Moralità darwiniana

L’evoluzione è un fatto. L’uomo non è più al centro del mondo. Tuttavia, proprio questo motivo, acquisisce una nuova dimensione morale. Essendo, come tutti gli altri esseri viventi, “una temporanea federazione di replicatori che lavorano per essere rappresentati nelle future generazioni, qualche volta minacciato, qualche volta sfruttati e qualche volta assistiti da altre federazioni di replicatori. Esistiamo non per glorificare

L’evoluzione è un fatto. L’uomo non è più al centro del mondo. Tuttavia, proprio questo motivo, acquisisce una nuova dimensione morale. Essendo, come tutti gli altri esseri viventi, “una temporanea federazione di replicatori che lavorano per essere rappresentati nelle future generazioni, qualche volta minacciato, qualche volta sfruttati e qualche volta assistiti da altre federazioni di replicatori. Esistiamo non per glorificare Dio, né per esercitare la razionalità, né per portare alcuna condizione particolare nella società, ma meramente perché siamo assemblaggi di replicatori di successo.”

Catherine Wilson è una filosofa (dell’Università di Aberdeen) e, a differenza di tanti suoi colleghi, ancora nelle pastoie della filosofia dualista, nel suo articolo “Darwinian Morality” dichiara così, unendosi ad altri evoluzionisti, che la prossima frontiera della filosofia morale è legata all’ingresso della teoria dell’evoluzione nelle scienze sociali.

Il senso di unità nella natura che procede dall’evoluzione provoca sentimenti di grandiosità e rispetto non diversi da quelli suscitati nei credenti dalla credenza in un dio. Essendo però i punti di partenza così radicalmente differenti, si arriva a conclusioni altrettanto differenti: mentre i credenti ritengono che la morale sia stabilita e mantenuta dalla divinità, il darwinismo implica che la morale sia in parte prodotto della nostra biologia ed in parte nelle nostre mani.

La psicologia evoluzionistica che ne deriva ha permesso quindi di ribaltare la vecchia concezione filosofica secondo cui le persone dovrebbero essere trattate come “si pensa dovrebbero sentire” secondo modelli e teorie approssimative, per arrivare a trattarle “come esse veramente sentono”. La teoria dell’evoluzione porta quindi con sé tutto il contrario del nichilismo suggerito invece dai creazionisti e non lascia spazio nemmeno alla caricatura pseudoscientifica del razzismo scientifico.

Una volta congedata la paccottiglia di congetture filosofiche che poco avevano a che fare con la realtà (e molto con le speranze e le illusioni), l’animale uomo può iniziare a costruire una filosofia morale fondata sui fatti: se si ammette che nella biologia umana esistono sia le basi per comportamenti socialmente utili (amore parentale, altruismo) che deprecabili (razzismo, sessismo, xenofobia), allora è possibile anche lavorare per potenziare i primi ed depotenziare i secondi. Ciò che è non è ciò che dovrebbe essere.
La teoria dell’evoluzione è pressoché incontenibile nelle sue applicazioni. Sembra proprio che, chiunque abbia idea di fermare la sua espansione, rischi di avere torto sul lungo percorso.

Giorgio Tarditi Spagnoli