Non sempre più grande è sinonimo di migliore (almeno per quanto riguarda il cervello)

Uno degli argomenti più interessanti della biologia evoluzionistica da Darwin in poi, riguarda la comprensione dei fattori che influenzano i cambiamenti della taglia del cervello negli animali. Nonostante però siano trascorsi più di cento anni, i dubbi circa le pressioni selettive che hanno guidato l’enorme differenziazione della taglia del cervello non sono stati ancora del tutto chiariti. Una delle spiegazioni

Uno degli argomenti più interessanti della biologia evoluzionistica da Darwin in poi, riguarda la comprensione dei fattori che influenzano i cambiamenti della taglia del cervello negli animali. Nonostante però siano trascorsi più di cento anni, i dubbi circa le pressioni selettive che hanno guidato l’enorme differenziazione della taglia del cervello non sono stati ancora del tutto chiariti.

Una delle spiegazioni più classiche ritiene che una maggiore taglia del cervello, in relazione alla taglia corporea, rende l’apprendimento più facile e veloce; questo, infatti, consente agli organismi di affrontare in maniera più efficace i cambiamenti ambientali, come per esempio le variazioni della disponibilità di cibo durante l’anno.
Negli uccelli la risposta ai cambiamenti climatici stagionali è differente a seconda delle diverse specie. Gli uccelli migratori risolvono il problema della scarsità delle risorse alimentari, spostandosi in un altro luogo più favorevole, mentre le cosiddette specie stanziali rimangono nella stessa area per tutta la durata dell’anno adattandosi alle fluttuazioni ambientali. Studi precedenti hanno mostrato che entrambe le strategie adottate dalle diverse specie di uccelli sono strettamente correlate con la taglia del cervello ma non è mai stato chiarito quale fosse la causa e quale la conseguenza.
 
Un recente studio, pubblicato sulla rivista PLoS One e condotto da Daniel Sol e colleghi, ha analizzato 600 specie di passeriformi provenienti da diverse regioni della Terra e ha confermato in primo luogo che la taglia del cervello degli uccelli migratori è inferiore rispetto a quella delle specie strettamente parenti stanziali. Il passo successivo è stato quello di capire se la taglia del cervello determinasse lo stile di vita (migratorio o stanziale) o se, viceversa, il comportamento derivato dalla poca disponibilità di risorse alimentari fosse la causa della variazione della taglia del cervello. Ebbene i ricercatori, ricostruendo la storia evolutiva del gruppo dei passeriformi e analizzando le possibili cause che hanno condotto alla situazione attuale, sono giunti alla conclusione che la migrazione è, probabilmente, ciò che più ha influenzato la taglia del cervello. In altre parole, gli scienziati spiegano che in questi uccelli si è verificato, in primo luogo, un cambiamento di stile di vita che ha portato alcuni uccelli da una condizione stanziale ad una migratoria mentre, solo successivamente, è avvenuta la riduzione della taglia del cervello solo degli uccelli che avevano scelto la strategia migratoria.

Ma per quale motivo la selezione naturale avrebbe favorito tale riduzione visto che, secondo le teorie tradizionali, un cervello più grande offre maggiori vantaggi? Essendo il cervello è un organo che consuma molta energia e si sviluppa lentamente, secondo i ricercatori il suo mantenimento potrebbe essere troppo costoso per le specie migratrici che devono viaggiare a lungo e hanno poco tempo per riprodursi.

Insomma pare che anche in questo caso, come spesso accade nell’evoluzione, la selezione naturale abbia selezionato un determinato carattere non seguendo specifiche tendenze (in questo caso una tendenza all’accrescimento della taglia del cervello), ma facendo un bilancio tra costi e benefici di tutti i caratteri posseduti e i comportamenti adottati.

Daniel Patelli    

Riferimenti: Daniel Sol, Núria Garcia, Andrew Iwaniuk, Katie Davis, Andrew Meade, W. Alice Boyle, Tamás Székely, Andrew Allen Farke. Evolutionary Divergence in Brain Size between Migratory and Resident Birds. PLoS ONE, 2010; 5 (3): e9617 DOI: 10.1371/journal.pone.0009617

Foto di Daniel Patelli