la stessa tecnica hanno effettuato un’analisi istologica dentale che ha reso possibile stabilire con precisione l’età della morte degli individui infantili, un dato molto importante per calcolare la cosiddetta traiettoria di crescita cerebrale.

L’elevato tasso di crescita e la maturazione protratta del cervello nel genere Homo sono state spesso attribuite all’aumento delle dimensioni del cervello. I risultati ottenuti dallo studio dei crani di A. afarensis dimostrerebbero che non è così: il periodo di crescita prolungata del cervello non sarebbe una mera conseguenza dell’aumento delle dimensioni, ma di un tratto comparso molto prima nella storia evolutiva del genere Homo, confermato dallo sviluppo del cervello e dall’’“infanzia estesa” di A. afarensis.

Riferimenti:
Philipp Gunz, Simon Neubauer, Dean Falk, Paul Tafforeau, Adeline Le Cabec, Tanya M. Smith, William H. Kimbel, Fred Spoor, Zeresenay Alemseged. Australopithecus afarensis endocasts suggest ape-like brain organization and prolonged brain growth. Science Advances, 2020; 6 (14): eaaz4729 DOI: 10.1126/sciadv.aaz4729

Immagine: Tim Evanson / CC BY-SA, via Wikimedia Commons