Oceani di lava

Tra 170 e 90 milioni di anni fa, colossali eruzioni vulcaniche sottomarine hanno ripetutamente cambiato il volto al pianeta, provocando estinzioni di massa tra i suoi abitanti

Siamo tutti impressionati dallo spettacolo dei vulcani in piena eruzione, con le fontane di lava, le colonne di gas, ceneri e lapilli, le esplosioni e le colate piroclastiche. Ma sono poco più che fuochi d’artificio rispetto alle gigantesche eruzioni sottomarine che in tempi remoti hanno sconvolto la Terra. Alcune sono durate migliaia o perfino milioni di anni, hanno riversato enormi volumi di lava, provocato catastrofi ambientali e innescato estinzioni di massa.

Le grandi province ignee
Un articolo pubblicato su Nature Communications dai ricercatori della Virginia Tech fa luce sulle dinamiche di queste spettacolari eruzioni. Molte risalgono al periodo Mesozoico, tra 170 e 90 milioni di anni fa, ma sono ancora oggi riconoscibili dagli immensi accumuli di rocce magmatiche che affiorano qua e là sulla superficie terrestre, chiamati grandi province ignee. Le province ignee sono sparse in tutto il mondo, nei bacini oceanici che confinano con Siberia, Africa, India, e sulle coste orientali del Nord e Sud America. Testimoniano una rapida fuoriuscita di giganteschi volumi di lava da spaccature della crosta terrestre, in corrispondenza di antiche dorsali oceaniche e ai margini delle placche tettoniche.

 

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Lava a cuscino fuoriuscita da una spaccatura del fondale marino, come quelle che formano le dorsali oceaniche. Eruzioni colossali hanno dato origine a immensi plateau basaltici chiamati province ignee (Immagine: Wikimedia Commons)

Abissi infuocati
In questa ricerca, i geologi hanno studiato la composizione geochimica e i tempi di formazione delle grandi province ignee che si trovano nella placca del Pacifico. Hanno raccolto campioni di colate laviche sottomarine, come quelle che ora si trovano esposte lungo la costa pacifica del Costa Rica, in seguito a movimenti tettonici.

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Campioni di roccia basaltica raccolti sulle coste della Penisola di Nicoya, in Costa Rica. Queste rocce si sono formate sul fondale oceanico in seguito ad antiche eruzioni, e sono state spinte in superficie dai movimenti tettonici (Immagine: Virginia Tech)

I risultati confermano un’ipotesi finora avvalorata solo da modelli numerici e dinamici. Vale a dire una ciclica instabilità del mantello profondo, forse innescata da interazioni nucleo-mantello ancora da chiarire. In particolare, è emersa una relazione tra la formazione di queste province, a cavallo delle antiche dorsali oceaniche, e l’ubicazione della Pacific Large Low Shear Velocity Province.
Quest’ultima è un’area che si estende per quasi 3000 kilometri dall’Australia orientale alla costa occidentale del Sud America, situata in profondità nella Terra al confine tra mantello e nucleo. Raggiunge i 1000 chilometri di spessore, e determina un innalzamento del fondale marino di 300 m rispetto alle aree circostanti.

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Un diagramma che mostra le grandi province ignee del Pacifico incluse nello studio (le aree marroni). I confini della Pacific Large Low Shear Velocity Province, larga quasi 3000 km, sono indicati in giallo (immagine: Virginia Tech)

Da qui, a intervalli di 10-20 milioni di anni, sono risaliti colossali volumi di lava, sgorgata dalle spaccature della crosta oceanica. Per rendere un’idea della portata del fenomeno, l’eruzione che 120 milioni di anni fa ha prodotto le grandi province ignee di Ontong-Java, Manihiki, e Hukurangi, nel Pacifico occidentale, ha ricoperto una superficie pari al 40% degli Stati Uniti.

L’impatto sulla vita
Una delle eruzioni più catastrofiche è avvenuta 300 milioni di anni fa, quando si è formata la provincia ignea nota come trappo siberiano. Per milioni di anni, le lave basaltiche hanno inondato la Siberia primordiale, per un volume complessivo di 4 milioni di km3. Gas tossici hanno avvelenato i mari e reso irrespirabile l’atmosfera perfino per gli insetti. Gli organismi hanno subito una delle più drammatiche estinzioni di massa mai documentate, quella del Permiano-Triassico, in cui sono scomparsi l’80% delle specie marine e il 70% dei vertebrati terrestri. Eppure, la vita si è sempre ripresa da questo e dai successivi cataclismi, dimostrando un’eccezionale resilienza.

Eugenio Melotti, da Zanichelli Aula di Scienze

Immagine banner: Wikimedia Commons