“Noi, umani”, un reportage sulle tracce dei nostri antenati

Noi umani, iperborea

“Noi, umani” riesce a narrare scientificamente aspetti cruciali dell’evoluzione umana dalle origini, al confine fra romanzo e saggio

Titolo: Noi, umani

Autore: Frank Westerman, traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo

Editore: Iperborea Milano

Anno: 2022 (orig. 2018)

Pagine: 338

Pianeta, isole e terreferme. Sulle tracce dei nostri antenati. Il resto umano più antico dei Paesi Bassi fu trovato da un escursionista tra i detriti sputati sulla costa dalla pompa di una draga nel 2009. Era un frammento di cranio con una protrusione sopra le orbite oculari assente nell’uomo moderno, apparteneva al cacciatore Krijn, uomo di Neanderthal che vagava nella steppa dei mammut nel delta dei fiumi Tamigi, Reno e Mosa, tra i centomila e i quarantamila anni fa.

Come sappiamo, la superficie terrestre, variabile rispetto a ciclici e specifici abbassamenti e innalzamenti del livello dei mari, è disseminata di fossili. Sulle isole, pertanto, troviamo un’evoluzione biologica che rompe ogni presunto normale lineare ordine. Se ne erano accorti separatamente sia Alfred Russell Wallace che Charles Darwin per le specie vegetali e animali che andavano valutando e comparando meno di due secoli fa. Successivamente si è visto valere parzialmente anche per le specie e le forme del genere Homo. Nel 2003 sull’isola indonesiana di Flores (a est della linea di Wallace, australe e non più asiatica) fu trovato lo scheletro del nano Flo, una donna perfettamente formata che da viva doveva essere alta un metro e quattro centimetri e aveva altre “anomalie” anatomiche rispetto a noi sapiens (pur essendo vissuta nelle ultime decine di migliaia di anni, in compresenza terrena con noi): il volume cerebrale di uno scimpanzé, arti da posizione eretta, piedi piatti adatti a percorrere lunghe distanze, che fecero individuare allora la specie Homo floresiensis.

Su quell’isola la fauna abbondava di formati “anomali”, specie animali di proporzioni enormi (ratti e cicogne) oppure minuscole (elefanti), gigantismo e nanismo insulare. Vale proprio la pena approfondire e intersecare l’argomento con viaggi e ricerche di varie discipline. Partiamo insieme.

Il bravo scrittore Frank Westerman (Emmen, Olanda, 1964), ex-giornalista inviato speciale, nell’ottobre 2016 insegnò Reportage all’Università di Leida come guest writer. Iniziò le lezioni, spiegò subito ai propri studenti che scrivere un reportage è il frutto della capacità di stupirsi e propose loro a prendere parte al progetto di far nascere un libro investigando sui fossili, tramite letture, raccolta di dati empirici, visite, interviste e, soprattutto, il confronto collettivo sulle domande giuste e sui continui dubbi di esperti e autodidatti.

Appese una carta geografica dell’Indonesia, segnalò che probabilmente potevano contarsi 17.508 isole, di cui più o meno un migliaio abitate, oggi perlopiù  da islamici ma non solo (Bali è induista, Ambon protestante, Flores cattolica). Come guida preliminare scelse l’archeologo missionario Theodor Verhoeven (1907-1990) e, insieme agli studenti (in parte diffidenti o riottosi), provò a lavorare come in una squadra investigativa, seguendo piste da fare invidia a uno scrittore di gialli.

Il reportage non è un mollusco, ma un genere che appartiene alle forme vertebrate del racconto, che trae forza da una spina dorsale di fatti. E da una quindicina d’anni Westerman ne è maestro: anche in questo avvincente volume riesce a narrare scientificamente aspetti cruciali dell’evoluzione umana dalle origini, al confine fra romanzo e saggio, con riferimenti bibliografici finali ma senza indici di nomi o argomenti, partendo sempre da un aneddoto o da una curiosità (spesso riferiti ovviamente al proprio paese) o da spunti di storia della scienza (compresi rivalità e rancori), evitando di voler mettere troppi punti fermi e lasciandosi continuamente disturbare da ulteriori interrogativi.