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Il dibattito sulla possibile ibridazione tra sapiens e neanderthalensis è ancora molto aperto

La storia della relazione evolutiva tra la nostra specie e i Neandertaliani ha sempre affascinato tanto i ricercatori quanto l’immaginario collettivo, rappresentando il vincolo più stretto che abbiamo con la nostra storia filogenetica. E’ un punto di contatto intimo con la nostra storia naturale. Spesso in paleontologia si fanno molte ipotesi con pochi dati, esibendosi in voli pindarici a volte poco garantiti a livello di evidenze analitiche robuste. I fossili sono una fonte eccezionale di informazioni, ma con limiti statistici evidenti che dovrebbero generare più cautele al momento di dire come sono andate o non andate le cose in un passato tanto remoto. Lavorando sui fossili spesso teorie e ipotesi si fondano purtroppo su singole e frammentate evidenze, ma si pensa che ad ogni singola analisi, per quanto limitata dal contesto difficile del registro paleontologico, debba seguire per forza una sentenza. In teoria, la scienza dovrebbe lavorare su ciò che è probabile, e non su ciò che è possibile
Di fatto, dopo decenni di dibattito le alternative sulla relazione tra uomini moderni e Neandertaliani sono tutte ancora lì, in competizione, senza aver raggiunto nessun accordo stabile. Uno studio recente sui dati cronologici mette addirittura in dubbio il fatto che il contatto spazio-temporale sia poi stato così esteso. Anche la genetica, vista da molti come lo scrigno sacro della verità assoluta, pare che non abbia sempre idee chiare e soprattutto coerenti su questo argomento. Uno studio anatomico di un frammento di mandibola trovato sui Monti Lessini (Verona) ha riaperto un’altra volta il caso. La genetica dice che è un neandertaliano, ma la morfologia del mento dice che è anche simile a un uomo anatomicamente moderno. Di qui appunto si torna sul dibattito della relazione filogenetica tra i due gruppi, con ipotesi di ibridizzazione. In realtà non si capisce bene, da una prospettiva zoologica, dove sia il dibattito e perchè ci sia tutto questo affanno di contesa su questo argomento. 
Sappiamo ormai bene che ibridi in natura si possono incontrare con certa frequenza, come individui singoli o in popolazioni, anche in espansione. L’ibridizzazione può avvenire non solo tra specie palesemente differenti, ma addirittura tra generi che si sono separati filogeneticamente da milioni di anni. Nei primati abbiamo esempi tra i macachi o tra i babbuini. E questo perchè il concetto biologico di specie è un ottimo strumento teorico ma non va poi preso troppo alla lettera indistintamente, altrimenti può dare problemi ed eccezioni che ne impediscono una sua utile e sensata applicazione. Si continua spesso anche a pensare che un ibrido debba essere per forza una chimera tra le due specie, una via di mezzo con caratteristiche intermedie. Anche in questo caso, sappiamo che non è sempre cosí. E si continua anche a non considerare, negli studi che integrano morfologia e filogenesi, l’importanza ormai provata del parallelismo evolutivo. 
Nel caso della mandibola per esempio sappiamo che come struttura è in realtà formata da differenti unità di sviluppo che si integrano tra di loro. Il suo margine superiore è una unità relativamente sensibile a processi di rimodellazione ossea, tanto a livello fisiologico (nella vita di un individuo) quanto a livello filogenetico. Come conseguenza, è abbastanza probabile che effetti simili (anche con processi differenti) possano verificarsi in specie molto affini per organizzazione biologica. Le relazioni filogenetiche sono difficili da testare scientificamente, almeno seguendo un certo rigore. In paleontologia bisognerebbe, riconoscendo l’importanza fondamentale della filogenesi e della tassonomia, riconoscerne da un lato anche le debolezze, e soprattutto ricordare che non sono l’unico fine degli studi evolutivi. L’anatomia, in biologia come in evoluzione, puó essere utile allo studio filogenetico, ma non dovrebbe essere esclusivamente finalizzata a questo scopo.
Emiliano Bruner 
Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana 
http://paleoneurology.wordpress.com
Referenze bibliografiche
Bruner E. 2013. The species concept as a cognitive tool for biological anthropology. Am. J. Primatol. 75: 10-15.
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Didascalia immagine: Paleistologia e tracce cellulari su mandibole fossili (modificato da Rosas & Martinez-Maza, 2010)