Metilazione e duplicazione genica

Nelle prime fasi della loro ‘vita’, i geni duplicati vengono protetti dalla metilazione, che costituisce uno scudo protettivo contro le mutazioni deleterie e favorisce l’evoluzione di nuove funzioni

La duplicazione genica è una delle principali fonti di variabilità su cui la selezione naturale può agire, in quanto una copia del gene può assumere una diversa funzione senza causare la perdita di quella originaria, che viene infatti mantenuta nell’altra copia. Tuttavia, nel corso del tempo i geni duplicati dovrebbero essere fortemente sottoposti ad un incremento di mutazioni neutre o negative fino ad essere inattivati, in quanto la seconda copia del gene risulta inutile e a volte dannosa. Cosa mantiene integre entrambe le copie e le protegge dalle mutazioni deleterie? 
A questa domanda ha risposto un interessante studio su Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha mostrato come questa funzione di scudo sembri essere assolta dalla metilazione. Le analisi mostrano infatti che la presenza di gruppi metili riduce la possibilità di incorrere in mutazioni deleterie e favorisce il mantenimento della seconda copia del gene. Infatti, la frequenza di metilazione, in particolare delle sequenze regolatrici, risulta molto maggiore nei geni duplicati piuttosto che negli altri. Inoltre, il livello di metilazione che si riscontra nei geni duplicati delle attuali specie è proporzionale all’età degli stessi: in pratica, più la duplicazione è avvenuta recentemente, maggiore è il livello di metilazione. 
Secondo gli autori, i gruppi metili funzionerebbero pertanto da scudo iniziale per le copie geniche, lasciando poi il tempo alla selezione naturale per modificarne lentamente, e a volte in maniera favorevole, la sequenza. L’ipotesi che l’idea che alla base dei processi evolutivi ci sia una complessa interazione tra genoma ed epigenoma è molto suggestiva e ora avrà bisogno di ulteriori supporti empirici in suo sostegno.
Riferimenti:
Keller, et al. DNA Methylation and Evolution of Duplicate Genes. PNAS
Immagine da Wikimedia Commons