Nei moscerini della frutta l’origine del linguaggio umano?

Un gene determinante per l’apprendimento motorio in Drosophila è alla base anche dell’apprendimento vocale nell’uomo e negli uccelli

Per la psicologia comportamentista l’apprendimento vocale nei bambini costituisce una forma di “condizionamento operante”, una modalità di autoapprendimento che si svolge per tentativi ed errori, grazie alla percezione del risultato prodotto dal comportamento dell’individuo. I bambini iniziano infatti ad esprimersi con balbettii che diventano col tempo sempre più simili a fonemi di senso compiuto. Negli uccelli il canto dei piccoli, dapprima incoerente, si trasforma in un suono sempre più strutturato e armonico.  
Qualcosa di simile avviene nell’apprendimento motorio in Drosophila, il moscerino della frutta. In condizioni sperimentali, infatti, è possibile indurre i moscerini ad assumere un particolare comportamento. Questo meccanismo è concettualmente simile all’apprendimento vocale negli umani e negli uccelli. Questi fenomeni potrebbero perciò avere una base biologica comune?
A questa domanda ha cercato di rispondere una ricerca, pubblicata su PLoS ONE, a firma di alcuni ricercatori dell’Università di Regensburg  dell’Università del Missouri. Gli autori hanno studiato l’apprendimento motorio in drosofile nel cui DNA è stata creata una versione mutata del gene FoxP. Nei vertebrati esistono quattro varianti del gene FoxP. Tra questi, è noto il ruolo del gene FoxP2 nella modulazione dei circuiti neurali responsabili dello sviluppo linguistico e vocale in diversi vertebrati. Questo gene contiene l’informazione per un fattore di trascrizione, una proteina coinvolta nella regolazione dell’espressione genica. Nell’uomo esiste almeno una patologia correlata con mutazioni del gene FoxP2, la disprassia verbale, un grave disturbo del linguaggio. 
L’ipotesi era che il comportamento delle drosofile mutanti potesse fornire un’evidenza della relazione tra apprendimento motorio negli invertebrati e sviluppo dell’apprendimento vocale nei vertebrati. Per testare questa ipotesi i ricercatori hanno confrontato il comportamento delle drosofile selvatiche e di quelle mutanti all’interno di una sorta di simulatore di volo. L’insetto veniva inserito in una camera cilindrica, attaccata all’estremità di uno strumento che invia un segnale a un computer. Lo strumento rileva i piccoli movimenti che la drosofila compie, in volo stazionario, per esempio per tentare di sterzare verso sinistra o destra.
All’inizio il loro comportamento è molto variabile, quasi casuale. Ma se a un movimento viene associata l’accensione di un il laser, per esempio ogni volta che la drosofila sterza verso destra, essa inizierà ad adottare un comportamento più regolare, restringendo i suoi movimenti al lato in cui non viene investita dal calore. Dopo alcuni minuti di addestramento, il laser viene spento e si verifica la capacità delle drosofile di mantenere il comportamento acquisito. In questo esperimento il calore simula le parole del bambino o il canto dell’uccello, cioè il risultato dell’azione che si sta apprendendo. Ogni risultato che devia da quello “desiderato” (in questo caso la temperatura preferita) modifica il comportamento. Il test mostra che le drosofile selvatiche esibiscono una capacità molto maggiore di mantenere il comportamento acquisito rispetto alle drosofile mutanti. 
In una variante di questo esperimento è stato aggiunto uno stimolo luminoso, così che a ogni movimento, a sinistra o a destra, fosse associato oltre al calore anche una luce, verde o blu. In questo caso le drosofile mutanti hanno mostrato prestazioni simili a quelle delle drosofile selvatiche. Esse, dunque, sono capaci di compensare il proprio difetto di autoapprendimento motorio sfruttando una informazione esterna. 
Questi risultati dimostrano che il gene FoxP è coinvolto, in modo specifico, nel meccanismo di autoapprendimento basato sul comportamento. L’individuo assegna un valore a una azione e all’effetto che produce, non a uno stimolo esterno. Nel cervello delle drosofile mutanti, inoltre, sono presenti alterazioni anatomiche a livello di strutture dette “glomeruli ottici”. Questo conferma il ruolo di FoxP nello sviluppo cerebrale. 
I risultati spingono gli autori a sostenere l’ipotesi che la componente del linguaggio dipendente dal gene FoxP si sia evoluta da un meccanismo ancestrale di autoapprendimento simile a quello visibile oggi in Drosophila. Un’omologia che dimostrerebbe che le origini del linguaggio umano affondano le radici all’epoca della divisione tra vertebrati e invertebrati.
Antonio Scalari
Riferimento: 
Mendoza E, Colomb J, Rybak J, Pflüger H-J, Zars T, et al. (2014) Drosophila FoxP Mutants Are Deficient in Operant Self-Learning. PLoS ONE 9(6). doi:10.1371/journal.pone.0100648 
Immagine: credit Karol007, da Wikimedia Commons