Meglio tardi che mai…

Fino ad oggi, l’idea comunemente accettata dalla comunità scientifica era che l’uomo fosse arrivato nell’arcipelago più di duemila anni fa. Le datazioni al radiocarbonio a supporto di questa teoria erano state effettuate su ossa di kiore o ratto polinesiano (Rattus exulans) e su altri resti legati all’alimentazione di questi roditori. L’assenza di ulteriori prove di carattere ecologico o paleobiologico, comunque,

Fino ad oggi, l’idea comunemente accettata dalla comunità scientifica era che l’uomo fosse arrivato nell’arcipelago più di duemila anni fa. Le datazioni al radiocarbonio a supporto di questa teoria erano state effettuate su ossa di kiore o ratto polinesiano (Rattus exulans) e su altri resti legati all’alimentazione di questi roditori. L’assenza di ulteriori prove di carattere ecologico o paleobiologico, comunque, ha fatto sì che questi dati fossero messi in discussione fin dal 1996, anno della loro pubblicazione.

Oggi, un team di ricerca capitanato dalla dottoressa Janet Wilmshurst del Landcare Research è tornato per la prima volta sul “luogo del delitto”, riesumando, ri-analizzando e ri-datando gli stessi resti studiati nel 1996, scoprendo che nessun osso di kiore proveniente dalla Nuova Zelanda risale a prima del 1280 a.C. “Il kiore”, dice la Wilmshurst, “ha una scarsa autonomia di nuoto, quindi il suo arrivo in Nuova Zelanda deve essere necessariamente legato al trasporto in canoa da parte di esseri umani. Ecco perché possiamo far coincidere i primi resti di ratto in Nuova Zelanda con l’arrivo dell’uomo”.

L’equipe non si è limitata a datare le ossa, ma anche un centinaio di semi legnosi che portano tracce del morso di ratti polinesiani. I semi sono stato perfettamente conservati in torbiere e paludi delle due isole principali dell’arcipelago; la dimensione dei segni combacia con quella degli incisivi dei ratti, “senza possibilità di confondersi con qualche altro roditore”, secondo il professor Atholl Andreson dell’Australian National University.

Questi risultati, pubblicati su PNAS, inoltre, collimano con altri dati di carattere ecologico: ad esempio la datazione dei primi grandi incendi di foresta, o del declino ed estinzione di faune marine e terrestri, tutti eventi legati all’arrivo dell’uomo.

Al di là dell’interesse puro di questi dati, bisogna considerarne le conseguenze pratiche. Ad esempio, la predazione da parte dei ratti è iniziata molto più tardi di quanto si pensasse, il che significa che le popolazioni di specie “vittime” stanno declinando più velocemente del previsto. Inoltre, contrariamente a quanto si pensava in precedenza, non c’è stato alcun ritardo tra la scoperta della Nuova Zelanda e la sua colonizzazione: i primi uomini a giungere nell’arcipelago iniziarono subito a far sentire la loro influenza su ambiente, flora e fauna.

Quella della dottoressa Wilmshurst è solo la prima di una serie di ricerche che verranno effettuate in altre isole della Polinesia orientale, riguardo alle quali i dubbi e le controversie sono le stesse della Nuova Zelanda.

L‘articolo completo è liberamente disponibile online.

Gabriele Ferrari

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons

Riferimenti
Janet M. Wilmshurst, Atholl J. Anderson, Thomas F. G. Higham, and Trevor H. Worthy. Dating the late prehistoric dispersal of Polynesians to New Zealand using the commensal Pacific rat. Proceedings of the National Academy of Sciences, 105: 7676-7680 DOI: 10.1073/pnas.0801507105